03/05/2018 – Il ripristino temporaneo delle progressioni verticali nel pubblico impiego privatizzato

Il ripristino temporaneo delle progressioni verticali nel pubblico impiego privatizzato

di Massimo Asaro – Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali

 

Il D.Lgs. n. 75 del 2017 è uno dei provvedimenti governativi emanati in esecuzione della delega contenuta nella L. 7 agosto 2015, n. 124, recante riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, e, in particolare, l’art. 16, commi 1, lett. a), e 2, lett. b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lett. a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), recante delega al Governo per il riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Lo schema di decreto governativo è stato sottoposto a preventivo parere parlamentare. La disposizione in esame è il comma 15 dell’art. 22 che così stabilisce: Per il triennio 2018-2020, le pubbliche amministrazioni, al fine di valorizzare le professionalità interne, possono attivare, nei limiti delle vigenti facoltà assunzionali, procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo, fermo restando il possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno. Il numero di posti per tali procedure selettive riservate non può superare il 20 per cento di quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria. In ogni caso, l’attivazione di dette procedure selettive riservate determina, in relazione al numero di posti individuati, la corrispondente riduzione della percentuale di riserva di posti destinata al personale interno, utilizzabile da ogni amministrazione ai fini delle progressioni tra le aree di cui all’articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Tali procedure selettive prevedono prove volte ad accertare la capacità dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di problemi specifici e casi concreti. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni, l’attività svolta e i risultati conseguiti, nonché l’eventuale superamento di precedenti procedure selettive, costituiscono titoli rilevanti ai fini dell’attribuzione dei posti riservati per l’accesso all’area superiore. L’art. 22 è rubricato “Disposizioni di coordinamento e transitorie” pertanto è essenzialmente un contenitore di disposizioni serventi rispetto alle disposizioni degli articoli che lo precedono e con le disposizioni di altre fonti preesistenti non abrogate. Secondo la relazione tecnica di accompagnamento alla richiesta di parere, l’art. 22 conterrebbe disposizioni che “non comportano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, eppure il comma 15 tratta delle progressioni verticali che comportano sia un miglioramento professionale sia conseguentemente un miglioramento economico per il dipendente, con una maggiore spesa per l’ente pubblico.

Obiettivi di medio/lungo periodo che il D.Lgs. n. 75 del 2017 intende raggiungere sono:

– superamento del precariato presso le pubbliche amministrazioni;

– ricorso da parte delle amministrazioni pubbliche a contratti flessibili come extrema ratio, percorribile solo laddove non sia possibile far fronte alle ordinarie esigenze di servizio mediante il personale di ruolo;

– ringiovanimento del personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni; maggiore qualificazione dei futuri dipendenti pubblici;

– creazione di una funzione pubblica di standing europeo capace di dialogare ed eventualmente anche lavorare direttamente presso istituzioni straniere;

– svincolare le assunzioni presso le pubbliche amministrazioni dall’astratto limite delle piante organiche, tarandole piuttosto sulle esigenze effettive;

– adozione di un piano triennale dei fabbisogni di personale coerente non solo con le apposite linee di indirizzo ma anche con l’organizzazione degli uffici e con la pianificazione pluriennale delle attività e della performance per una programmatica copertura del fabbisogno di personale nei limiti delle risorse finanziarie disponibili;

– possibilità. di rimodulare le dotazioni organiche in base ai fabbisogno programmati e alle assunzioni da effettuare svincolata dal riferimento alla distribuzione del personale tra i livelli di inquadramento;

– previsione espressa dell’implementazione dei modelli relativi alla rilevazione dei dati del personale per acquisire informazioni sempre aggiornate sulle competenze professionali e i fabbisogni;

– previsione dell’adozione di misure correttive a seguito del monitoraggio su eventuali incrementi di spesa correlati alle politiche assunzionali per non compromettere gli obiettivi e gli equilibri di finanza pubblica;

– garantire il superamento del precariato anche mediante l’assunzione a tempo indeterminato del personale non dirigenziale che abbia prestato servizio con contratti a tempo determinato;

– garantire il superamento del precariato anche mediante l’assunzione a tempo indeterminato del personale non dirigenziale che abbia prestato servizio con contratti di lavoro flessibile; assicurare l’integrazione in ambiente di lavoro delle persone con disabilità attraverso l’istituzione di una Consulta Nazionale.

