16/04/2017 – articolo di Stella: le considerazioni del collega Daniele Perotti

Cari amici-colleghi della Associazione,

vi invio di seguito una mia nota a commento sull’articolo di Stella pubblicato sul Corriere della Sera del 14 aprile sempre a proposito della questione pubblicazione dati patrimoniali dei dirigenti.

Daniele Perotti – Segretario generale Comune di Bergamo
 
 

Si resta increduli al vedere Gian Antonio Stella scrivere, come fa, sul Corriere della Sera del 14 aprile che “Se gli Italiani avessero saputo prima che il dirigente pubblico Angelo Balducci aveva accumulato un patrimonio immobiliare inspiegabilmente immenso avrebbero assistito senza fiatare alla sua onnipresenza là dove giravano i soldi dei grandi appalti? O avrebbero preteso di vederci chiaro? Davvero quel funzionario poi pluricondannato per corruzione e colpito dal sequestro di beni per 12 milioni aveva diritto alla privacy anche se maneggiava soldi dei cittadini?” .

Eppure è vero Stella ha scritto proprio questo.

Il suon percorso paralogico è più o meno il seguente. I dirigenti pubblici che maneggiano i soldi dei cittadini, oggi invocano la privacy (vergogna!) per opporsi ad una norma sulla trasparenza che imporrebbe di rendere pubblici i loro patrimoni personali. Sempre secondo Stella, se tale norma fosse esistita in passato il dirigente pubblico Angelo Balducci non sarebbe riuscito a farla franca, almeno per un certo periodo, sotto il naso degli italiani accumulando un grande e inspiegabile patrimonio frutto di traffici disonesti. Infatti gli occhiuti cittadini italiani avrebbero immediatamente preteso di vederci chiaro, perché essi avrebbero scoperto nella sezione “amministrazione trasparente” del sito web della amministrazione da cui il Balducci dipendeva: conti correnti a sette cifre, ville e yacht al medesimo intestati e poi esibiti in bella mostra.

Ne consegue che divulgando oggi (non, rendendoli pubblici, perché già lo sono) i patrimoni dei dirigenti pubblici ecco che verrebbero a galla tutti quei Balducci che oggi, sentendosi perduti, pretendono di occultare i loro patrimoni dietro l’invocazione della privacy. Fanno ricorso al TAR (che riconosce loro buone ragioni) e si rivolgono all’ANAC (che fa la stessa cosa).

C’è dunque da sospettare anche che la magistratura amministrativa e il buon Cantone abbiano perso improvvisamente il lume della ragione di cui è invece pervaso il corrusco argomentare dello Stella?

Oddio! Qualche imperfezione, qualche difettuccio logico nel ragionamento di Stella in realtà ci sarebbe.

A solo titolo di esempio: se, secondo lui, occorre non solo che sia pubblico ma anche divulgato, il patrimonio dei dirigenti che “maneggiano i soldi dei cittadini”, allora i patrimoni di tutti quei dirigenti pubblici che invece non “maneggiano i soldi dei cittadini” li divulghiamo o no? E se sì per quale motivo? Visto che la legge che impone la divulgazione in nome della trasparenza è rivolta a tutti i dirigenti senza fare differenze fra chi “maneggia” e chi no. Sub-problema: e se a maneggiare non è un dirigente?

Ma tralasciamo questi modesti dettagli per andare invece al pezzo forte sul piano di quell’intuizione e che ci fa dire, seguendo Stella: “ma perché non ci è venuta prima questa fantastica idea per prevenire i Balducci della dirigenza pubblica e cioè imporre la pubblicazione di tutti i patrimoni?”   

Un nuovo interrogativo e un dubbio però subito ci assalgono: come mai il Balducci, che pur come ogni dirigente pubblico aveva l’obbligo di consegnare al proprio ente datore di lavoro tutte le informazioni sul suo patrimonio e aggiornarle ogni anno, non ha comunque suscitato sospetti prima di essere colto con le mani nella marmellata?

Che forse il nostro abbia occultato al proprio ente i beni ottenuti illecitamente? Comportamento invero imprevedibile essendo universalmente noto che i proventi di attività illecite vengono di solito dichiarati al fisco e i correlati i patrimoni sono poi regolarmente intestati ai malfattori che li hanno accumulati.

Negli ingenui può nascere il sospetto che così come i patrimoni di illecita provenienza sono stati taciuti e non dichiarati al datore di lavoro pubblico allo stesso modo non verrebbero dichiarati, sempre al medesimo datore di lavoro, anche quando fossero destinati alla divulgazione tramite sito web.

Ma è un sospetto che può nascere appunto negli ingenui non certo in Gian Antonio Stella il quale, da navigato veterano della comunicazione, (non direi “informazione” perché per informare prima si studia e ci si documenta. Comunicare invece è un’altra cosa) sa bene che se ci fosse stata la norma sulla trasparenza/divulgazione dei patrimoni per dirigenti pubblici il Balducci sarebbe corso subito a dichiarare al proprio datore di lavoro pubblico tutti i suoi ingenti e illeciti patrimoni e allora zac, immediatamente gli Italiani, sempre per dirla con Gian Antonio “avrebbero preteso di vederci chiaro”.

Ma perché insiste l’ingenuo, colui che è stato dapprima disonesto abusando del maneggio di soldi pubblici e poi ancora disonesto nascondendo al datore di lavoro i proventi dei propri illeciti traffici, dovrebbe renderli pubblici affinchè siano divulgati? E qui si capisce perché Gian Antonio ha una marcia in più. Perché ben conosce i difetti degli Italiani e sa che i dirigenti pubblici disonesti sono pervasi dal narcisistico desiderio di apparire e raccontarsi. Non siamo forse nell’era dei social? E’ più forte di loro. Come resistere dall’esibire la barca, la Ferrari, il podere con castelletto in Toscana! Gian Antonio l’ha capito subito. Noi ci siamo arrivati solo ora. Grazie a lui. E gliene siamo dunque riconoscenti.

Resta il problema dei dirigenti pubblici “anomali”. Che, come moltissimi dirigenti, non maneggiano denaro dei cittadini o non esercitano poteri da cui possano potenzialmente derivare illeciti lucri (ma ciò poco rileva). Il cui patrimonio è noto, dichiarato e controllato dalle autorità pubbliche da cui dipendono e dalle altre autorità alle quali devono istituzionalmente rendere conto. Che perciò (e sono in ottima compagnia) non riconoscono la ragionevolezza e legittimità anche costituzionale dei motivi per cui, per il Sig. Stella e/o per altri, dovrebbe essere rilevante la conoscenza attraverso divulgazione dei dati di proprietà della loro casa di campagna ereditata dai nonni o acquistata coi proventi del loro lavoro.    

Magari Gian Antonio ce lo spiegherà meglio nel suo prossimo articolo o nel suo prossimo libro.

Intanto però facciamo noi una proposta.

Non v’è dubbio che chi opera nel giornalismo, informando e quindi concorrendo in modo determinante a formare la pubblica opinione svolga un fondamentale servizio pubblico. Quello, appunto, reso dalla libera stampa. Quando è libera e anche quando non lo è. E non è dunque altrettanto delicato e importante  “maneggiare” le menti dei cittadini lettori almeno quanto fanno certi dirigenti pubblici coi soldi sempre dei cittadini? Come la mettiamo con quei giornalisti disonesti che in violazione della deontologia professionale mischiano fatti alle opinioni fino a falsificare i dati di realtà? E magari lo fanno perché, tradendo la loro missione, hanno asservito la penna a interessi particolari da cui ricavano illeciti vantaggi e profitti?

E allora, per coerenza, cosa di meglio che non seguire la ricetta di Gian Antonio, chiedendo che i giornalisti divulghino i loro redditi e i loro patrimoni in apposite sezioni dei siti web appartenenti agli organi di informazione per cui scrivono. Una operazione trasparenza che permetterebbe agli Italiani di capire chi sia veramente il giornalista di cui condividono gli editoriali magari in difesa della pubblica morale e “pretendano di vederci chiaro” laddove magari scoprano che tale giornalista ha “accumulato un patrimonio immobiliare inspiegabilmente immenso”.

Per dare il buon esempio potrebbe cominciare Gian Antonio che essendo notoriamente persona di specchiatissima onestà civica e intellettuale nulla avrebbe da temere in proposito.

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