Equo compenso e nuovo codice: prima sentenza tar – compenso non ribassabile – eterointegrazione legge 49/2023 applicabile – nessun contrasto con le direttive comunitarie (art. 8 , art. 108 d.lgs. 36/2023)

Più nel dettaglio, ed in estrema sintesi, il ricorrente ha evidenziato come a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 49/2023 in materia di “equo compenso”, le tariffe stabilite dal D.M. 17 giugno 2016 non possano più costituire un mero criterio o base di riferimento per le Stazioni Appaltanti ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento, in quanto dovrebbero essere considerate un parametro vincolante e inderogabile per la determinazione dei corrispettivi negli appalti di servizi di ingegneria e di architettura, con la conseguente impossibilità per gli operatori economici di sottoporre a ribasso la componente “compensi” nell’ambito delle procedure di gara da svolgere con il criterio di aggiudicazione dell’offerta qualitativamente migliore in base al rapporto qualità/prezzo. Ciò in quanto la legge sul c.d. “equo compenso” ha stabilito che al professionista intellettuale, all’esito della gara o dell’affidamento, deve essere riconosciuto un corrispettivo proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, presumendo tale equità qualora il corrispettivo venga determinato ai sensi dei decreti ministeriali adottati in base all’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1. Al tempo stesso, la legge n. 49/2023 ha previsto la nullità delle clausole che non prevedano un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, in quanto inferiore agli importi fissati dai parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini, consentendo soltanto al professionista di far valere tale nullità dinnanzi al giudice ordinario.
In questa logica (che sarebbe supportata anche dalla delibera ANAC n. 343 del 20.7.2023, resa in sede di precontenzioso), la Stazione Appaltante, pur apparentemente applicando tali principi, non li avrebbe utilizzati correttamente, posto che tutti gli operatori economici, incluso l’aggiudicatario, hanno formulato offerte economiche al ribasso, rispetto all’importo a base di gara, che hanno comportato una riduzione del compenso per l’attività di progettazione rispetto a quello “equo” determinato ai sensi del D.M. 17 giugno 2016; al contrario, il ricorrente ha affermato di avere presentato un’offerta economica con un ribasso limitato e tale da salvaguardare l’equo compenso, essendo comunque superiore all’importo determinato per tale voce dalla stessa Amministrazione nella disciplina di gara.
[…]

La Stazione appaltante, inoltre, ha evidenziato il possibile contrasto tra la legge n. 49/2023, come interpretata dal Raggruppamento ricorrente, e gli artt. 49, 56, 101 TFUE, nonché con quanto previsto dalla Direttiva 2006/123/CE e dagli artt. 3, 41, 81, 117 Cost. e ha sollecitato il Collegio a formulare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia o a sollevare la questione di legittimità costituzionale innanzi alla Corte Costituzionale, qualora intenda accogliere la ricostruzione normativa formulata dal ricorrente.
[…]

2. Nel merito.
Il Collegio ritiene di doversi, in primo luogo, soffermare sull’esame della legge n. 49/2023, per quanto in questa sede di interesse.
Come è noto, con l’approvazione della legge 21 aprile 2023, n. 49, pubblicata sulla G.U. 5 maggio 2023, n. 104 (ed entrata in vigore in data 20 maggio 2023), il legislatore ha riscritto le regole in materia di compenso equo per le prestazioni professionali con l’intento di incrementare le tutele per quest’ultime, garantendo la percezione, da parte dei professionisti, di un corrispettivo equo per la prestazione intellettuale eseguita anche nell’ambito di quei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di “contraenti deboli”.
Più nel dettaglio, la novella normativa, che trova applicazione in favore di tutti i professionisti, a prescindere dalla loro iscrizione ad un ordine o collegio, ha previsto (art. 1) che per compenso equo deve intendersi la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente:
a) per gli avvocati, dal decreto del Ministro della giustizia emanato ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247;
b) per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;
c) per i professionisti di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, dal decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy.
Il successivo articolo 2, inoltre, ha specificato che la legge in esame trova applicazione ai rapporti professionali fondati sulla prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 c.c., regolamentati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali prestate a favore di imprese bancarie e assicurative, delle loro società controllate e delle loro mandatarie, imprese che, nell’anno precedente al conferimento dell’incarico, hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori ovvero hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro e, infine, per le prestazioni rese in favore della Pubblica Amministrazione.
