07/02/2020 – C’è danno erariale se il dirigente assegna un incarico esterno di consulenza giuridico-legale in presenza dell’avvocatura interna

C’è danno erariale se il dirigente assegna un incarico esterno di consulenza giuridico-legale in presenza dell’avvocatura interna
di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone, Gianluca Popolla – Dottore in giurisprudenza – esperto enti locali
 
La vicenda
La Procura regionale della Corte dei Conti per la Regione Piemonte ha appellato la sentenza del Collegio giurisdizionale contabile di primo grado, nella quale veniva respinta la richiesta di condannare due dirigenti del comune al pagamento del danno causato dal conferimento di due incarichi professionali conferiti ex art. 7, comma 6, D.Lgs. n. 165/2001.
Il giudizio innanzi la Sezione territoriale
Secondo la Procura gli incarichi in esame, concernenti la risoluzione di criticità giuridico amministrative in precipui settori dell’attività amministrativa, sono stati conferiti in violazione dei limiti e dei presupposti per la loro legittimità (in particolare oggetto specifico e determinato e attività non continuative volte a risolvere esigenze straordinarie o temporanee), determinando un danno all’Amministrazione per l’intero compenso, in quanto impossibile riscontrarne l’utile in assenza dei requisiti citati. Pertanto la Procura ha individuato nell’attività dei due dirigenti la violazione dell’art. 7, comma 6 e 36D.Lgs. n. 165/2001 configurando una colpa grave in capo ai resistenti in virtù della chiarezza della normativa sugli incarichi esterni. (art. 7, comma 6 e ss. D.Lgs. n. 165/2001).
La Sezione territoriale ha respinto la domanda in quanto ha ritenuto esistenti i presupposti di legittimità per il conferimento degli incarichi. In sintesi ha avallato la tesi dei resistenti sulla natura eccezionale e straordinaria delle esigenze del Comune, in relazione alla complessità della nuova normativa, in materie delicate per l’ente locale e al centro di oggettivi dubbi interpretativi, essendo pertanto necessario il ricorso a figure professionali esterne. Oltre ad accertare l’esistenza di esigenze specifiche dell’Amministrazione, i giudici territoriali hanno valutato il conferimento dell’incarico come foriero di “un oggettivo vantaggio a beneficio del Comune (…) a fronte di un compenso modesto”. Non rilevante è stato considerato il difetto della procedura comparativa.
Il giudizio di appello
La Procura ha impugnato innanzi la Corte dei Conti la sentenza della Sezione territoriale, censurandone molteplici aspetti. In via principale ha sottolineato la contraddittorietà delle motivazioni della sentenza del giudice contabile di primo grado sul carattere straordinario ed eccezionale delle esigenze del conferimento, in quanto l’incarico è stato assegnato ripetutamente al professionista e per attività che richiedono un’ordinaria conoscenza delle materie in questione. Inoltre, la Procura ha censurato la motivazione sul punto della carenza di personale, in linea con quello di altri comuni di dimensioni analoghe e sulla ritenuta irrilevanza di una mancata previa procedura comparativa. E’ stato contestato anche il punto relativo al vantaggio che il Comune avrebbe ottenuto dai conferimenti in quanto mera ipotesi non suffragata da accertamenti del giudice sui risultati conseguiti dall’attività in questione.
Gli appellati hanno ribadito l’esistenza di tutti i presupposti censurati dalla Procura, in particolare hanno affermato che la valutazione sul personale si sarebbe dovuta fare non sul livello quantitativo, bensì su quello qualitativo e che le carenze in tal senso sono state segnalate con ripetute note da uno dei due dirigenti chiamati in giudizio. In ogni caso gli incarichi sono da considerarsi, a loro dire, quali consulenze professionali e non come esternalizzazione di servizi, ragion per cui non sarebbe applicabile l’art. 7D.Lgs. n. 165/2001. Pertanto hanno concluso per il rigetto dell’appello.
Le precisazioni della Corte
La Corte, dall’analisi dell’art. 7, comma 6, lett. b) e c), ha dedotto che non sussistono i presupposti del conferimento di incarico esterno, possibile soltanto nei casi in cui abbia ad oggetto questioni determinate “cioè destinate ad esaurirsi con l’incarico” e che esulino dagli ordinari compiti degli uffici. Nel caso di specie l’incarico è da configurarsi come “un affiancamento esterno nell’esercizio di ordinarie attività inquadrabili nelle competenze di un dirigente o di un funzionario munito di laurea nel settore”, non essendo l’attività compiuta dal professionista esterno valutabile, secondo la Corte, come consulenza legale specifica o di alta specializzazione.
Sulla base del disposto dell’art. 7, comma 6, lett. b), la Corte ha poi posto l’attenzione sulla presunta carenza di personale adeguato, da cui sono scaturite le determinazioni di conferimento dell’incarico a professionista esterno e ha affermato che i dirigenti non hanno accertato in concreto l’esistenza di figure interne all’ente in grado di poter svolgere tali compiti. Infatti, i dirigenti hanno omesso di verificare la presenza di tali professionalità anche all’esterno del proprio settore di competenza ed estendere così l’indagine a tutto il personale dell’ente, per di più l’analisi “di tipo induttivo” del giudice di prime cure è apparsa “non corretta”, in quanto nel corso dell’istruttoria è risultato che all’epoca dei fatti lavorasse nel comune un Avvocato inserito in una struttura legale, circostanza che contraddice la decisione di primo grado.
Lo snodo cruciale per la decisione parte, però, dal rilievo che “l’appellata sentenza omette di considerare che l’attività di ordinaria interpretazione della norma e individuazione di un uniforme indirizzo operativo degli uffici su questioni generali trova nello stesso dirigente del Settore il primo referente e responsabile, al quale essa è tipicamente demandata”. Ha ricordato infatti la Corte che è l’art. 107TUEL ad attribuire ai dirigenti le competenze appena citate e che, nel caso di specie, “non risulta invece (…) che i due dirigenti abbiano accertato o dovuto affrontare l’impossibilità di risolvere le esigenze in questione con atti organizzativi di carattere generale”, come il ricorso ad esempio ad altri uffici od organi quali il Segretario comunale e il Sindaco. Né può essere considerato esimente per uno dei due resistenti il fatto che abbia con ripetute note richiesto un aumento della dotazione organica, perché “irrilevante rispetto al fatto costitutivo dell’illecito”.
In conclusione la Corte ha sostenuto la tesi per cui “i due incarichi sono stati conferiti in assenza dei presupposti di legittimità attinenti sia l’oggetto delle attività, che l’accertamento dell’inesistenza di professionalità interne al Comune adeguate a svolgerle”, mentre restano assorbite le questioni relative al metodo di affidamento degli incarichi, in quanto questi non potevano essere di base conferiti. Il collegio ha ritenuto che sussistesse l’elemento psicologico dell’illecito perché grave la negligenza commessa dei dirigenti con la violazione delle norme chiare e univoche sugli incarichi, materia a cui sono preposti per legge.
La sentenza della Corte
Per questi motivi la Corte dei Conti, Sezione III giurisdizionale centrale d’appello, ha accolto l’appello della Procura e, in riforma integrale dell’appellata sentenza, ha condannato i dirigenti a risarcire l’ente locale del danno erariale patito del valore corrispondente ai compensi illecitamente pagati al legale esterno.

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