17/05/2021 – Equo compenso: non vale nelle gare pubbliche

TAR: “La disciplina dell’equo compenso non trova applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti”

Quando si parla di “equo compenso” si entra in un campo minato fatto di buone intenzioni, leggi e sentenze spesso in completo disaccordo tra loro che lasciano ampi margini di discrezionalità.

La prima volta che in Italia si è parlato di equo compenso è stato con il decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148 che con l’art. 19-quaterdecies ha previsto l’introduzione dell’art. 13-bis nella legge 31  dicembre  2012,  n. 247, in materia di equo compenso per le prestazioni  professionali degli avvocati.

L’articolo in questione ha fornito una definizione una definizione di equo compenso agganciato alla proporzionalità tra quantità e qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri determinati con Decreto del Ministro della giustizia, su proposta del Consiglio Nazionale Forense.

Sulla scia di questa legge, molte Regioni hanno pubblicato le loro leggi sull’equo compenso per tutte le professioni, agganciando il compenso al Decreto 17 giugno 2016 (c.d. Decreto Parametri). Ma il concetto di equo compenso ha sempre stentato a decollare e ad essere applicato in maniera diffusa dalle pubbliche amministrazioni. E una nuova sentenza ne dimostra anche il motivo.

Da registrare sull’argomento l’intervento del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia che con la sentenza 29 aprile 2021, n. 1071 ci fornisce nuovi spunti di riflessione sull’applicabilità della norma sull’equo compenso, soprattutto quando si parla di gare ad evidenza pubblica.

Nel nuovo intervento del TAR a proporre ricorso è un avvocato che ha partecipato ad una procedura comparativa per il conferimento del patrocinio legale della stazione appaltante (un Comune). Alla gara sono stati invitati a presentare un’offerta cinque professionisti, individuati tra quelli di comprovata esperienza nella materia del diritto amministrativo.

A seguito di presentazione delle offerte il Comune ha affidato l’incarico all’offerente che aveva presentato l’offerta più bassa che, secondo il ricorrente, sarebbe in contrasto con il principio dell’equo compenso previsto dagli articoli 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, e 19-quaterdecies, comma 3, del decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148.

Secondo il ricorrente, l’aggiudicazione del servizio legale per un compenso inferiore ai parametri ministeriali determinerebbe la violazione dei principi di efficienza e di proporzionalità e comporterebbe una prestazione non adeguata alla complessità dell’incarico professionale affidato.

Diverso il giudizio del TAR che sull’argomento si è già espresso diverse altre volte.

Secondo i giudici di primo grado quella dell’equo compenso è una disciplina speciale di protezione del professionista che ricopre la posizione di parte debole del rapporto con un cliente in grado di imporre il suo potere economico e di mercato mediante la proposta di convenzioni unilateralmente predisposte. Disciplina che è imposta anche alle pubbliche amministrazioni.

Ma questa disciplina non trova applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nelle fattispecie di formazione della volontà dell’amministrazione secondo i principi dell’evidenza pubblica, ove l’amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare.

La tutela avanzata della debolezza del professionista, a fronte del potere di mercato del cliente forte, può essere reclamata ove il professionista sia posto in condizione di incidere sul contenuto della clausola relativa al compenso professionale. Nel caso di specie, ovvero di gara in cui l’amministrazione chiede ai professionisti concorrenti di formulare un’offerta economica per una prestazione professionale, il cui oggetto è stato dettagliatamente individuato mediante l’invio del ricorso e di tutte le informazioni relative al suo oggetto, si crea un confronto concorrenziale finalizzato all’individuazione del compenso professionale.

I concorrenti sono stati pertanto posti nella condizione di calcolare liberamente, secondo le dettagliate informazioni fornite dall’Amministrazione, la convenienza economica del compenso in relazione all’entità della prestazione professionale richiesta, senza subire condizionamenti, limitazioni o imposizioni da parte del cliente.