Il legislatore ha quindi stabilito la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, come determinato dall’art. 2, introducendo una nullità relativa o di protezione che consente al professionista di impugnare la convenzione, il contratto, l’esito della gara, l’affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che prevede un compenso iniquo innanzi al Tribunale territorialmente competente in base al luogo in cui ha la residenza per far valere la nullità della pattuizione, chiedendo la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività professionale prestata con l’applicazione dei parametri previsti dai decreti ministeriali relativi alla specifica attività svolta dal professionista.
Lo scopo della normativa in esame, come visto, è quello di tutelare i professionisti nell’ambito dei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di “contraenti deboli” ed emerge ulteriormente dalla previsione per la quale gli stessi ordini e i collegi professionali sono chiamati ad adottare disposizioni deontologiche volte a sanzionare il professionista che violi le disposizioni sull’equo compenso.

Compenso non ribassabile.

2.1. Ebbene, è opinione di questo Collegio che non vi sia alcuna antinomia in concreto tra la legge n. 49/2023 e la disciplina del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50/2016 (applicabile, ratione temporis, alla fattispecie in oggetto).
La tesi dell’antinomia è stata prospettata, con maggior precisione, dall’Amministrazione resistente, la quale ha osservato che l’art. 95, d.lgs. 50/2016 (così come oggi l’art. 108, c. 1 d.lgs. 36/2023) ha previsto tre diversi criteri di aggiudicazione: 1) affidamento “sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo”; 2) affidamento sulla base “dell’elemento prezzo”; 3) affidamento sulla base “del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita”, con competizione limitata ai profili qualitativi.
Secondo la Stazione appaltante, quindi, poiché il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa è fondato “sul miglior rapporto qualità/prezzo”, a seguito dell’entrata in vigore della legge su c.d. “equo compenso”, le gare per servizi di architettura o di ingegneria dovrebbero essere strutturate e aggiudicate sulla base di un “prezzo fisso” non ribassabile, individuato dalla stessa P.a. come corrispettivo posto a base di gara, con competizione limitata alla sola componente tecnica dell’offerta e con una evidente compromissione della libera contrattazione, del confronto competitivo tra operatori economici e dei principi comunitari in materia di libertà di circolazione, di stabilimento e di prestazione di servizi.
Nel medesimo solco interpretativo, come segnalato dalla Stazione appaltante e dal Raggruppamento aggiudicatario, si è parzialmente collocata anche l’Anac che, oltre a sollecitare un intervento chiarificato del legislatore, ha evidenziato dei dubbi circa l’applicabilità della legge sull’equo compenso alla materia dei contratti pubblici.
Il Collegio ritiene la tesi in esame non condivisibile.
Si deve ricordare, in via generale, che un’antinomia può configurarsi “in concreto” allorché – in sede di applicazione – due norme connettono conseguenze giuridiche incompatibili ad una medesima fattispecie concreta. Ciò accade ogniqualvolta quest’ultima sia contemporaneamente sussumibile in due ipotesi normative diverse, l’applicazione delle quali, comporti, in conformità a quanto previsto dall’ordinamento giuridico, conseguenze giuridiche incompatibili tra loro.
In tale ipotesi, l’interprete è chiamato ad effettuare una interpretazione letterale, teleologica e adeguatrice delle norme in apparente contrasto, al fine di determinarne il significato che è loro proprio, coordinandole anche in un più ampio sistema di norme, rappresentato dall’ordinamento giuridico.
Nell’ipotesi in esame, l’interpretazione letterale e teleologica della legge n. 49/2023 depone in maniera inequivoca per la sua applicabilità alla materia dei contratti pubblici.
Come già esposto, infatti, il legislatore, al dichiarato intento di tutelare i professionisti intellettuali nei rapporti contrattuali con “contraenti forti” ha espressamente previsto l’applicazione della legge anche nei confronti della Pubblica Amministrazione e ha riconosciuto la legittimazione del professionista all’impugnazione del contratto, dell’esito della gara, dell’affidamento qualora sia stato determinato un corrispettivo qualificabile come iniquo ai sensi della stessa legge.
Non a caso, l’art. 8, d.lgs. n. 36/2023, oggi prevede che le Pubbliche Amministrazioni, salvo che in ipotesi eccezionali di prestazioni rese gratuitamente, devono garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale.
Sul piano letterale e teleologico, pertanto, gli elementi sopra evidenziati depongono in maniera chiara per l’applicabilità delle previsioni della legge n. 49/2023 anche alla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 50 del 2016; diversamente opinando, l’intervento normativo in questione risulterebbe privo di reale efficacia sul mercato delle prestazioni d’opera intellettuale qualora il legislatore avesse inteso escludere i rapporti contrattuali tra i professionisti e la Pubblica Amministrazione che, nel mercato del lavoro attuale, rappresentano una percentuale preponderante del totale dei rapporti contrattuali conclusi per la prestazione di tale tipologia (si ricorda, a titolo esemplificativo, che con riferimento al 2021 l’Anac, in un periodo ancora condizionato dall’emergenza pandemica, ha stimato in circa 70 miliardi di euro il valore totale degli appalti di servizi aggiudicati dalle Pubbliche Amministrazioni).
Il Collegio ritiene, poi, che sia comunque applicabile, anche successivamente all’entrata in vigore della legge n. 49/2023, il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo.
Infatti, mediante l’interpretazione coordinata delle norme in materia di equo compenso e del codice dei contratti pubblici (nel caso in esame, del d.lgs. n. 50/2016, ma il ragionamento è analogo anche con riguardo al d.lgs. n. 36/2023) si può affermare che il compenso del professionista sia soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato dall’Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle “spese ed oneri accessori”.
L’Amministrazione è chiamata a quantificare tali voci in applicazione del D.M. 17 giugno 2016 per individuare l’importo complessivo da porre a base di gara; al tempo stesso, la voce “compenso”, individuata con tale modalità come una delle voci che costituiscono il prezzo, è da qualificare anche come compenso equo ai sensi della legge n. 49/2023, che sotto tale aspetto stabilisce che è equo il compenso dell’ingegnere o architetto determinato con l’applicazione dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell’art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1.
A tale conclusione si perviene in ragione del fatto che le due tipologie di decreti ministeriali (ossia il D.M. 17 giugno 2016 e il DM 140/2012 adottato ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1) sono costruiti con l’applicazione degli stessi parametri e la valorizzazione delle medesime voci; lo stesso art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, inoltre, disciplina unitariamente sia la determinazione dei compensi liquidabili giudizialmente al professionista, sia la determinazione degli importi da porre a base di gara da parte delle Amministrazioni (art. 9.2.“ Ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Entro lo stesso termine, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe. Il decreto deve salvaguardare l’equilibrio finanziario, anche di lungo periodo, delle casse previdenziali professionali. Ai fini della determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura e all’ingegneria di cui alla parte II, titolo I, capo IV del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, si applicano i parametri individuati con il decreto di cui al primo periodo, da emanarsi, per gli aspetti relativi alle disposizioni di cui al presente periodo, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; con il medesimo decreto sono altresì definite le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi. I parametri individuati non possono condurre alla determinazione di un importo a base di gara superiore a quello derivante dall’applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell’entrata in vigore del presente decreto.”).
Ne deriva che il compenso determinato dall’Amministrazione ai sensi del D.M. 17 giugno 2016 deve ritenersi non ribassabile dall’operatore economico, trattandosi di “equo compenso” il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità di protezione e contrastante con una norma imperativa.
Nondimeno, trattandosi di una delle plurime componenti del complessivo “prezzo” quantificato dall’Amministrazione, l’operatività del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo, è fatta salva in ragione della libertà, per l’operatore economico, di formulare la propria offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori.
Siffatta conclusione, oltre ad assicurare la coerente e coordinata applicazione dei due testi normativi, consente di escludere che la legge n. 49/2023 produca di per sé effetti anti concorrenziali o in contrasto con la disciplina dell’Unione Europea (profilo che sarà esaminato più ampiamente nel prosieguo dell’esposizione). Si osserva, infatti, che escludere la proposizione di offerte economiche al ribasso sulla componente del prezzo rappresentata dai “compensi” non è un ostacolo alla concorrenza o alla libertà di circolazione e di stabilimento degli operatori economici, ma al contrario rappresenta una tutela per questi ultimi, a prescindere dalla loro nazionalità, in quanto permetterà loro di conseguire un corrispettivo equo e proporzionato anche da un contraente forte quale è la Pubblica Amministrazione e anche in misura superiore a quella che sarebbero stati disposti ad accettare per conseguire l’appalto; inoltre, l’operatore economico che, in virtù della sua organizzazione d’impresa, dovesse ritenere di poter ribassare componenti accessori del prezzo (ad esempio le spese generali) potrà avvantaggiarsi di tale capacità nell’ambito del confronto competitivo con gli altri partecipanti alla gara, fermo restando il dovere dell’Amministrazione di sottoporre a controllo di anomalia quelle offerte non serie o che, per la consistenza del ribasso offerto su componenti accessorie del prezzo, potranno apparire in buona sostanza abusive, ossia volte ad ottenere un vantaggio indebito traslando su voci accessorie il ribasso economico che, in mancanza della legge n. 49/2023, sarebbe stato offerto sui compensi.

