06/10/2017 – Provvedimento amministrativo e risarcimento del danno: non c’è rapporto automatico

Provvedimento amministrativo e risarcimento del danno: non c’è rapporto automatico

di Angelo Costa – Cultore della materia in Giustizia Amministrativa presso Università della Calabria – legal journalist – docente

 

Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica dell’annullamento di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica positiva, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento, della sussistenza della colpa in capo all’amministrazione e del nesso di causalità tra il provvedimento illegittimo ed il danno sofferto.

E’ quanto sottolineato dai giudici del T.A.R. per la Lombardia con una recente sentenza in tema di interdittiva antimafia.

Nella sentenza in commento, poi, i giudici amministrativi milanesi, a sostegno di tale assunto, hanno integralmente richiamato un orientamento giurisprudenziale, secondo il quale sono stati definiti i caratteri della colpa con specifico riferimento alla attività amministrativa relativa alle informative antimafia, regolate agli artt. 90 ss., D.Lgs. n. 159 del 2011.

In particolare, il Consiglio di Stato ha affermato che «la misura dell’interdittiva antimafia obbedisce a una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso (Cons. di Stato, Sez. III, 15 settembre 2014, n. 4693), potendo, perciò, restare legittimata anche dal solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’attività imprenditoriale (Cons. di Stato, Sez. III, 1 settembre 2014, n. 4441).

La configurabilità degli estremi della colpa dell’amministrazione nell’adozione delle informative antimafia non può, dunque, prescindere dalla considerazione del loro fine e del loro carattere, per come appena sintetizzati, e dev’essere scrutinata in coerenza con la funzione, con la natura e con i contenuti delle relative misure.

Non si potrà, in particolare, evitare di assegnare il dovuto rilievo alla portata della regola di azione, alla quale devono rispondere i Prefetti nell’esercizio della potestà in questione, che si rivela particolarmente sfuggente e di difficile decifrazione.

Come si è visto, infatti, il paradigma legale di riferimento, codificato, in particolare, dagli artt. 84 e 91D.Lgs. n. 159 del 2011, resta volutamente elastico, nella misura in cui affida al Prefetto l’apprezzamento di indici sintomatici “…di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società…” (art. 84, comma 3, D.Lgs. n. 159 del 2011) e, quindi, la formulazione di un giudizio prognostico dell’inquinamento della gestione dell’impresa da parte di organizzazioni criminali di stampo mafioso.

Quanto la pertinente attività provvedimentale resti connotata da elevati profili di discrezionalità, lo si desume dall’analisi del lessico usato dal legislatore per regolarla: l’uso dell’aggettivo “eventuali” e del sostantivo “tentativi” indicano, in particolare, la configurazione di presupposti del tutto incerti, ai fini della giustificazione della misura, sicché la delibazione prefettizia si risolve, a ben vedere, nell’analisi di indizi sintomatici del pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata nell’amministrazione della società e nella conseguente formulazione di un giudizio probabilistico della mera possibilità del condizionamento mafioso.

Si tratta, in altri termini, di una fattispecie del tutto peculiare: mentre, infatti, l’attività provvedimentale resta, in via generale, strutturata e regolata dalla definizione esatta, ad opera della disposizione legislativa attributiva del potere nella specie esercitato, dei presupposti stabiliti per la legittima adozione dell’atto in cui si esplica la funzione, che, per quanto connotato da scelte discrezionali, resta strettamente vincolato alla preliminare verifica della sussistenza delle condizioni che ne autorizzano l’assunzione, quella attinente alle informative antimafia risulta, al contrario, configurata dallo stesso legislatore come fondata su valutazioni necessariamente opinabili, siccome attinenti all’apprezzamento di rischi e non all’accertamento di fatti, e non, quindi, ancorata alla stringente analisi della ricorrenza di chiari presupposti, di fatto e di diritto, costitutivi e regolativi della potestà esercitata.

E’ proprio la segnalata funzione anticipatoria della soglia di contrasto alla criminalità organizzata che impedisce, a ben vedere, la previsione di parametri di azione più stringenti e cogenti e che impone, quindi, la disciplina della potestà considerata in termini così laschi, trattandosi di precludere ad imprese che rischiano di essere (e non che sicuramente sono) condizionate dai clan mafiosi di accedere a rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni».

