01/06/2021 – Appalti sotto soglia: nel nuovo regime non serve motivazione per ricorrere alle procedure ordinarie. Tratto da: ildirittoamministrativo.it – Autore: Dario Immordino

Nel nuovo regime di aggiudicazione degli appalti sottosoglia, introdotto dal cd decreto semplificazioni, l’affidamento diretto e la procedura negoziata non costituiscono i moduli procedimentali esclusivi, cui le stazioni appaltanti devono obbligatoriamente fare ricorso, e di conseguenza resta salva la possibilità di attivare procedure ad evidenza pubblica senza, peraltro, necessità di esplicitare le ragioni della scelta.

Lo ha stabilito il Tar Palermo, con la sentenza 1536/2021, sull’assunto che “sebbene l’art. 1 del d.l. non abbia fatto salva la richiamata facoltà, la perdurante applicabilità dei principi di cui al comma 1 dell’art. 30 induce a ritenere che il regime in deroga non abbia privato, pur nella situazione eccezionale creatasi a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale, le stazioni appaltanti della possibilità di ricorrere a soluzioni aperte alla più ampia concorrenza qualora appaiano le più idonee a soddisfare il proprio fabbisogno” (parere ANAC del 3 agosto 2020 parere reso in sede di approvazione al Senato).

La questione in merito alla possibilità di ricorrere alle procedure aperte per l’aggiudicazione degli appalti sotto soglia ruota intorno alla estensione e alla intensità delle deroghe al regime ordinario introdotte dalle disposizioni del decreto semplificazioni, ed in particolare: a)    dell’art. 1, c.1, in forza del quale, per l’aggiudicazione di questa tipologia di contratti, “si applicano” le procedure di affidamento prescritte dai commi 2,3 e 4 , “in deroga” all’ articolo 36, comma 2, del codice dei contratti pubblici, il quale, “salva la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie”, fa carico alle  stazioni appaltanti di procedere all’affidamento diretto di lavori, servizi e forniture mediante di importo inferiore a 40.000 euro e di ricorrere a procedure negoziate per quelli di valore superiore (entro la soglia europea), con numero crescente di operatori economici da invitare in ragione dell’ importo a base di gara. b)   dell’art. 1, c.2, ove di prevede che “le stazioni appaltanti procedono all’aggiudicazione degli appalti concernenti le attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alla soglia europea, attraverso affidamento diretto e procedura negoziata senza bando, in ragione degli importi dei contratti da affidare e secondo le modalità espressamente indicate.

 Alla luce di una interpretazione letterale delle nuove disposizioni la deroga all’art. 36, c.2, del codice appalti dovrebbe intendersi riferita all’intero regime ivi previsto, compresa, pertanto, la possibilità di far ricorso alle procedure ordinarie (aperta, ristretta e negoziata nella duplice forma prevista) per l’affidamento dei contratti pubblici sottosoglia. Da ciò discenderebbe la sospensione, ossia la temporanea inapplicabilità, del regime ordinario per tutto il periodo di vigenza delle norme derogatorie, e quindi la preclusione per le stazioni appaltanti della possibilità di far ricorso alle procedure ivi previste.

 A tale conclusione inducono a) la lettera delle disposizioni in oggetto, che non contemplano opzioni alternative e margini di apprezzamento discrezionale (“Si applicano le procedure” “le stazioni appaltanti procedono”); b) l’esclusione della procedure ad evidenza pubblica dall’elenco delle modalità di aggiudicazione degli appalti sotto soglia. Se l’intento del legislatore fosse stato quello di riprodurre la triplice opzione consentita dal regime previgente (procedure ordinarie/affidamento diretto/procedura negoziata), limitandosi a variarne il perimetro applicativo, sarebbe infatti bastato riprodurne la formulazione, modificando gli importi associati alle singole modalità di aggiudicazione. In questo “scenario”, stante l’impossibilità di ricorrere alle procedure ad evidenza pubblica, la tutela degli imprescindibili principi di uguaglianza, imparzialità, efficienza ed economicità, concorrenza sarebbe garantita dalle forme e modalità di espletamento delle procedure semplificate, che impongono il “rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento”.

 

L’espansione del perimetro applicativo dell’affidamento diretto e della procedura negoziata senza bando (entro specifici limiti di importo e nel rispetto di determinate modalità) sarebbe il prodotto del bilanciamento operato dal legislatore, in relazione alla situazione eccezionale derivante dall’emergenza Covid, tra l’esigenza “di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, …e  di far fronte alle ricadute economiche negative del COVID – 19” e quella di salvaguardare i principi di uguaglianza, imparzialità, concorrenza e buon andamento.

 

Secondo l’interpretazione sistematica seguita dal Tar Palermo, invece, la sopravvivenza dell’art 30 del codice degli appalti comporterebbe ex se la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie, ed in ad evidenza pubblica, che costituiscono gli strumenti più idonei a garantire il conseguimento dei fondamentali valori di buon andamento dei poteri pubblici, libera concorrenza, non discriminazione, proporzionalità e pubblicità, che devono necessariamente trovare concreta espressione nel regime normativo dei contratti pubblici.

 

D’altra parte, secondo il Collegio, l’art. 1, comma 1, del D.L. n. 76/2020 “non revocando o sospendendo la disciplina ordinaria, … non ha inteso conculcare la scelta delle amministrazioni pubbliche … di operare mediante la disciplina ordinaria dell’evidenza pubblica con gare aperte in luogo dell’affidamento diretto”. In sostanza la deroga alla disciplina ordinaria non ne comporterebbe l’abrogazione, né la revoca, né la sospensione, e non produrrebbe, pertanto, l’effetto di limitarne l’efficacia ed inibirne l’applicazione, ma ne intaccherebbe l’imperatività, autorizzando le stazioni appaltanti a prescinderne.

 

In altri termini, secondo la tesi interpretativa propugnata dal Tar, la novella legislativa autorizzerebbe le amministrazioni aggiudicatrici a non ricorrere alle procedure di aggiudicazione ordinarie ma non lo imporrebbe, motivo per cui le regole ordinarie resterebbero comunque applicabili.

 

D’altronde, secondo questa costruzione ermeneutica, il drastico effetto della sospensione della possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie, poste a presidio di irrinunciabili valori, non potrebbe derivare dalla “semplice” enunciazione del fine di incentivare gli investimenti pubblici e di far fronte alle ricadute economiche del covid.

 

Anche perché tali condivisibili finalità potrebbero essere perseguite, senza necessità di precludere l’utilizzo delle modalità di aggiudicazione ad evidenza pubblica, estendendo la possibilità delle stazioni appaltanti di far ricorso alle procedure semplificate.

 

Sicché la nuova disciplina introdurrebbe la possibilità, non l’obbligo, per le amministrazioni aggiudicatrici di procedere all’aggiudicazione degli appalti sottosoglia attraverso affidamento diretto e procedura negoziata senza bando ogni qualvolta riscontrino che le modalità di aggiudicazione ordinarie non si rivelano idonee a “incentivare gli investimenti pubblici” o a contrastare gli effetti dell’emergenza indotta dalla pandemia.

 

In questa prospettiva a) il catalogo delle procedure attivabili dalle stazioni appaltanti resterebbe inalterato (procedure ordinarie/affidamento diretto/procedura negoziata); b) l’ampliamento del perimetro di applicabilità dell’affidamento diretto e della procedura negoziata determinerebbe una proporzionale espansione dei margini di apprezzamento discrezionale delle amministrazioni aggiudicatrici, cui sarebbe rimessa la scelta della procedura da attivare; c) gli effetti pratici dell’innovazione legislativa si ridurrebbero ad un mero ritocco dell’importo degli appalti che possono essere assegnati attraverso affidamento diretto e procedura negoziata senza bando.

Al riguardo la sentenza rileva che simili conclusioni non risultano smentite dal parere del Ministero Infrastrutture e Trasporti n. 735/2020 in relazione all’obbligo da parte delle stazioni appaltanti di motivare il ricorso all’evidenza pubblica, poiché “detto parere non può ritenersi vincolante” per la generalità delle stazioni appaltanti, e in ogni caso “si limita solamente a “suggerire” di dare un riscontro nella motivazione per la scelta della procedura di evidenza pubblica ordinaria rispetto a quella “emergenziale” in deroga dell’affidamento diretto”. Al riguardo risulta dirimente “il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato del 30 agosto 2016, n. 1903/2016, secondo cui il principio generale della motivazione assume valenza con riguardo alla fase dell’affidamento e dell’individuazione dell’aggiudicatario e non tanto, dunque, nella precedente fase a monte circa la scelta della procedura prescelta (semplificata ovvero ordinaria)”.

Da queste motivazioni discende la legittimità del ricorso ad una procedura aperta per l’affidamento di un appalto sottosoglia, senza necessità di motivazione.

A corredo di tali statuizioni la sentenza precisa che il rispetto dei termini previsti dal decreto semplificazioni per la conclusione della procedura di gara è limitato alle modalità di aggiudicazione semplificate, ed in ogni caso “non potrebbe comunque comportare l’illegittimità, per ciò solo, degli atti di gara riverberandosi, se del caso, unicamente sulla responsabilità amministrativa del R.U.P.”.

SENTENZA 14 maggio 2021, n. 1536

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