Pertanto, il TAR non può esprimere considerazioni puntuali relative al grado di complessità e né reputare che il preventivo presentato non sia idoneo né a determinare un significativo squilibrio contrattuale a carico della stessa né ad esporre il Comune al rischio di un successivo intervento correttivo del giudice civile.

Tra le altre cose, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere la compatibilità con la disciplina dell’equo compenso persino delle procedure di affidamento di incarichi professionali gratuiti. Imporre alle pubbliche amministrazioni l’applicazione di parametri minimi rigidi e inderogabili, anche in assenza della predisposizione unilaterale dei compensi e di un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista, comporterebbe un’irragionevole compressione della discrezionalità delle stesse nell’affidamento dei servizi legali, in assenza delle condizioni di non discriminazione, di necessità e di proporzionalità che giustificano l’introduzione di requisiti restrittivi della libera concorrenza.

La violazione del principio dell’equo compenso da parte delle pubbliche amministrazioni avviene nel caso in cui le stesse abbiano fissato nella lex specialis un compenso in misura fissa per la prestazione di servizi legali, quali, ad esempio, un compenso pari a zero per le cause di valore inferiore ad una determinata soglia o un compenso forfettario annuo non proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.

Per queste motivazioni il ricorso è stato respinto.

TAR Lombardia, sez. I, sentenza 24 marzo – 29 aprile 2021, n. 1071

Presidente Giordano – Estensore Perilli

Fatto

1. In data 10 gennaio 2021 la cooperativa –omissis– ha notificato al Comune di Cernusco sul Naviglio il ricorso per l’annullamento, con contestuale istanza cautelare, della determinazione dirigenziale n. –omissis-, con la quale è stato affidato il servizio sociale distrettuale integrato.

Il ricorso, proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia e contraddistinto dal numero di ruolo generale –omissis-, veniva fissato, per la trattazione della domanda cautelare, alla camera di consiglio del 24 febbraio 2021.

In data 11 febbraio 2021 il Comune ha pertanto avviato una procedura comparativa per il conferimento del patrocinio legale dell’ente nel predetto giudizio e ha richiesto a cinque professionisti, individuati tra quelli di comprovata esperienza nella materia del diritto amministrativo, la presentazione di un preventivo dei costi per l’espletamento dell’incarico, previo invio di copia del ricorso e delle informazioni relative al valore dell’appalto che ne costituisce l’oggetto.

In data 12 febbraio 2021 sono pervenuti al Comune i preventivi di quattro professionisti.

Con deliberazione di Giunta n.-omissis– il Comune di Cernusco sul Naviglio ha conferito l’incarico difensivo all’avvocato –omissis-, la quale ha presentato il preventivo più conveniente, pari ad euro 4.544,80, i.v.a. esclusa.

1.1. Con ricorso notificato e depositato il 3 marzo 2021, l’avvocato –omissis-, il quale si è classificato terzo in graduatoria con la presentazione di un preventivo pari ad euro 7.882,16, i.v.a. esclusa, ha domandato l’annullamento della deliberazione della Giunta comunale n.-omissis-, con la quale è stato conferito l’incarico difensivo all’avvocato –omissis-, previa sospensione della sua efficacia, e, in via subordinata, l’annullamento della procedura comparativa, per i motivi di seguito specificati:

a) con i primi tre motivi del ricorso ha contestato la violazione del combinato disposto degli articoli 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, e 19-quaterdecies, comma 3, del decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148, convertito nella legge 4 dicembre 2017, n. 172, il quale impone alle pubbliche amministrazioni di garantire il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti nell’esecuzione di incarichi, in conformità ai parametri fissati dal decreto del Ministero della Giustizia; i preventivi presentati dall’avvocato –omissis– e dal secondo classificato, l’avvocato –omissis– (quest’ultimo pari ad euro 4.992,80, i.v.a. esclusa) non avrebbero pertanto dovuto essere presi in considerazione, in quanto inferiori ai parametri minimi stabiliti nel decreto del Ministro della Giustizia 10 marzo 2014, n. 55, aggiornato con decreto dell’8 marzo 2018, n. 37, per i ricorsi amministrativi di primo grado di valore indeterminabile di ordinaria difficoltà; il compenso proposto dall’avvocato –omissis– sarebbe addirittura manifestamente irrisorio, in quanto inferiore anche ai parametri minimi stabiliti per i ricorsi di valore indeterminabile di lieve difficoltà.

L’aggiudicazione del servizio legale per un compenso inferiore ai parametri ministeriali determinerebbe, secondo il ricorrente, la violazione dei principi di efficienza e di proporzionalità, di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in relazione ai rischi che il Comune assumerebbe di ottenere una prestazione non adeguata alla complessità dell’incarico professionale affidato e di vedersi dichiarare la nullità della clausola contrattuale, ai sensi dell’articolo 13-bis, comma 4, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, con conseguente integrazione giudiziale del compenso;

b) con il quarto motivo di ricorso, proposto in via subordinata, ha eccepito la illegittimità della scelta del criterio del prezzo più basso per l’affidamento di un incarico di prestazioni intellettuali, per violazione degli articoli 4, 17 e 95, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

1.2. Hanno resistito al ricorso l’avvocato –omissis– e il Comune di Cernusco sul Naviglio, i quali hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse alla sua decisione.

1.3. Con atto notificato e depositato in data 22 marzo 2021 ha spiegato intervento ad adiuvandum –omissis-, nella qualità di avvocato iscritto all’albo degli avvocati tenuto dall’Ordine degli avvocati presso la Corte di Appello di Milano, operante prevalentemente nel settore del diritto amministrativo.

1.4. Alla camera di consiglio del 24 marzo 2021, fissata per la trattazione della domanda cautelare, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione, con riserva di definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata.

Diritto

2. Il Collegio ritiene di dover definire il giudizio con sentenza in forma semplificata, in quanto sussistono tutti i presupposti richiesti dall’articolo 60 del codice del processo amministrativo, ossia la decorrenza del termine dilatorio di dieci giorni dalla notificazione del ricorso, perfezionatasi per l’Amministrazione resistente e per i controinteressati in data 3 marzo 2021, l’integrità del contraddittorio e la completezza dell’istruttoria nonché il previo avviso dato alle parti dal Presidente del Collegio della possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata.

3. Preliminarmente deve essere dichiarato inammissibile l’intervento ad adiuvandum spiegato da -OMISSIS-, nella qualità di avvocato iscritto all’albo tenuto dall’Ordine degli Avvocati presso la Corte di Appello di Milano, operante prevalentemente nel settore del diritto amministrativo, il quale non è stato invitato a partecipare alla procedura comparativa in oggetto.

Secondo i principi di diritto enunciati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze 4 novembre 2016, n. 23, e 30 agosto 2018, n. 13, l’intervento volontario, ad adiuvandum o ad opponendum, può essere infatti proposto nel processo amministrativo solo dal titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella di parte ricorrente, la quale non può essere ravvisata nell’interesse, di natura schiettamente extraprocessuale, alla mera affermazione della illegittimità dell’azione amministrativa, al mero fine emulativo di concorrere alla formazione di un precedente giurisprudenziale gradito da far valere nei futuri affidamenti di servizi legali.

Inoltre l’avvocato –omissis-, pur affermando di essere componente del Consiglio direttivo di un’associazione di categoria professionale, risulta aver agito in proprio e non per valere l’interesse collettivo all’autonomia e al decoro del professione.

4. Giova premettere una breve ricostruzione del quadro normativo che disciplina l’affidamento dei servizi legali da parte delle pubbliche amministrazioni.

Ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera d), n. 1), sub 1.2.), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, l’affidamento dei servizi legali aventi ad oggetto la rappresentanza di una pubblica amministrazione in specifici procedimenti giudiziari è escluso dall’ambito di applicazione oggettiva del codice dei contratti pubblici ed è soggetto al rispetto dei principi di cui all’articolo 4 del medesimo, tra i quali assumono un rilievo peculiare quelli di economicità, efficacia e proporzionalità.

