07/02/2017 – ANAC e potere di regolazione.

Gent.mo Direttore leggendo il parere del Consiglio di Stato, Commissione Speciale, del 1° febbraio 2017 n. 282 su “Linee guida per l’iscrizione nell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall’art. 192 del d.lgs. 50/2016” mi convinco ancor di più sulla bontà delle tesi sostenute nell’articolo di seguito riportato.

I timori circa l’improprio utilizzo di un atto di cd. regolamentazione flessibile (linee guida a natura vincolante), definito dal Consiglio di Stato (par. n.855/2016) come atto amministrativo generale, per introdurre disposizioni precettive ad efficacia integrativa o modificativa “delle elastiche regole fissate dalla legge” (sic!) rendono le riflessioni contenute nel mio articolo quanto mai attuali.

 Tali timori in realtà finiscono per riguardare lo scardinamento del sistema delle fonti del diritto.L’ironia usata dal Consiglio di Stato vela con sardonico sorriso la pur seria questione dell’esatto rilievo da dare a questi atti nel complesso sistema giuridico. Ed aggiungerei nell’ambito del cd. diritto vivente in cui le acquisizioni dottrinali e giurisprudenziali corrono il rischio di essere incise profondamente da prassi poco meditate. Basti al riguardo la seguente affermazione:

“La “sorte” del contratto, peraltro, resta disciplinata dalle apposite norme in tema di risoluzione (art. 108 del codice), recesso (art.109 del codice) e inefficacia (art. 121 c.p.ca).

Va soggiunto, per completezza, che la previsione della revoca del contratto è eccentrica rispetto all’art. 16 del citato d.lgs. n. 175 del 2016 sulle società pubbliche…..” (sic!).

In disparte la ricostruzione dell’istituto dell’iscrizione nell’elenco delle società in house operata dal Consiglio di Stato secondo lo schema giuridico e concettuale proprio della segnalazione certificata di cui all’art. 19 della legge n. 241/1990 e del correlativo controllo in termini di adozione di atti inibitori.

Ma pare possibile che agli effetti regolatori si finisca, in via meramente giurisprudenziale, per introdurre istituti giuridici che in fin dei conti incidono sensibilmente  nella sfera giuridica di soggetti le cui capacità e diritti, così come il modo di esercitarli, non possono che essere oggetto di disciplina legislativa? E qui mi fermo. 

Cordiali saluti. Vincenzo Marchianò

ANAC  e potere di regolazione. 

(articolo apparso sulla rivista Appalti e Contratti – ed. Maggioli – fasc. 7-8  2016 )

                       Sulla natura giuridica degli atti di regolazione dell’ANAC, denominati linee guida dalla legge delega 11/2016 e dal decreto legislativo 50/2016, autorevoli studiosi hanno già avuto modo di esprimersi, ma prim’ancora si era espresso il Consiglio di Stato nel parere n.855/2016 reso sullo schema di decreto legislativo.

                        E’ bene ricordare come tali atti nascono nell’ambito di una scelta di politica legislativa, operata dalla legge delega, volta ad “una drastica riduzione e razionalizzazione del complesso delle diposizioni legislative, regolamentari e amministrative vigenti” e un “più elevato livello di certezza del diritto e di semplificazione dei procedimenti”.

                        Sulla scorta di tali considerazioni viene enucleato un primo criterio direttivo contenuto nell’art.1, comma 1, lett. t), nel quale si pone in capo all’ANAC, accanto a vari poteri “di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio”, quello di adozione di “atti di indirizzo, quali linee guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, eventualmente “dotati di efficacia vincolante”, impugnabili in sede giurisdizionale amministrativa.

                        Dinnanzi a tale fenomeno giuridico, del tutto nuovo nel nostro ordinamento ed estraneo al sistema delle fonti definito dall’art.1 delle disposizioni sulla legge in generale, il Consiglio di Stato, cosciente del fatto “che una riforma, per quanto ben costruita, è tale solo quando raggiunge un’effettiva attuazione, che sia in grado di incidere “in concreto” su cittadini e imprese”  ed in ragione del fatto che “il successo (o il fallimento) di una  riforma dipende soprattutto dalla sua attuazione successiva, tramite la normativa secondaria, la regolazione e i provvedimenti applicativi da parte delle pubbliche amministrazioni”, ha ritenuto necessario individuare la natura giuridica di tali provvedimenti (nel caso in esame ci limitiamo alle linee guida dell’ANAC a carattere vincolante) nonché la loro collocazione nella gerarchia delle fonti.