Eterointegrazione Legge 49/2023 applicabile.

3. Da quanto finora esposto, deriva che la legge n. 49/2023 deve essere applicata anche alla procedura di gara oggetto del presente giudizio.
Al riguardo, deve essere evidenziato come la Stazione appaltante abbia espressamente richiamato la legge n. 49/2023 nell’ambito del controllo sull’anomalia dell’offerta del Raggruppamento aggiudicatario: tale richiamo non può essere derubricato ad un mero “aver tenuto conto”, come affermato dalla Stazione appaltante, posto che l’Amministrazione non è chiamata a tenere conto discrezionalmente di una legge in vigore, ma a darvi rigorosa applicazione.
Ma ciò che è dirimente osservare è che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Stazione appaltante e dal Raggruppamento aggiudicatario, la disciplina di gara deve ritenersi essere stata eterointegrata dalla legge n. 49/2023.
Tale istituto, come è noto, “ha come necessario presupposto la sussistenza di una lacuna nella legge di gara e, solo nel caso in cui la stazione appaltante ometta di inserire nella disciplina di gara elementi previsti come obbligatori dall’ordinamento giuridico, soccorre il meccanismo di integrazione automatica in base alla normativa in materia, analogamente a quanto avviene nel diritto civile ai sensi degli artt. 1374 e 1339 c.c., colmandosi in via suppletiva le eventuali lacune del provvedimento adottato dalla Pubblica amministrazione; l’invocato meccanismo sostitutivo/integrativo riesce quindi ad operare solo in presenza di norme imperative e cogenti” (si v. ex multis, Consiglio di Stato sez. III, 24/10/2017, n.4903).
Nel caso in esame, il bando di gara non ha previsto, espressamente, l’applicazione della legge sul c.d. “equo compenso” e non ha precluso la formulazione di offerte economiche al ribasso sulla componente “compenso” del prezzo stabilito; tale lacuna, con riferimento ad un profilo sottratto alla libera disponibilità della Stazione appaltante, deve ritenersi integrata dalle norme imperative previste dalla legge n. 49/2023 che, come visto, ha stabilito la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata.
Il fatto che il combinato disposto degli artt. 1, 2 e 3, l. n. 49 del 2023 integrino un’ipotesi di norma imperativa, non può, ad avviso del Collegio essere messo in dubbio.
Premesso che la già ricordata previsione testuale della nullità rappresenta, quantomeno, un indizio “forte”, al riguardo, occorre ricordare come, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, ‹‹il focus dell’indagine sulla imperatività della norma violata si appunta ora sulla natura dell’interesse leso che si individua nei preminenti interessi generali della collettività›› (Cass. civ., Sez. Un., 15 marzo 2022 n. 8472).
Nel caso di specie, l’imperatività della normativa in esame è associata non solo, come detto, alla previsione testuale della nullità, ma anche al fatto che lo scopo del provvedimento è quello di assicurare al professionista un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, sia in sostanziale attuazione dell’art. 36 Cost., sia per rafforzare la tutela dei professionisti nel rapporto contrattuale con specifiche imprese, che per natura, dimensioni o fatturato, sono ritenute contraenti forti, ovvero, per quanto in questa sede di interesse, con la P.a..
A tale riguardo, con particolare riguardo alle procedure di evidenza pubblica, è chiaro come non possono non venire in preminente rilievo anche i principi di imparzialità e buon andamento della P.a.: sarebbe irragionevolmente discriminatorio se i limiti imposti dalla normativa in esame non fossero rispettati, in modo particolarmente cogente, proprio dalla P.a. nell’ambito delle gare, laddove vengono in gioco anche interessi generali ulteriori correlati alla tutela della concorrenza e della par condicio dei concorrenti in gara.
In questo senso, con specifico riguardo alla rilevanza della disciplina sull’equo compenso nell’ambito delle procedure di gara, in combinato disposto con le previsioni contenute nel d.lgs. n. 50 del 2016, il Collegio ritiene che la natura relativa o di “protezione” della nullità in questione, così come emergente dall’art. 3, comma 4, l. n. 49 del 2023 (laddove prevede che ‹‹la nullità delle singole clausole non comporta la nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per il resto. La nullità opera solo a vantaggio del professionista ed è rilevabile d’ufficio››) non possa comportare l’irrilevanza della violazione dei compensi minimi in sede di gara.
Infatti, la norma in questione è di portata generale, ed è chiaramente pensata, in particolare, in funzione della già avvenuta stipula del contratto con il professionista, nell’ambito, quindi, del rapporto contrattuale con lo stesso instaurato.
D’altronde, pur non contenendo la normativa in esame una previsione puntuale in ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione in esame nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, è evidente che, in considerazione delle finalità di carattere generale sopra evidenziate, e, in particolare, al fine di garantire il puntuale rispetto del principio di imparzialità e buon andamento dell’attività della P.a., nonché dei principi anche eurounitari alla base delle procedure ad evidenza pubblica medesime, non può ammettersi un’aggiudicazione in palese violazione di una norma imperativa, ancorché nell’ambito del rapporto contrattuale “ a valle” la nullità del contratto possa essere dedotta solo dal professionista.
Diversamente, infatti, si rischierebbe, proprio nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, una pericolosa eterogenesi dei fini: il professionista concorrente potrebbe essere “tentato” di abusare della nullità di protezione in questione, volutamente presentando un’offerta “inferiore” ai minimi, per così ottenere l’aggiudicazione e, una volta stipulato il contratto far valere la nullità parziale al fine di attivare il “meccanismo” di cui al comma 6 dell’art. 3, ai sensi del quale ‹il tribunale procede alla rideterminazione secondo i parametri previsti dai decreti ministeriali di cui al comma 1 relativi alle attività svolte dal professionista, tenendo conto dell’opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista di acquisire dall’ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari, che costituisce elemento di prova sulle caratteristiche, sull’urgenza e sul pregio dell’attività prestata, sull’importanza, sulla natura, sulla difficoltà e sul valore dell’affare, sulle condizioni soggettive del cliente, sui risultati conseguiti, sul numero e sulla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate. In tale procedimento il giudice puo’ avvalersi della consulenza tecnica, ove sia indispensabile ai fini del giudizio›.
È evidente d’altronde, che ciò porterebbe ad un aggiramento del principio di tendenziale immutabilità dell’offerta anche in sede di esecuzione del contratto pubblico.
In questo senso, allora, la nullità relativa o di protezione si può ritenere giustificata proprio in relazione ai casi in cui il professionista è sostanzialmente “tenuto” a “subire” la previsione contraria all’equo compenso, e ciò anche eventualmente quando ad imporre la riduzione al di sotto dei minimi sia la P.a..
Diversamente, nell’ambito di gare, come quella in esame, dove la violazione della normativa sull’equo compenso non è imposta dalla P.a., ma dipende da una volontaria scelta dell’operatore economico al fine di ottenere l’aggiudicazione superando gli altri concorrenti, la natura “relativa” della nullità non può rivestire alcun rilievo, l’imperatività della normativa medesima imponendo, al contrario, un effetto escludente delle offerte con la stessa in contrasto.
Né possono deporre in senso contrario i principi di certezza del diritto o di legittimo affidamento, come valorizzato in un caso analogo dalla delibera Anac n. 101/2024. Su tale aspetto, il Collegio si limita ad osservare, trattandosi di delibera che è stata oggetto di ampia discussione orale tra le parti, che sono proprio i principi da ultimo indicati a determinare la necessaria integrazione della disciplina di gara nel caso concreto, posto che la legge n. 49/2023 ha stabilito delle norme di carattere imperativo in merito a profili che sono estranei alla libera determinazione delle Amministrazioni aggiudicatrici. Ne deriva che soltanto tramite il meccanismo di integrazione finora descritto può essere tutelato l’affidamento degli operatori economici sul legittimo esercizio dell’azione amministrativa nel caso concreto.

Nessun contrasto con le Direttive Comunitarie.

4. Le conclusioni a cui si è pervenuti rendono necessario scrutinare le questioni pregiudiziali poste dalla Stazione appaltante in ordine al possibile contrasto tra la legge n. 49/2023, come interpretata da questo Collegio, e gli artt. 49, 56, 101 TFUE, nonché con quanto previsto dalla Direttiva 2006/123/CE e dagli artt. 3, 41, 81, 117 Cost.
4.1. Più nel dettaglio, la Stazione appaltante ha osservato come l’esclusione della formulazione di ribassi sui compensi si tradurrebbe nell’imposizione da parte del legislatore di tariffe obbligatorie prive di flessibilità, idonee ad ostacolare la libertà di stabilimento, di prestazione di servizi e la libera concorrenza nel mercato europeo. Allo stesso modo, si avrebbe, a giudizio della Stazione appaltante, un evidente contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, di proporzionalità e un incremento della spesa pubblica senza che la stessa legge n. 49/2023 abbia previsto le risorse con cui farvi fronte. Ciò in quanto per i contratti a cui tale legge risulterà applicabile, l’Amministrazione committente potrebbe essere condannata dal Tribunale ordinario al pagamento dei compensi per l’attività professionale svolta dall’operatore economico che abbia deciso di impugnare, entro il termine prescrizionale di dieci anni successivi alla conclusione del rapporto negoziale, il contratto, l’esito della gara o l’affidamento per far valere l’iniquità del compenso conseguito.
4.2. Il Collegio ritiene che entrambe le questioni pregiudiziali siano manifestamente infondate.
Quanto all’ipotizzata restrizione della libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, si deve ricordare come dalla giurisprudenza costante della CGUE emerga che la restrizione sia configurabile a fronte di misure che vietino, ostacolino o scoraggino l’esercizio di tali libertà (v., ex multis, sentenze 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia; 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France). Ciò si può configurare a fronte di misure che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudichino l’accesso al mercato per gli operatori economici di altri Stati membri.
Più nel dettaglio, affrontando la tematica delle disposizioni italiane che hanno imposto agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime, la Corte di Giustizia ha affermato che “una normativa di uno Stato membro non costituisce una restrizione ai sensi del Trattato CE per il solo fatto che altri Stati membri applichino regole meno severe o economicamente più vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro territorio (v. sentenza 28 aprile 2009, Commissione/ Italia, cit., punto 63 e giurisprudenza ivi citata).
L’esistenza di una restrizione ai sensi del Trattato non può dunque essere desunta dalla mera circostanza che gli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana devono, per il calcolo dei loro onorari per prestazioni fornite in Italia, abituarsi alle norme applicabili in tale Stato membro.
Per contro, una restrizione del genere esiste, segnatamente, se detti avvocati sono privati della possibilità di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci” (si v. sentenza C-565/08, Commissione/Italia).
Ebbene, nel caso in esame, il Collegio ritiene che la normativa nazionale non sia in grado di pregiudicare l’accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano da parte di operatori economici di altri Stati dell’Unione Europea.
In primo luogo, si osserva che l’impostazione seguita dalla legge n. 49/2023 deriva dal dichiarato intento del legislatore italiano di preservare il professionista intellettuale nell’ambito dei rapporti con “contraenti forti”, inclusa la Pubblica Amministrazione.
Infatti, in ragione delle peculiarità del mercato e dei servizi in esame, tali rapporti contrattuali potrebbero concretizzarsi nell’offerta di prestazioni al ribasso, e, attraverso una selezione avversa, persino nell’eliminazione degli operatori che offrono prestazioni di qualità. Nel perseguimento di tale interesse di portata generale (già ritenuto dalla Corte di Giustizia UE idoneo a giustificare la previsione di “tariffe” minime, si v. sentenza C-377/17 Commissione c. Repubblica federale di Germania e Ungheria) la previsione dell’inderogabilità al ribasso della voce “compensi”, oltre a trovare applicazione omogenea nei confronti di ogni operatore economico, non appare in grado di ostacolare la partecipazione alle gare pubbliche.
Infatti, tale previsione si risolve nel riconoscimento, in favore dell’aggiudicatario, di un compenso equo, proporzionato alla prestazione intellettuale eseguita, e ipoteticamente anche in misura superiore a quello che avrebbe accettato qualora fosse stato ammissibile un ribasso sul proprio compenso.
Si tratta, pertanto, di un rafforzamento delle tutele e dell’interesse alla partecipazione alle gare pubbliche, rispetto alle quali l’operatore economico, sia esso grande o piccolo, italiano o di provenienza UE, è consapevole del fatto che la competizione si sposterà eventualmente su profili accessori del corrispettivo globalmente inteso (ad esempio, come visto, sulle spese generali) e, ancor di più, sul profilo qualitativo e tecnico dell’offerta formulata. Ciò è idoneo a produrre, a giudizio del Collegio, anche effetti pro-concorrenziali in favore del piccolo operatore economico, che sarà incentivato a partecipare alle pubbliche gare nella consapevolezza che non si troverà più a competere sulla voce “compensi” con gli operatori di grandi dimensioni, che per loro stessa natura possono essere maggiormente in grado di formulare ribassi su tale voce, mantenendo comunque un margine di utile rilevante.
Pertanto, il meccanismo derivante dall’applicazione della legge n. 49/2023 è tale da garantire sia dei margini di flessibilità e di competizione anche sotto il profilo economico, sia la valorizzazione del profilo qualitativo e del risultato, in piena coerenza con il dettato normativo nazionale e dell’Unione Europea. In particolare, si ricorda che, sin dalle direttive del 2014, il legislatore dell’UE ha voluto superare il criterio del minor prezzo quale strumento predominante di aggiudicazione delle pubbliche gare, favorendo il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che consente alla Stazione appaltante di strutturare l’aggiudicazione valorizzando la qualità dell’offerta tecnica, ma anche considerazioni ambientali, aspetti sociali o innovativi, pur tenendo conto del prezzo e dei costi.
Non si può pervenire ad un esito interpretativo difforme neanche alla luce della recente pronuncia della Corte di Giustizia (Causa C-438/22, sentenza del 25.1.2024) con cui è stato affermato che “L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE , in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dev’essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui un giudice nazionale constati che un regolamento che fissa gli importi minimi degli onorari degli avvocati, reso obbligatorio da una normativa nazionale, è contrario a detto articolo 101, paragrafo 1, esso è tenuto a rifiutare di applicare tale normativa nazionale nei confronti della parte condannata a pagare le spese corrispondenti agli onorari d’avvocato, anche qualora tale parte non abbia sottoscritto alcun contratto di servizi d’avvocato e di onorari d’avvocato”. In tale fattispecie, infatti, gli importi minimi degli onorari degli avvocati, pur essendo stati recepiti dal legislatore nazionale, erano stati determinati dalla stessa associazione di categoria nel perseguimento di un proprio interesse specifico e settoriale, con una finalità, quindi, del tutto diversa dall’obiettivo perseguito dal legislatore italiano attraverso la novella in esame che, imponendo di preservare l’equo compenso di tutti i professionisti intellettuali nei rapporti con la P.a., nell’ambito delle procedure di gare, ove, evita l’offerta di prestazioni al ribasso e la possibile eliminazione, dalle pubbliche gare, degli operatori che offrono prestazioni maggiormente qualitative.
Tale interesse generale, peraltro, è stato perseguito mediante un intervento normativo proporzionato e ragionevole, in cui comunque si è lasciata la possibilità all’operatore economico di differenziarsi anche sotto il profilo economico a condizione di salvaguardare l’equo compenso.
In questa prospettiva, non si ravvisa alcun contrasto con l’art. 3 Cost. per come enunciato dalla Stazione appaltante. Né, tantomeno, appare fondata la questione di illegittimità costituzionale proposta in quanto dall’applicazione della legge n. 49/2023 deriverebbero maggiori oneri per la finanza pubblica, senza una adeguata previsione normativa.
Al riguardo, fermo restando che non sono stati forniti elementi precisi a sostegno della contestazione in esame, va, per contro, osservato un maggior onere per le finanze pubbliche potrebbe derivare non tanto dall’applicazione in sede di gara dalle previsioni della l. n. 49 del 2023 sul c.d. equo compenso, quanto dalla stipulazione di contratti nulli da parte delle Stazioni appaltanti, che abbiano operato in contrasto con la norma imperativa: d’altronde, non può ragionevolmente affermarsi che sia quest’ultima norma a dover stanziare le risorse economiche per far fronte alle possibili e indeterminate (sotto il profilo dell’an e del quantum) violazioni del suo contenuto.
Ne deriva, pertanto, che deve essere affermata la piena compatibilità tra la legge n. 49/2023, da applicare come finora esposto alla fattispecie sottoposta a questo Collegio, e gli artt. 49, 56, 101 TFUE e gli artt. 3, 41, 81, 117 Cost.

TAR Venezia, 03.04.2024 n. 632

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