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Consiglio di Stato, sentenza n. 5014 del 1 luglio 2021

Con la sentenza della sez. I della Corte EDU, 11 febbraio 2021, n. 4893/2013, Casarin contro Italia, si è affermato che non è ripetibile l’emolumento -avente carattere retributivo non occasionale- corrisposto da una pubblica amministrazione in modo costante e duraturo e senza riserve ad un lavoratore in buona fede, in quanto si è ingenerato il legittimo affidamento nello stesso sulla spettanza delle somme, sicché la loro ripetizione (benché dovuta ai sensi delle diposizioni nazionali, essendo stato indebitamente corrisposto) comporterebbe la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione.

Il Collegio rileva dunque come non possa non tenersi conto dei principi come sopra declinati. Calandone le coordinate alla disamina della fattispecie in esame, si ha infatti che l’appellato ha fruito di un incremento stipendiale per così dire “fisiologico”, ovvero non correlato a prestazioni estemporanee o eccezionali e ne ha acquisito gli importi nella convinzione della loro integrale spettanza, senza essersi in alcun modo adoperato per compulsarne l’erogazione, né, all’opposto, preoccupato di una loro non percepibile erroneità, sì da rivolgersi ad un “esperto” per addivenire alla loro esatta configurazione. La non semplice modalità di sviluppo della progressione economica della magistratura, basata sull’intersecarsi di criteri che attengono alla qualifica, a classi economiche e a scatti, non è di agevole intellegibilità attraverso la mera consultazione del cedolino. D’altro canto, la stessa Amministrazione, nell’intimare la restituzione e, prima ancora, nel comunicare l’avvenuto avvio del procedimento, non è stata in grado di spiegare in termini discorsivi la tipologia dell’errore commesso, limitandosi a riportare l’importo complessivo dovuto (euro 16.701,56) e il riferimento ad un’errata applicazione del decreto del -OMISSIS-, relativo alla nomina dell’appellato a magistrato di Corte d’Appello con decorrenza 8 luglio 2007. E’ da condividere, pertanto, seppure attraverso il diverso percorso argomentativo poc’anzi esposto, la decisione del primo giudice nel senso della illegittimità della ingiunzione restitutoria, peraltro sopravvenuta a distanza di anni dall’inizio dell’erogazione, con l’eccezione dell’anno antecedente al ricalcolo.

Ma vi è di più. La pronuncia della CEDU impone di (ri)valutare anche la coerenza con i principi del diritto comunitario della normativa sulle erogazioni meccanizzate, il cui utilizzo comporterebbe, ad avviso del primo giudice, la sostanziale neutralità della situazione soggettiva del percipiente.

Secondo quanto affermato dall’Adunanza Plenaria nella decisione n. 9 del 25 giugno 2018, in caso di norme in contrasto con il diritto eurounitario, infatti, non è predicabile alcuna preclusione per il Giudice amministrativo nel rilevare la non applicabilità della disposizione, a maggior ragione laddove la normativa europea sia stata comunque evocata. E’ noto, infatti, al riguardo, come anche la giurisprudenza costituzionale ha ammesso la disapplicazione ex officio della norma interna (anche di fonte regolamentare) in contrasto con il diritto UE, conformemente – del resto – a consolidati orientamenti della Corte di giustizia dell’UE medesima. Ne consegue che il problema dei limiti alla disapplicazione officiosa della regolamentazione interna illegittima risulta al più confinato alle ipotesi – che qui non ricorrono – in cui l’illegittimità derivi da profili diversi dal contrasto con il diritto UE.

Occorre pertanto vagliare se le disposizioni normative sui pagamenti automatizzati, interpretate nel senso della oggettiva provvisorietà, sì da consentire l’esercizio dello ius poenitendi da parte dell’Amministrazione a prescindere dalla situazione soggettiva del percettore, siano compatibili con l’art. 1 del Protocollo alla Convenzione, per la lettura datane con riferimento alla materia de qua dalla Corte EDU.

Il Collegio ritiene che ridette disposizioni si risolvano nella apposizione di una generalizzata riserva di ripetizione, come tale legittimante sempre la sua concreta effettuazione, purché nei limiti temporali prestabiliti. Proprio la previsione di tali limiti temporali, d’altro canto, costituisce il ricercato punto di equilibrio fra le esigenze di certezza delle proprie risorse da parte del dipendente pubblico e quelle di presidio del procedimento meccanizzato, connotato da maggiore celerità operativa, da parte dell’Amministrazione. Il legislatore, cioè, facendosi carico delle conseguenze giuridiche dell’affidamento della gestione delle erogazioni stipendiali a sistemi automatizzati, in qualche modo anticipando i futuri e particolarmente attuali dibattiti sull’intelligenza artificiale e le conseguenze in termini di responsabilità di eventuali distorsioni applicative ascrivibili alla macchina, ha cautelativamente disciplinato le conseguenze delle correzioni dei relativi esiti, onerando l’operatore, tuttavia, di effettuare i controlli entro un termine ragionevole fissato in un anno.

Sotto tale aspetto, pertanto, appare corretta la scelta del T.A.R. -incontestata tra le parti- di non “toccare” il recupero stipendiale riferibile all’anno antecedente il ricalcolo.

Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza gravata di parziale accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. L’Amministrazione pertanto dovrà cessare la procedura di recupero e restituire all’appellato le somme eventualmente già ripetute mediante trattenuta mensile, ove riferibili al periodo antecedente l’anno dal ricalcolo, con interessi legali a decorrere dalla pubblicazione della presente sentenza e sino all’integrale soddisfo.

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