Passando all’esame della specifica disposizione del comma 15, essa detta una regolamentazione di durata limitata al primo triennio di applicazione del decreto, il triennio 2018/2020, perciò è correttamente collocata nell’art. 22. La disposizione stabilisce una procedura eccezionale rispetto a quella ordinaria indicata nell’art. 52D.Lgs. n. 165 del 2001 (come modificato nel 2009) secondo cui Le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini della progressione economica e dell’attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l’accesso all’area superiore. Per gli Enti locali, il D.Lgs. n. 267 del 2000 all’art. 91, comma 3 stabiliva (prima della riforma del 2009) e stabilisce ancora che Gli enti locali che non versino nelle situazioni strutturalmente deficitarie possono prevedere concorsi interamente riservati al personale dipendente, solo in relazione a particolari profili o figure professionali caratterizzati da una professionalità acquisita esclusivamente all’interno dell’ente [cfr. R. Guizzardi, Le progressioni di carriera: quali nuove possibilità , in Azienditalia – Il Personale, 2017, 11, 551].

Secondo il Consiglio di Stato (cfr. Sez. III – Sent. n. 3284 del 2015) dopo l’entrata in vigore degli artt. 24 e 62D.Lgs. n. 150 del 2009, le progressioni fra aree diverse avvengono tramite concorso pubblico o scorrimento delle graduatorie di concorsi pubblici già espletati, mentre non può più ricorrersi a procedure selettive interne -come quelle previste dall’art. 15 del CCNL 2002-2005 relativo al comparto delle Istituzioni e Enti di ricerca e sperimentazione per la progressione dal livello “ricercatore” al livello superiore “primo ricercatore- e tanto meno può procedersi allo scorrimento di graduatorie risultanti dalle medesime procedure selettive interne precedentemente svoltesi. Il Consiglio di Stato ha poi ricordato che, in base all’art. 97, comma 4, della Costituzione devono essere stabilite per legge, e non dalla contrattazione collettiva, le modalità di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le loro modificazioni. Ciò anche in base a numerose sentenze della Corte costituzionale che hanno così interpretato l’art. 97, comma 4, della Costituzione (ex plurimis, sentenze n. 7 e n. 108 del 2011n. 159 del 2005n. 34 del 2004n. 218 e n. 194 del 2002, n. 1 del 1999).

Secondo i magistrati contabili:

a) l’esplicito riferimento letterale della norma al “…numero di posti…” non lascia alcun dubbio in merito alla computabilità numerica dei dipendenti (teste) da considerare ai fini delle progressioni verticali, indipendentemente dall’entità (percentuale) della spesa sulla quale tali “nuove assunzioni” possono incidere;

b) il predetto limite percentuale del 20% è riferito al numero complessivo dei posti “…previsti (…) come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria…” nell’intero arco di piano 2018/2020, non necessariamente in ciascuno dei tre anni solari del periodo.

Dunque, nello stesso triennio delle progressioni verticali (2018-2020), è inoltre ammessa la “stabilizzazione” del personale (si veda l’art. 20D.Lgs. n. 75 del 2017, sul “superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”) realizzabile ed avente appunto analoghe finalità di “macro-riorganizzazione” [cfr. Magri, Il lavoro pubblico tra sviluppo ed eclissi della “privatizzazione” – il commento in Giornale Dir. Amm., 2017, 5, 581].

In via conclusiva, si deve dare atto che i nuovi CCNL (Funzioni centrali, Funzioni locali, Istruzione, Università e Ricerca) non recano alcuna disciplina inerente criteri e procedure di progressione verticale, essendo la materia sottratta alla contrattazione anche integrativa. Per gli Enti pubblici di ricerca permane una residuale “progressione economica di livello” nell’ambito dei profili IV-VIII (si veda l’art. 90 CCNL 2018).

Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Puglia, Delib. 23 marzo 2018, n. 42/PAR/2018

D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75, art. 22, comma 15 (G.U. 7 giugno 2017, n. 130)

 
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