                        Per tale tipologia di atti il supremo organo di giustizia amministrativa, escludendone la natura normativa extraordinem, in quanto tale riconoscimento potrebbe suscitare non poche perplessità di tipo sistematico e ordinamentale, soprattutto in assenza di un fondamento chiaro per un’innovazione così diretta del nostro sistema delle fonti, si orienta nel senso di riconoscerne la qualificazione di atti di regolazione tipici delle Autorità indipendenti, che non sono regolamenti in senso proprio ma atti amministrativi generali e, appunto, “atti di regolazione”.

                        In tal modo ne afferma la compatibilità, sotto il profilo degli effetti vincolanti ed erga omnes, con i criteri stabiliti nella legge delega (lett. t) ove si parla di “strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante”.

                        Ben si comprende lo sforzo del Consiglio di Stato nel ricercare soluzioni che rendano conciliabili gli atti premenzionati, e quindi il relativo potere da cui gli stessi promanano, con i principi e le regole sulla produzione del diritto vigenti nel nostro ordinamento.

                        Nel farlo però sia nel ragionamento logico-giuridico sia nelle conclusioni non appare molto convincente.

                        Sotto il primo aspetto introduce una sorta di distinzione per settori di materia e quindi di natura della relativa disciplina giuridica, si che  alle linee guida ed agli altri decreti “ministeriali” (ad esempio, in tema di requisiti di progettisti delle amministrazioni aggiudicatrici: art. 24, comma 2; e direzione dei lavori: art 111, commi 2 e 3) o “interministeriali” (art. 144, comma 5, relativo ai servizi di ristorazione) riconosce una chiara efficacia innovativa nell’ordinamento, che si accompagna ai caratteri di generalità e astrattezza delle disposizioni ivi previste, e pertanto tali atti, indipendentemente dal nomen juris  ad essi attribuito debbono essere considerati quali “regolamenti ministeriali” ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

                       Mentre le linee guida a carattere vincolante emanate dall’ANAC (ad esempio: art. 83, comma 2, in materia di sistemi di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici; art. 84, comma 2, recante la disciplina degli organismi di attestazione SOA; art. 110, comma 5, lett. b), concernente i requisiti partecipativi in caso di fallimento; art. 197, comma 3, di definizione di qualificazione del contraente generale) vengono comunque ricondotti alla tipologia di “altri atti di regolamentazione flessibile”.

                      E’ pur vero che nel primo caso le norme citate si riferiscono a decreti ministeriali; però la qualificazione formale scissa dal contenuto sostanziale degli atti in questione rischia di creare una sorta di inciampo definitorio che secondo il Consiglio di Stato doveva invece essere evitato proprio prescindendo “dal nomen juris” ad essi attribuito.

                      Non soccorre al riguardo la riconduzione di tali atti alla categoria dei “regolamenti ministeriali” ai sensi dell’art.17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

                     

                      Al riguardo in un’ottica sostanzialista integrata da considerazioni di tipo procedimentale la Corte di Cassazione ha stabilito che “i regolamenti si distinguono dagli atti e provvedimenti amministrativi di carattere generale, perché questi ultimi costituiscono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono destinati alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili, mentre i regolamenti sono espressione di una potestà normativa attribuita all’Amministrazione, con carattere secondario rispetto a quella legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolamentazione attuativa o integrativa della legge, ma egualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti che presentano appunto i caratteri della generalità ed astrattezza. Con riferimento ai regolamenti emessi dal potere esecutivo, al fine dell’attribuzione del carattere della normatività, assume, inoltre, rilievo l’espressa disciplina prevista nell’art. 17 della legge n. 400 del 1988, la quale all’uopo esige, sia per il caso di emissione con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sia per il caso di emissione con decreto ministeriale, che l’atto abbia la denominazione di regolamento e che sia stato emesso con un determinato procedimento, che comprende il parere del Consiglio di Stato, il visto e la registrazione della Corte dei Conti e la pubblicazione nella G.U” (Cassazione Civile, Sez. III, sent. n. 6933 del 05-07-1999).

                 D’altro canto con riferimento ai citati articoli 83, comma 2, in materia di sistemi di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici,  84, comma 2, recante la disciplina degli organismi di attestazione SOA,  110, comma 5, lett. b), concernente i requisiti partecipativi in caso di fallimento e 197, comma 3, di definizione di qualificazione del contraente generale, il cui ambito di disciplina è rimesso ad atti di regolazione flessibile rientranti nel genus degli atti amministrativi generali, non appaiono ben definiti i profili di differenziazione dalle fattispecie concrete rimesse invece alla disciplina regolamentare prima citata,  dal momento che come attenta dottrina ha posto in rilievo  tali atti di regolazione rivestono una portata normativa particolarmente pregnante, nella misura in cui finiscono per limitare o, comunque, condizionare l’accesso al mercato degli appalti pubblici e, in ultima analisi, lo stesso esercizio della libertà d’impresa.

                Si ha quindi la sensazione di assistere ad una scissione tra la forma (di atti amministrativi generali) e la sostanza (di atti normativi) che caratterizza tale tipologia di provvedimenti.

                 Autorevole dottrina  ha posto in evidenza una sorta di relazione vincolata tra la forma ed il contenuto, necessaria per individuare fra gli atti giuridici quelli che assumono il carattere di fonte da quelli che non lo assumono. Sotto il primo aspetto la forma è da intendersi nel seno pregnante del tipo di funzione di cui sono espressione, del tipo di procedimento e del tipo di soggetti che vi partecipano; se si vuole del tipo di potere giuridico che li produce. Mentre per il contenuto è la Costituzione che indica ed individua gli atti per i quali prescrive un determinato contenuto generale ed astratto, operando così una ricomposizione tra aspetto formale e aspetto sostanziale.

                 Fuor di dubbio  l’articolo 41 della costituzione, che stabilisce che l’iniziativa economica privata è libera e che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali, nel rinvio che opera ad un atto con natura ed effetti normativi, ne prescrive un determinato contenuto generale ed astratto.

                E pertanto nelle materie disciplinate nei richiamati articoli 83, comma 2, 84, comma 2, 110, comma 5, lett. b) e 197, comma 3, non si scorge forse un potere di conformazione dell’attività economica che incidendo sull’esercizio della libertà d’impresa la condiziona profondamente, tale da implicare un regime di disciplina con natura ed effetti sostanzialmente normativi?

               Inoltre vi è anche un’altra riflessione da fare.

               Essa attiene alla legittimazione democratica nella produzione del diritto.

               Come visto in precedenza la conformazione precettiva di diritti e libertà o l’introduzione di obblighi o doveri  può essere disposta solamente nell’esercizio di poteri e da parte di organi ai quali la Costituzione ne riconosce la legittimazione democratica: Parlamento e Governo.

              Nel quadro degli elementi costitutivi dell’unità giuridica, corrispondetemente all’unità politica, la fonte del diritto è quindi ogni atto che esprime formalmente processi di integrazione politica, avendo cura di accertare una qualità del potere o della funzione che esprime l’atto, è quindi a questa stregua che deve  intendersi il carattere di innovatività o creatività delle fonti del diritto. 

             A tal riguardo appare opportuno rammentare che l’art.117 della Costituzione prevede i diversi livelli istituzionali, in ragione della sfera di competenza ad essi riconosciuta, in cui si esplica il potere regolamentare.

             Dalle considerazioni che precedono appare dunque arduo sostenere che le linee guida dell’ANAC, nelle fattispecie sopra delineate, possano avere così penetranti effetti nella vita e nella soggettività giuridica ed economica di intere categorie di operatori economici, senza di converso operare innovazioni sostanziali di tipo ordinamentale tali da richiedere l’appropriatezza della fonte regolamentare nei termini sopra evidenziati, sulla base della semplice riconduzione di tali atti ad un atipico potere di regolazione.

             Né al riguardo si ritiene di poter assumere a fondamento di tale potere, riflesso di esigenze di flessibilità e velocizzazione del procedimento di disciplina, elementi puramente fattuali quali i rapidi e repentini cambiamenti che intervengono nel sistema economico nazionale e transfrontaliero. Altrimenti si dovrebbe  condividere l’assunto schmittiano che il potere del comando  sia da preferire all’imperio della legge.

                                          Vincenzo MARCHIANO’

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto