Con soli 5 mesi di ritardo la conferenza Stato-città e autonomie locali ha trovato l’accordo sul riparto delle riduzioni previste dal comma 533 della legge di bilancio 2024 (l 213/2023), che valgono complessivamente 250 milioni annui (200 per i comuni e 50 per gli enti di area vasta) fino al 2028. Il relativo decreto avrebbe dovuto essere perfezionato entro lo scorso 31 gennaio (termine poi prorogato inutilmente a fine marzo).
In discussione c’era la distribuzione. Per quantificare il sacrificio imposto alle singole amministrazioni la norma ha previsto due criteri: da un lato, l’incidenza della spesa corrente impegnata, al netto di quella relativa alla missione 12 (diritti sociali, politiche sociali e famiglia), dall’altro le risorse ricevute grazie al Pnrr.
Questo secondo parametro ha suscitato fin da subito molti interrogativi, non essendone chiaro nemmeno il “verso”. Si poteva pensare, infatti (e qualcuno lo ha sostenuto) che se un ente ha ricevuto molti fondi Pnrr (che perlopiù riguardano gli investimenti) ci siano buoni motivi per penalizzarlo meno sulla spesa corrente. Anche perché uno dei punti deboli del Piano di ripresa e resilienza è proprio la scarsità di risorse per far funzionare quanto realizzato.
Invece, si è scelta la strada opposta: tanto più hai ricevuto dal Pnrr tanto più devi concorrere alla finanza pubblica. Una impostazione assurda, che penalizza senza motivo gli enti che sono stati più bravi ad aggiudicarsi nuovi finanziamenti.
Chissà perché poi lo stesso non è stato considerato per ripartire la ex spending review informatica in base all’art. 6-ter del dl 132/2023,….