L’articolo 13 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”, al comma 3, enuncia la regola generale che la pattuizione del compenso spettante al professionista è libera e, al comma 6, l’eccezione per cui al contratto tra cliente e professionista si applicano i parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del Consiglio nazionale forense, ove il compenso non sia stato determinato in forma scritta o in maniera consensuale.

L’articolo 19-quaterdecies, comma 1, del decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148, convertito nella legge 4 dicembre 2017, n. 172, ha introdotto nella legge 31 dicembre 2012, n. 247, l’articolo 13-bis, rubricato “Equo compenso e clausole vessatorie”, modificato dall’articolo 1, comma 487, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, il quale prevede:

– ai commi 1, 2 e 3, che, ove i rapporti professionali di assistenza, rappresentanza e difesa in giudizio sono regolati da convenzioni unilateralmente predisposte, da presumersi tali fino a prova contraria, da parte di imprese bancarie e assicurative o da imprese di grandi dimensioni, il compenso degli avvocati iscritti all’albo professionale deve essere equo, ovvero “proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6”;

– ai commi da 4 a 10, che è vessatoria la clausola convenzionale che contiene la pattuizione di un compenso non equo, ovvero di un compenso che comporta “ un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato”; che il professionista può agire in giudizio per la declaratoria della nullità di tale clausola vessatoria; che il giudice, coerentemente a quanto previsto dall’articolo 13, comma 6, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, “determina il compenso dell’avvocato tenendo conto dei parametri” ministeriali.

Il comma 3 dell’articolo 19-quaterdecies del decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148, convertito nella legge 4 dicembre 2017, n. 172, dispone che “La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, ovvero successivamente al 6 dicembre 2017.

5. L’infondatezza del ricorso suggerisce al Collegio, per ragioni di economia processuale, di prescindere dalla trattazione della questione preliminare di inammissibilità per carenza di interesse alla sua decisione, sollevata dall’amministrazione resistente e dalla controinteressata.

6. Per ragioni di logica sistematica il Collegio intende procedere alla trattazione congiunta dei primi tre motivi del ricorso, con i quali il ricorrente ha eccepito l’illegittimità dell’affidamento dell’incarico professionale per violazione della disciplina cogente dell’equo compenso.

Essi sono infondati.

Quella dell’equo compenso è una disciplina speciale di protezione del professionista che ricopre la posizione di parte debole del rapporto con un cliente in grado di imporre il suo potere economico e di mercato mediante la proposta di convenzioni unilateralmente predisposte.

La garanzia dell’applicazione del principio dell’equo compenso, corollario dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia dell’azione amministrativa, è imposta anche alle pubbliche amministrazioni.

L’applicazione della disciplina dell’equo compenso, in quanto eccezione al principio pro-concorrenziale della libera pattuizione del compenso spettante al professionista, di cui all’articolo 13, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, soggiace a precisi limiti soggettivi, ovvero l’appartenenza del cliente alle categorie delle imprese bancarie, assicurative o di grandi dimensioni o la sua qualificazione come pubblica amministrazione, ed oggettivi, quali la predisposizione unilaterale delle clausole convenzionali da parte del cliente forte, senza che al professionista sia rimessa la possibilità di incidere sul loro contenuto (Consiglio di Stato, Sezione VI, 29 gennaio 2021, n. 874).

La disciplina dell’equo compenso non trova pertanto applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nelle fattispecie di formazione della volontà dell’amministrazione secondo i principi dell’evidenza pubblica, ove l’amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare.

La tutela avanzata della debolezza del professionista, a fronte del potere di mercato del cliente forte, può essere reclamata anche ove il professionista sia posto in condizione di incidere sul contenuto della clausola relativa al compenso professionale, come si verifica nelle fattispecie riconducibili al principio generale di abuso di dipendenza economica, di cui all’articolo 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192, ovvero, in coerenza con la previsione del “ significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato”, contenuta nell’articolo 13-bis, comma 2, di “un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi” (Corte di Cassazione, Sezione I, ordinanza 17 aprile 2020, n. 7904).

Nel caso di specie il Comune di Cernusco sul Naviglio ha chiesto ai professionisti concorrenti di formulare un’offerta economica per una prestazione professionale, il cui oggetto è stato dettagliatamente individuato mediante l’invio del ricorso e di tutte le informazioni relative al suo oggetto, creando in tal modo un confronto concorrenziale finalizzato all’individuazione del compenso professionale.

I concorrenti sono stati pertanto posti nella condizione di calcolare liberamente, secondo le dettagliate informazioni fornite dall’Amministrazione, la convenienza economica del compenso in relazione all’entità della prestazione professionale richiesta, senza subire condizionamenti, limitazioni o imposizioni da parte del cliente.

Il Collegio ritiene, secondo un accertamento incidentale effettuato ai sensi dell’articolo 8, comma 1, del codice del processo amministrativo, che il compenso professionale proposto dall’avvocato -OMISSIS- non possa definirsi “irrisorio”, in quanto lo stesso rientra comunque nell’area della “conformità” alla fonte regolamentare per il parametro minimo dello scaglione delle cause di valore indeterminabile, le quali, ai sensi dell’articolo 6 del d.m. 55 del 2014, si considerano di valore non inferiore ad euro 26.000,00 e non superiore ad euro 260.000,00.

Il Collegio non ritiene di poter esprimere considerazioni puntuali relative al grado di complessità di un giudizio pendente dinanzi a questa Sezione e tuttavia reputa che il preventivo presentato dall’avvocato –omissis-, per le ragioni sopra esposte, non sia idoneo né a determinare un significativo squilibrio contrattuale a carico della stessa né ad esporre il Comune al rischio di un successivo intervento correttivo del giudice civile.

Il Comune di Cernusco sul Naviglio ha richiesto la presentazione di preventivi a professionisti muniti di specifici requisiti di idoneità professionale e di capacità tecnica e professionale, ovvero ad avvocati abilitati al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori e di comprovata esperienza maturata nel settore oggetto dell’incarico.

Il pregnante dovere di diligenza richiesto dall’articolo 1176, comma 2, del codice civile nell’espletamento dell’incarico professionale, il quale grava sull’avvocato munito di mandato difensivo a prescindere dall’entità del compenso e persino in caso di incarico gratuito, elimina inoltre in radice i dubbi che la qualità della prestazione professionale possa essere condizionata dall’entità del compenso offerto, a differenza che per l’affidamento dei servizi legali continuativi e complessi, nei quali è richiesta una specifica organizzazione e l’assunzione del rischio economico dell’esecuzione da parte del professionista.

La giurisprudenza ha affermato la compatibilità con la disciplina dell’equo compenso persino delle procedure di affidamento di incarichi professionali gratuiti (T.a.r. Lazio, sede di Roma, Sezione II, 30 settembre 2019, n. 11410; T.a.r. Calabria, sede di Catanzaro, Sezione I, 2 agosto 2018, n. 1507).

Osserva il Collegio che imporre alle pubbliche amministrazioni l’applicazione di parametri minimi rigidi e inderogabili, anche in assenza della predisposizione unilaterale dei compensi e di un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista, comporterebbe un’irragionevole compressione della discrezionalità delle stesse nell’affidamento dei servizi legali, in assenza delle condizioni di non discriminazione, di necessità e di proporzionalità che giustificano l’introduzione di requisiti restrittivi della libera concorrenza ( Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 23 novembre 2017, nelle cause C-427/2016 e C-428/2016).

La stessa giurisprudenza di questo Tribunale, invocata dal ricorrente a sostegno della propria tesi difensiva, conferma l’interpretazione restrittiva della garanzia del principio dell’equo compenso imposta alle pubbliche amministrazioni.