Queste sono stati le premesse teoriche che hanno permetto di delineare i caratteri, da un lato, della colpa e, dall’altro, dell’errore scusabile dell’amministrazione per adozione di informative antimafia illegittime: «il carattere (necessariamente) elastico dei presupposti dell’esercizio della potestà amministrativa in questione impedisce, infatti, di declinare pedissequamente nella fattispecie considerata le medesime cause esimenti enucleate in via generale dalla giurisprudenza per escludere la colpa dell’Amministrazione.

Occorre, quindi, adattare le conclusioni già raggiunte, in astratto, in merito agli elementi costituivi dell’errore scusabile ad una fattispecie, normativa ed amministrativa, in cui la regola di condotta è tutt’altro che chiara ed univoca (e sul cui logico presupposto è stata, invece, costruita la teoria dell’errore scusabile).

Si deve, allora, rilevare che il beneficio dell’errore scusabile va riconosciuto (con conseguente esclusione della colpa e, quindi, della responsabilità dell’Amministrazione) nelle ipotesi in cui le acquisizioni informative, trasmesse al Prefetto dagli organi di polizia, risultano astrattamente idonee a formulare un giudizio plausibile sul tentativo di infiltrazione mafiosa, in quanto oggettivamente significative di intrecci e collegamenti tra l’organizzazione criminale e l’amministrazione dell’impresa, ancorché vengano, in concreto, giudicate insufficienti a giustificare ed a legittimare la misura dell’interdittiva.

Dev’essere, al contrario, negato l’errore scusabile (con conseguente affermazione della colpa e della responsabilità dell’amministrazione) nel diverso caso in cui le acquisizioni istruttorie si rivelino così labili e inconsistenti (per il numero esiguo e per la scarsa significatività dei relativi indici) da non consentire, secondo le comuni regole logiche del giudizio indiziario, alcun apprezzamento serio e attendibile (neanche in astratto) circa il pericolo del condizionamento mafioso dell’impresa.

Mentre, infatti, nel primo caso, la regola di azione risulta, sì violata, ma in un contesto fattuale che non consente di giudicare infranti i canoni di correttezza e proporzionalità, avendo il Prefetto decifrato gli indici sintomatici acquisiti come significativi di un rischio di infiltrazione mafiosa, ancorché in esito ad una valutazione giudicata carente, nella seconda ipotesi, invece, deve ritenersi inosservato proprio il parametro valutativo che costituisce il criterio di condotta al quale deve obbedire il Prefetto, che ha formulato il giudizio sul tentativo di infiltrazione mafiosa dell’impresa sulla base di indici talmente carenti ed equivoci da non permettere alcun serio apprezzamento dell’esistenza del relativo rischio e, quindi, in spregio delle comuni regole di buona fede e imparzialità, nonché di quella della coerenza della determinazione finale con le risultanze di un’istruttoria compiuta ed esauriente» (Cons. di Stato, Sez. III, n. 3707/2015).

Il thema decidendum vedeva Tizio che ha chiesto la condanna del Ministero dell’interno al risarcimento dei danni subiti per effetto dell’informativa antimafia e della relazione della commissione interforze, atti che sono stati annullati con sentenza del Tar confermata con sentenza del Consiglio di Stato.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’interno, chiedendo il rigetto del ricorso.

L’Avvocatura erariale ha formulato istanza di rimessione in termini e di differimento dell’udienza di discussione del merito del ricorso in quanto avrebbe appreso della fissazione dell’udienza di discussione solamente dopo la scadenza dei termini per il deposito delle difese di cui all’art. 73cod. proc. amm.: l’avviso di fissazione dell’udienza risulterebbe essere stato preso in carico dal sistema informativo dell’Avvocatura erariale solamente in data successiva, per cause che sarebbero in corso di accertamento.

La ricorrente si è opposta al rinvio dell’udienza pubblica ed ha altresì eccepito la tardività della memoria depositata dall’Avvocatura dello Stato.

Il Presidente ha comunicato alle parti la decisione del Collegio di rigettare l’istanza di differimento dell’udienza.

Con ricorso Tizio ha domandato il risarcimento dei danni derivanti dall’interdittiva antimafia.

Secondo il T.A.R. la domanda risarcitoria è infondata.

T.A.R. Lombardia, Sez. I, 28 settembre 2017, n. 1870

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto