25/09/2020 – Urbanistica. Accertamento del mutamento di destinazione d’uso

Urbanistica. Accertamento del mutamento di destinazione d’uso
Pubblicato: 24 Settembre 2020
Cass. Sez. III n. 25265 del 8 settembre 2020 (CC 2 lug 2020)

L’accertamento del mutamento di destinazione d’uso per difformità totale rispetto al titolo abilitativo dev’essere effettuato, nel caso di lavori in corso d’opera, sulla base dell’individuazione di elementi univocamente significativi, propri del diverso uso cui l’opera è destinata e non coerenti con l’originaria destinazione della medesima. La modifica di destinazione d’uso è integrata anche dalla realizzazione di sole opere interne, così come con la predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia all’interno di un vano autorizzato come “vuoto tecnico”, in quanto tale tipologia di intervento costituisce circostanza idonea per ritenere la destinazione abitativa dell’immobile

 
RITENUTO IN FATTO    

1. Con ordinanza in data 25 settembre 2019 il Tribunale del riesame di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato l’appello proposto da Felice Iovine avverso il decreto del Giudice per le indagini preliminari in data 27 maggio 2019 di rigetto della richiesta di revoca del sequestro preventivo di un’area, disposto dal Giudice per le indagini preliminari di Santa Maria Capua Vetere, in data 21 novembre 2017, per il reato di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001.

2. Il ricorrente premette che il sequestro aveva ad oggetto un’area destinata ad uso agricolo sulla quale erano stati realizzati un immobile rurale regolarmente autorizzato ed ancora in via di costruzione e delle strutture metalliche adibite a deposito di materiale edile. Secondo il Tribunale del riesame, il fumus dell’abuso edilizio consisteva nel mutamento di destinazione d’uso, e ciò anche a prescindere dalle parziali difformità rispetto al progetto autorizzato. Era emerso che sull’area si svolgevano due tipi di attività, una compatibile con la destinazione prevista nel piano regolatore generale (la costruzione di casa agricola) e l’altra adibita al deposito di materiale edile. La porzione che aveva subìto un mutamento della destinazione d’uso era inferiore ad un decimo della superficie totale dell’area in sequestro, come emergente dalla stessa incolpazione provvisoria contenuta nell’avviso dell’art. 415-bis cod. proc. pen. Tuttavia, se pure si fosse considerato il complesso delle aree adibite a deposito e della superficie dell’immobile, il mutamento della destinazione d’uso avrebbe avuto ad oggetto un terzo della superficie totale dell’area in sequestro. Pertanto, non si era avuto un mutamento giuridicamente rilevante della destinazione d’uso dell’area, poiché, ai sensi dell’art. 23-ter d.P.R. n. 380 del 2001, la destinazione d’uso era quella prevalente in termini di superficie utile calpestabile.