Con l’ordinanza cautelare del 20 dicembre 2019, n. 1720, e con la successiva sentenza del 17 giugno 2020, n. 1084, il Tribunale ha infatti affermato la violazione del principio dell’equo compenso in una fattispecie in cui, nella lex specialis di una procedura per l’affidamento di servizi legali, un comune aveva imposto ai concorrenti un corrispettivo fisso indipendentemente dal numero dei contenziosi oggetto dell’incarico professionale.

La giurisprudenza amministrativa ha affermato altresì la violazione del principio dell’equo compenso da parte delle pubbliche amministrazioni nelle fattispecie in cui le stesse abbiano fissato nella lex specialis un compenso in misura fissa per la prestazione di servizi legali, quali, ad esempio, un compenso pari a zero per le cause di valore inferiore ad una determinata soglia (T.a.r. Campania, Napoli, Sez. I, ordinanza 25 ottobre 2018, n. 1541) o un compenso forfettario annuo non proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro prestato (T.a.r. Marche, 9 dicembre 2019, n. 761).

La tesi del ricorrente, per cui le pubbliche amministrazioni sarebbero tenute sempre e comunque a corrispondere al professionista incaricato di un servizio legale un compenso non inferiore al minimo dei parametri stabiliti dal decreto ministeriale, anche ove il compenso non sia imposto unilateralmente o non si ravvisi un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista, non può dunque essere accolta.

La disciplina dell’equo compenso è rivolta a tutelare la posizione del professionista debole e non l’indipendenza, la dignità e il decoro della categoria professionale, la quale si realizza attraverso il rispetto dei precetti contenuti nel codice deontologico, che impongono al professionista di non offrire la propria prestazione in cambio di compensi lesivi della dignità e del decoro professionale, nel rispetto dei principi della corretta e leale concorrenza (articolo 9, comma 1, del Codice deontologico forense) e dei doveri di lealtà e correttezza verso i colleghi e le Istituzioni forensi (articolo 19 del codice deontologico forense).

I primi tre motivi del ricorso devono essere pertanto rigettati.

7. Anche il quarto motivo, con il quale il ricorrente ha domandato in via subordinata l’annullamento della procedura comparativa per l’affidamento di una prestazione intellettuale con il criterio del prezzo più basso, è infondato.

Secondo il ricorrente l’articolo 95, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, il quale impone alle stazioni appaltanti di aggiudicare i servizi di natura intellettuale, di importo pari o superiore a 40.000 euro, esclusivamente con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sarebbe espressione del principio di efficacia dell’azione amministrativa, valevole anche per i contratti esclusi dall’ambito di applicazione oggettiva del codice dei contratti pubblici.

Il Collegio è consapevole dell’orientamento, condiviso anche dalle linee guida n. 12 dell’A.n.a.c. sull’affidamento dei servizi legali, per cui la natura degli stessi e l’importanza degli interessi coinvolti raccomandano di utilizzare in ogni caso il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità-prezzo.

La censura è comunque inconferente in un confronto competitivo come quello in oggetto, in cui la qualità della prestazione è assicurata a monte dalla comprovata professionalità e dalla specifica competenza dei professionisti invitati a presentare i preventivi, e la prestazione di mezzi richiesta non si presta ad essere svolta con caratteristiche metodologiche differenziate, meritevoli di una peculiare valutazione in relazione al compenso offerto.

Il Collegio ritiene pertanto che, nell’affidamento dell’incarico di difesa, il Comune non abbia violato i principi di economicità, di efficacia e di proporzionalità, per cui anche il quarto motivo di ricorso deve essere rigettato.

8. In definitiva, previa declaratoria di inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum proposto dall’avvocato -OMISSIS-, il ricorso deve essere respinto.

9. La novità e la complessità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese di lite tra le parti, in deroga alla regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– dichiara inammissibile l’intervento ad adiuvandum;

– respinge il ricorso;

– compensa tra le parti le spese di lite del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente, i controinteressati e l’interventore, i loro difensori e tutte le persone fisiche nominate nella presente sentenza.

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto