07/04/2022 – Condono edilizio pendente: l’opera si può completare?

Consiglio di Stato: “…gli interventi edilizi, di qualunque tipo, anche di manutenzione straordinaria o risanamento conservativo, realizzati su immobili abusivi non condonati, ripetono le caratteristiche di abusività dell’opera principale alla quale accedono”.

La Legge n. 47/1985 (primo condono edilizio) ha consentito la possibilità di ottenere il permesso di costruire in sanatoria di opere eseguite senza licenza o concessione edilizia o autorizzazione a costruire prescritte da norme di legge o di regolamento, ovvero in difformità dalle stesse. Tra i requisiti, era richiesto il completamento delle opere entro una certa data e gli edifici residenziali si intendevano completati quando era stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse erano state completate funzionalmente.

Il fine ultimo del condono edilizio era, naturalmente, l’ottenimento della sanatoria a seguito della quale l’immobile poteva essere considerato pienamente conforme. La stessa legge del 1985, all’art. 35 comma 13 prevedeva che “Decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell’oblazione, il presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all’articolo 31 non comprese tra quelle indicate dall’articolo 33. A tal fine l’interessato notifica al comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione. L’avvenuto versamento della prima e della seconda rata, seguito da garanzia fideiussoria per il residuo, abilita gli istituti di credito a concedere mutui fondiari ed edilizi. I lavori per il completamento delle opere di cui all’articolo 32 possono essere eseguiti solo dopo che siano stati espressi i pareri delle competenti amministrazioni. I lavori per il completamento delle opere di cui al quarto comma dell’articolo 32 possono essere eseguiti solo dopo che sia stata dichiarata la disponibilità dell’ente proprietario a concedere l’uso del suolo“.

Veniva, dunque, data la possibilità di completare le opere anche nel caso quando l’istanza di condono non era arrivata alla fine del suo processo di approvazione con il rilascio della sanatoria edilizia. Possibilità, però, che prevedeva determinate caratteristiche per essere avviata. Caratteristiche evidenziate dal Consiglio di Stato con la sentenza 11 gennaio 2022, n. 188 che ci consente di capire gli effetti della ripresa dei lavori su un immobile considerato abusivo.

Nel caso di specie, il ricorrente ha impugnato una decisione del TAR che aveva confermato l’ordine emesso dal Comune per la demolizione delle opere abusivamente realizzate su un’unità immobiliare sulla quale era pendente una richiesta di condono edilizio ai sensi della Legge 23 dicembre 1994, n. 724 (secondo condono edilizio).

In particolare, il ricorrente a seguito di comunicazione di inizio dei lavori aveva proceduto con le opere di completamento dell’immobile sul quale era stata presentata istanza di condono. Possibilità offerta dal richiamato art. 35, comma 13 della Legge n. 47/1985, ma solo a certe condizioni come chiarito dallo stesso TAR e ribadito dal Consiglio di Stato.

In primo grado, il TAR ha rigettato il ricorso rilevando che gli interventi edilizi anche di manutenzione straordinaria o risanamento conservativo, realizzati su immobili abusivi non condonati, ripetono le caratteristiche di abusività dell’opera principale alla quale accedono.

Pertanto non può ammettersi la prosecuzione dei lavori di completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinare la demolizione anche in relazione alle c.d. opere di completamento.

Il TAR ha rilevato altresì che per il ricorso alla procedura di cui all’art. 35, comma 13, della legge n. 47/1985 si rende necessario al duplice fine di acquisire certezze in ordine allo stato dei luoghi (attraverso la perizia giurata ovvero la documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi) e di evitare postumi tentativi di disconoscimento, da parte di chi esegue l’intervento, della circostanza che l’esecuzione delle opere di completamento, pur se autorizzata, avviene “sotto la propria responsabilità”, ossia nella piena consapevolezza che, se il condono verrà negato, dovranno essere demolite anche le migliorie apportate al manufatto abusivo.

Nel caso di specie, il ricorrente si era limitato, nelle more del completamento del condono edilizio, ad effettuare una mera comunicazione di inizio dei lavori.

Secondo il ricorrente, però, sarebbe pacifico e incontroverso che l’intervento oggetto di ordine di demolizione consiste nella “esecuzione degli intonaci interni ed esterni, realizzazione di tramezzature interne, e apposizione di infissi e di finestre, nonché nella rifinitura del tetto del predetto manufatto” e che per l’attivazione dell’art. 35, comma 13 sarebbe stata sufficiente la comunicazione all’Autorità comunale dell’intervento. Secondo il ricorrente le uniche condizioni erano:

  • il trascorso dei 120 giorni dalla presentazione della domanda;
  • il pagamento della seconda rata della prevista sanzione.

I giudici di Palazzo Spada hanno, però, confermato la tesi del TAR basata essenzialmente su alcuni principi chiave:

  • gli interventi edilizi, di qualunque tipo, anche di manutenzione straordinaria o risanamento conservativo, realizzati su immobili abusivi non condonati, ripetono le caratteristiche di abusività dell’opera principale alla quale accedono;
  • non è consentita la prosecuzione dei lavori di completamento su opere abusive, sino all’eventuale intervento della sanatoria e le opere di completamento realizzate in spregio a tale principio devono essere oggetto di riduzione in pristino.

 

 

L’eccezione prevista all’art. 35, comma 13 della legge n. 47/1985 prevede la possibilità di completare le opere abusive in pendenza del procedimento di condono, richiedendo tuttavia l’instaurazione di uno specifico iter procedimentale e, a tal fine, l’interessato deve notificare il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi.

 

Tale previsione è, infatti, contempla la necessità di deposito di specifica documentazioni per evitare abusi.

La medesima norma specifica, come indicato, che “i lavori per il completamento delle opere di cui all’articolo 32 possono essere eseguiti solo dopo che siano stati espressi i pareri delle competenti amministrazioni”, inserendo anche tale requisito tra i presupposti per effettuare gli interventi di completamento.

Tralasciando il fatto che nelle more del giudizio l’istanza di condono sia stata rigettata e indipendentemente dalle sorti del provvedimento di diniego di sanatoria, il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso proprio per l’assenza di questo specifico iter procedimentale richiesto dalla legge sul primo condono edilizio.

L’appellante, infatti, non ha dimostrato di aver prodotto una vera e propria notifica ai sensi del citato art. 35 che necessita il chiaro ed espresso intendimento di effettuare opere di completamento in pendenza di istanza di condono, assumendosene la responsabilità, producendo una perizia giurata o, comunque, documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi.

Inoltre, le opere di completamento sono subordinate ai pareri delle competenti amministrazioni.

Nel caso si specie le aree erano pacificamente gravate da vincoli paesaggistici e, pertanto era necessario il parere sia della Soprintendenza Speciale, sia quello da parte della Soprintendenza alle belle arti ed al paesaggio, nel caso di specie assente al momento della realizzazione delle opere di completamento e successivamente reso di segno negativo.

Quanto alla sanzione demolitoria, le opere di completamento abusive derivano l’abusività dall’immobile cui accedono e devono seguire il regime sanzionatorio previste per quest’ultimo, che nel caso di specie è di natura demolitoria.

Nello specifico, le opere di completamento in questione consistevano nella realizzazione di nuove tramezzature, apposizione di infissi e finestre con conseguente creazione di quattro stanze aggiuntive e due bagni, ovverosia di interventi non marginali che ben giustificano di per sé l’ingiunzione della riduzione in pristino.

In definitiva il ricorso è stato respinto e la demolizione confermata.

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