01/12/2021 – Nessuna deroga al procedimento amministrativo è prevista per l’operato del Commissario ad acta.

In via preliminare appare opportuno darsi atto che in passato la questione relativa alla natura giuridica del Commissario ad acta ha costituito oggetto di travagliato approfondimento dottrinario e giurisprudenziale, oscillandosi tra due contrapposti orientamenti: il primo sostenente che il Commissario ad acta fosse “organo straordinario dell’amministrazione” (cui gli atti erano imputati); il secondo propendente invece per la natura di “organo ausiliario del giudice”.

Tale ultima opzione ermeneutica alla fine è comunque risultata maggioritaria[1], avendo il dibattito giurisprudenziale accompagnato la progressiva definizione dell’istituto fino alla sua piena affermazione sia sul piano della previsione normativa (consacrato espressamente nella nuova formulazione del comma 6 dell’art. 114 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104[2], ovvero nell’art. 21 del medesimo c.p.a., il quale prevede che nell’ambito della propria giurisdizione, il giudice amministrativo, se deve sostituirsi all’amministrazione, può nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta), sia sul piano dell’ambito di intervento, oggi praticamente esteso ad ogni necessità di ottemperanza e/o esecuzione del provvedimento giurisdizionale dotato di forza esecutiva, secondo quanto prescritto dall’art. 112 c.p.a., e ciò benché il Supremo Consesso della giustizia amministrativa nel 2019 parlasse ancora di “soggetto con duplice natura” (rectius veste)[3].

Si pervenne pertanto alla enunciazione del principio per cui «il Commissario ad acta è organo del Giudice dell’ottemperanza e le sue determinazioni vanno adottate esclusivamente in funzione dell’esecuzione del giudicato, e non in funzione degli interessi pubblici il cui perseguimento costituisce il normale canone di comportamento dell’Amministrazione sostituita. Da ciò consegue che i suoi provvedimenti sono immediatamente esecutivi e non sono assoggettati all’ordinario regime dei controlli (interni ed esterni) degli atti dell’Amministrazione presso la quale lo stesso si insedia, ma vanno sottoposti unicamente all’immanente controllo dello stesso Giudice»[4].

Per tale via si giunse ad affermare che l’attività del Commissario ad acta non ha quindi natura prettamente amministrativa, perché si fonda sull’ordine del giudice, ed è la stessa che avrebbe potuto realizzare direttamente il giudice[5].

La questione è stata peraltro di recente riaffrontata, sebbene incidentalmente, in una pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale, pur occupandosi in via principale della problematica degli effetti della nomina del Commissario ad acta sui poteri dell’Amministrazione soccombente nel giudizio avverso il silenzio-inadempimento di cui all’art.117 c.p.a.[6], ha avuto modo di fissare un importante principio sul punto, ribadendo la «natura soggettiva del Commissario ad acta, quale ausiliario del giudice e non quale organo straordinario dell’amministrazione, il cui potere trova fondamento nella pronuncia del giudice che lo nomina e nella sentenza da eseguire», con la specificazione che «la funzione svolta dal Commissario ad acta è quella di garantire l’effettività e la pienezza della tutela giurisdizionale dei diritti e interessi legittimi dei privati nei confronti delle amministrazioni inadempienti o inottemperanti»[7].

La pronuncia si è invero soffermata sulla natura dei poteri conferiti al Commissario ad acta, specificando che ai sensi dell’art. 21 del codice del processo amministrativo nell’ambito della propria giurisdizione, il giudice amministrativo, se deve sostituirsi all’Amministrazione, può nominare come proprio ausiliario un Commissario ad acta, prevedendo fra le ipotesi in cui tale nomina viene riconosciuta, anche:

– l’art. 114, comma 4, lett. d), in base al quale il giudice dell’ottemperanza «nomina, ove occorra, un commissario ad acta»;

– e l’art. 117, comma 3, secondo il quale, nell’ambito del giudizio sul silenzio dell’Amministrazione, «il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente, su istanza della parte interessata».

Dalla lettera delle disposizioni richiamate, per il Supremo Collegio appare dunque evidente la natura del Commissario ad acta quale ausiliario del giudice, il quale procede alla sua nomina laddove debba sostituirsi all’Amministrazione inadempiente.

Quale ausiliario del giudice, il compito del Commissario ad acta, in definitiva, non è quello di esercitare poteri amministrativi funzionalizzati alla cura dell’interesse pubblico, bensì quello di dare attuazione alla pronuncia del giudice,eventualmente anche attraverso l’esercizio di poteri amministrativi non esercitati dall’Amministrazione soccombente, il cui fondamento genetico è però da rintracciarsi proprio nel comando/ordine contenuto in sentenza (o nell’ordinanza). Il comando, rectius il decisum, del giudice costituisce invero al contempo contenuto e limite del potere del Commissario ad acta, cui quest’ultimo deve dare attuazione agendo in virtù di un potere fondato sull’esigenza di dare esecuzione alle decisioni giurisdizionali in rapporto funzionale alla tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive in gioco.

L’Adunanza Plenaria specifica inoltre che la natura di ausiliario del giudice del Commissario ad acta non viene meno neppure ove per dare esecuzione alla decisione del giudice costui debba adottare “atti amministrativi”, anche di natura provvedimentale, effettuando in luogo dell’Amministrazione inadempiente, valutazioni e scelte di norma rientranti nell’esercizio del potere discrezionale della stessa, né tantomeno ricorre un’ipotesi di trasferimento dei poteri medesimi dall’Amministrazione al Commissario, trovando il potere esercitato dal Commissario ad acta fondamento nella decisione del giudice, ovvero, in chiave teleologica, nell’effettività della tutela giurisdizionale della parte vittoriosa in giudizio cui risulta funzionalmente preordinato.

La funzionalizzazione dell’esercizio – da parte del Commissario ad acta – di (eventuali) “poteri amministrativi” non esercitati dall’Amministrazione soccombente esclusivamente all’effettività della tutela giurisdizionale della parte vittoriosa in giudizio non abilita, tuttavia, quest’ultimo a poter derogare alle regole del procedimento amministrativo per come regolamentato dalle leggi vigenti.

E’ questa la posizione di recente assunta dal Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia (Palermo), il quale, con l’ordinanza collegiale n. 3230 depositata in data 23 novembre 2021 in risposta ad apposita richiesta di chiarimenti avanzata da un Commissario ad acta nominato nell’ambito di una sentenza relativa ad un giudizio di ottemperanza che vedeva soccombente un Comune, ha statuito che «nessuna deroga al procedimento amministrativo, per come regolamentato dalla legge, è prevista per l’operato del Commissario ad acta»[8].

Quale corollario del predetto principio, nel caso di specie, il Collegio, nel fornire il chiarimento richiesto, ha nel dettaglio ritenuto che ai fini della possibilità per il Commissario ad acta di poter provvedere ad un eventuale riconoscimento di debiti fuori bilancio ai sensi dell’art. 194 del  T.U.E.L., lo stesso (ausiliario del giudice) sarà comunque tenuto ad acquisire il parere dell’Organo di revisione contabile, non potendo prescindere dall’apposito onere procedurale prescritto dall’art. 239 del T.U.E.L..

Il principio dettato dal Tribunale amministrativo par collocarsi – a parer di chi scrive – nel solco della massima valorizzazione del principio di legalità di matrice costituzionale, da estendersi, nella sua ampia portata applicativa, non solo all’azione amministrativa stricto sensu intesa, bensì finanche all’esercizio, in chiave sostitutiva, di poteri comunque “amministrativi” non esercitati dall’Amministrazione soccombente, che si renda necessario ai fini dell’effettività della tutela giurisdizionale della parte vittoriosa in giudizio, ritenendosi dunque, in ultima analisi, che anche l’esercizio di siffatti poteri (sostitutivi) debba in ogni caso muoversi nell’alveo della legalità.


 

[1] Cfr. Cons. Stato Ad. Plen. 9 marzo 1973, n. 1; idem, Ad. Plen. 14 luglio 1978, n. 23; idem, VI, 9 giugno 1986, n. 412; idem, V, 27 settembre 1990, n. 702; idem, V, 5 maggio 1993, n. 543; C.G.A. 25 febbraio 1981, n. 1; Tar Salerno, 19 febbraio 1982, n. 76; Tar Napoli, Sez. 3^, 30 ottobre 1990, n. 375; Tar Catania, Sezione Terza, 30 ottobre 1995, n. 2399; idem, 30 gennaio 1996, n. 45.

[2] L’art. 114, co. 6, c.p.a. stabilisce invero che «il giudice conosce di tutte le questioni relative all’ottemperanza, nonché, tra le  parti  nei  cui  confronti  si  è formato il giudicato, di quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre, dinanzi al giudice dell’ottemperanza, reclamo, che è depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni. Gli atti emanati dal giudice dell’ottemperanza o dal suo ausiliario sono impugnabili dai terzi estranei  al  giudicato  ai sensi dell’articolo 29, con il rito ordinario».

[3] Così Cons. Stato, Ad. Plen., 9 maggio 2019, n. 7, il quale parla di una «duplice veste di ausiliario del giudice e di organo straordinario dell’amministrazione inadempiente surrogata».

[4] Cfr. T.A.R. Calabria Reggio Calabria, Sent., 01-02-2013, n. 85; Consiglio di Stato Sez. IV, 13 gennaio 2015 n. 52.

[5] V. Sent. Cons. Stato, cit., n. 52/2015, ove si afferma che «l’Amministrazione non ha alcuna possibilità di modificare gli atti commissariali: essa non ha alcuna discrezionalità nel dare attuazione a quanto stabilito dal commissario ad acta conservando, semmai, la facoltà di sollecitare l’intervento del giudice qualora insorgano dubbi interpretativi circa la portata applicativa del provvedimento, così come delineato dal commissario ad acta, o di adire il giudice per il contrasto fra l’atto del commissario ad acta e la pronuncia che lo stesso è chiamato ad eseguire o, infine, per l’erroneo esercizio del potere discrezionale allo stesso attribuito».

[6] V. Cons. Stato, Ad. Plen., 25 maggio 2021, n. 8; al riguardo, la Plenaria ha stabilito che pur in presenza di un Commissario ad acta nominato per il caso di inerzia nell’ottemperanza al giudicato, la pubblica amministrazione non perde il potere di provvedere. Di segno opposto erano state in passato altre pronunce del medesimo Giudice amministrativo, ritenendosi che l’insediamento del Commissario ad acta privasse l’Amministrazione inadempiente surrogata della potestà di provvedere; cfr.: Cons. St., sez. V, 16 aprile 2014, n. 1975; C.d.S., sez IV, n. 5014/2015; e più di recente, Cons. Stato, Ad. Plen., 9 maggio 2019, n. 7.

[7] V. Cons. Stato, Ad. Plen., cit., n. 8 del 2021.

[8] TAR Palermo, Sez. I, Ord. Colleg. n. 3230 del 23.11.2021.

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