Con un unico motivo di ricorso l’indagato deduce la violazione di legge con riferimento all’interpretazione dell’art. 23-ter d.P.R. n. 380 del 2001. La norma si riferiva all’unità immobiliare e non al singolo fabbricato. La destinazione d’uso costituiva un vincolo sulla sola zona in cui avveniva l’attività edilizia, ivi comprese le aree connesse, e solo in tal senso poteva riferirsi anche, ma non esclusivamente, ai singoli fabbricati valutati autonomamente. Era frequente il caso in cui l’unità immobiliare coincideva con un insieme di aree e fabbricati vincolati funzionalmente tra di loro e facenti parte di un unico complesso a destinazione produttiva o commerciale. Il criterio di qualificazione dell’unità immobiliare era dato quindi dal carattere localizzativo, quale linea guida per la perimetrazione dell’unità medesima, come ad esempio per gli immobili ferroviari costituenti ciascuna stazione, la cui definizione faceva rientrare in tale nozione una serie di aree e manufatti, purché interni al recinto della stazione medesima e situato nel tratto limitato dagli scambi estremi di essa. Analogamente, nelle zone industriali, la singola unità immobiliare poteva comprendere, al tempo stesso, sia manufatti ed aree destinate allo stretto uso industriale, sia aree destinate all’esposizione e commercializzazione delle merci prodotte in quella specifica zona territoriale. Queste aree rientravano anch’esse, a pieno titolo, nell’ambito della medesima “unità immobiliare” destinata all’attività produttiva, di cui costituivano articolazioni funzionali. L’unità andava considerata nella sua totalità anche ai fini di un eventuale mutamento di destinazione d’uso. In altri termini, il requisito identificativo dell’unità immobiliare era rappresentato dalla sua titolarità: doveva avere lo stesso o gli stessi proprietari e doveva rappresentare, nello stato in cui si trovava e secondo l’uso, un cespite indipendente, vale a dire una fonte di reddito personale. Se il legislatore avesse voluto limitare l’ambito di applicabilità del secondo comma dell’art. 23-ter d.P.R. n. 380 del 2001 a porzioni di fabbricato, non avrebbe usato l’espressione “unità immobiliare”, bensì quella di “fabbricato o parti di esso”. Il Tribunale aveva di fatto sostituito alla definizione legale dell’art. 23-ter d.P.R. n. 380 del 2001 una propria diversa qualificazione della nozione di unità immobiliare e dei presupposti per affermare la prevalenza della destinazione d’uso. Aveva sostituito alla nozione legale di “unità immobiliare” quella di “fabbricato” o “parte di fabbricato”. Contesta il criterio interpretativo utilizzato dai Giudici, secondo cui la norma era correlata, non già alla superficie, bensì alla tipologia di attività svolta in prevalenza sull’area. Richiama la giurisprudenza di legittimità che aveva applicato la definizione di “unità immobiliare” di cui all’art. 23-ter d.P.R. n. 380 del 2001 ai casi di aree adibite ad uso produttivo formate da fabbricati, strutture metalliche e zone scoperte. Il Tribunale aveva indebitamente circoscritto la nozione di “unità immobiliare” a quella “porzione di fabbricato”, in tal modo violando l’art. 23-ter d.P.R. n. 380 del 2001. Aggiunge che nessun rilievo poteva essere attribuito alla comunicazione presentata dallo Iovine al Comune nonché al certificato anagrafico di impresa individuale richiamati dall’ordinanza impugnata. Tali atti erano dimostrativi solo dell’intenzione dell’indagato di utilizzare l’unità immobiliare anche per deposito di materiale edile e per lo svolgimento di un’attività diversa da quella agricola, ma non provavano che lo stesso non svolgesse pure quest’ultima, essendo iscritto all’epoca alla Camera di commercio come imprenditore agricolo. Né poteva attribuirsi rilievo all’attività prevalentemente da lui svolta, poiché la disposizione normativa aveva ad oggetto la prevalenza della superficie utile e non dell’attività. La violazione di legge aveva inficiato in modo determinante la valutazione del fumus, dal momento che l’utilizzo come deposito del materiale edile interessava una parte del tutto minoritaria dell’unità in oggetto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    3. Il ricorso è infondato.

    Il Tribunale del riesame, dopo aver ricostruito il fatto nel dettaglio, ha osservato che sussisteva il fumus commissi delicti dell’abuso edilizio che aveva giustificato il sequestro preventivo dell’area perché, a parte le difformità rispetto al progetto originario e l’assenza di autorizzazione per lo sbancamento necessario alla realizzazione del seminterrato, vi era stato il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile e dell’area su cui insisteva.

Il ricorrente commerciava materiale edile ed il sopralluogo del marzo 2017 aveva consentito di accertare la presenza di un’enorme quantità di materiale, nonché la realizzazione di opere fisse quale container, depositi, manufatti con intelaiatura metallica, scaffalature varie per l’esposizione per la vendita del suddetto materiale, mentre altro materiale si trovava nel deposito al piano seminterrato.

Premesso che l’area in oggetto ricadeva in zona E, quindi in zona agricola del piano regolatore, il Tribunale ha affermato che la diversa destinazione d’uso era confortata dalla comunicazione presentata al Comune relativo all’uso di determinate particelle a deposito delle materie edili e dal certificato d’iscrizione alla Camera di commercio. Era emerso inconfutabilmente che l’area era adibita all’esercizio dell’attività d’impresa.

L’art. 23-ter d.P.R. n. 380 del 2001, introdotto nel d.P.R. n. 380 del 2001 dal cd. decreto “Sblocca Italia” ex decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164, ha disciplinato il mutamento di destinazione d’uso rilevante, cioè quello che comporta il passaggio tra categorie funzionali urbanisticamente rilevanti, stabilendo che, salva la potestà previsionale in materia alle regioni, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale. La destinazione d’uso di un fabbricato o di un’unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.

Secondo il Tribunale del riesame la prevalenza è correlata al fabbricato o alle singole unità immobiliari (espressione che si riferisce letteralmente alle partizioni di un edificio), ed attiene non alla superficie, bensì alla tipologia di un’attività svolta in prevalenza, mentre, secondo il ricorrente tale requisito è da valutarsi in relazione alla superficie complessiva a disposizione.

L’interpretazione offerta nell’ordinanza impugnata è corretta, perché il secondo periodo dell’art. 23-ter si riferisce alla “prevalenza” della superficie utile del fabbricato o dell’unità immobiliare e non di tutto il fondo (nozione che non compare nella norma).

Allorché muti la destinazione d’uso per effetto della diversa attività svolta, il titolare del bene è tenuto a munirsi del titolo abilitativo.

La decisione si colloca in continuità con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità (Cass., Sez. 3, n. 52398 del 19/06/2018, De Pasquale, Rv. 275177, secondo cui la trasformazione di un vano cisterna interrato per la raccolta delle acque in magazzino per il deposito delle merci, con conseguente creazione di superfici commerciali, configura una modifica di destinazione d’uso che necessita del rilascio di un idoneo titolo edilizio; si veda altresì, Cass., Sez. 3, n. 6060 del 13/01/2017, Caturano, Rv. 269941, l’attività fieristica va individuata quale attività commerciale, con la conseguenza che la modifica di destinazione d’uso, mediante opere, di un preesistente complesso immobiliare desinato ad insediamento produttivo richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire.).

In un caso del tutto sovrapponibile a quello in esame, questa Sezione ha affermato che si prescinde dall’apprezzamento della prevalenza, quando si verifichi un mutamento rilevante della originaria univoca destinazione d’uso, in conseguenza di un utilizzo del fondo diverso rispetto a quello originario, tale da assegnare l’immobile ad una diversa categoria funzionale tra quelle elencate nel primo comma dell’art. 23-ter d.P.R. 380/2001, bastando, in presenza di destinazione univoca, l’utilizzo diverso del fondo (Cass., Sez. 3, n. 50503 del 07/06/2016, Iezzi, n.m.). Si veda poi Cass., Sez. F, n. 36563 del 30/08/2016, Bottura, n.m., secondo cui l’accertamento del mutamento di destinazione d’uso per difformità totale rispetto al titolo abilitativo dev’essere effettuato, nel caso di lavori in corso d’opera, sulla base dell’individuazione di elementi univocamente significativi, propri del diverso uso cui l’opera è destinata e non coerenti con l’originaria destinazione della medesima. Ha richiamato a tal fine Sez. 3, n. 9282 del 26/1/2011, Saviano, Rv. 249756, ed ha osservato che la modifica di destinazione d’uso è integrata anche dalla realizzazione di sole opere interne (tra le altre, Sez. 3, n. 27713 del 20/5/2010, Olivieri, Rv. 247919), così come con la predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia all’interno di un vano autorizzato come “vuoto tecnico”, in quanto tale tipologia di intervento costituisce circostanza idonea per ritenere la destinazione abitativa dell’immobile (Sez. 3, n. 42453 del 7/5/2015, Fedeli, Rv. 265191; Sez. 3, n. 17359 dell’8/3/2007, Vazza, Rv. 236493). Peraltro, lo Iovine aveva già impugnato un’ordinanza del medesimo tenore del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 23 gennaio 2018 e questa Sezione con sentenza n. 31454 del 08/06/2018, n.m. aveva osservato che la motivazione del Tribunale del riesame era adeguata e logica, immune dal vizio di violazione di legge, perché il terreno ed il manufatto edificato avevano subìto, di fatto, una variazione d’uso incompatibile con la zona agricola, anche per la realizzazione di strutture prive di qualsivoglia autorizzazione destinate, in modo permanente a consentire la finalità di deposito di materiale edile, attività connessa all’oggetto d’impresa esercitata dall’istante.

In conclusione, il ricorso va rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 592 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso, il 2 luglio 2020

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