19/03/2020 – Urbanistica. Inizio lavori del permesso di costruire, proroga e decadenza.

Urbanistica. Inizio lavori del permesso di costruire, proroga e decadenza.
Pubblicato: 18 Marzo 2020
di Antonio VERDEROSA
 
Gran parte della giurisprudenza, sostenendo con il termine “inizio lavori” si intende la realizzazione di consistenti e concrete opere edilizie, esclude che in tale concetto possa rientrarvi l’allestimento di cantiere o l’esecuzione di scavi con sistemazione del terreno.

Accogliendo, invece, la tesi prospettata la nozione di “inizio lavori” deve intendersi riferita a concreti lavori di carattere edilizio, di tal che i lavori possono intendersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi di uomini, cioè:  nelle opere di trasformazione dei luoghi; nell’innalzamento di elementi portanti; nella elevazione di muri; nell’esecuzione di scavi coordinati al getto delle fondazioni del costruendo fabbricato.

La dottrina (Cfr. Mengoli, “Manuale di Diritto Urbanistico”, Milano, 1992, pag. 774) , pertanto, ravvisa in tale ipotesi (decadenza dalla concessione edilizia mancato inizio e/o ultimazione dei lavori nei termini di legge) un venir meno degli effetti della concessione dovuto ad un sostanziale ingiustificato inadempimento da parte del privato. In proposito va evidenziato che la legge non precisa la nozione di inizio lavori. Tale nozione però, secondo la giurisprudenza consolidata (tra queste Sentenza del Consiglio di Stato, Sez IV n° 467 del 16 gennaio 2018, deve intendersi riferita “a concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto”. Limitandosi alla sola ipotesi di decadenza per mancato inizio dei lavori nei termini di legge, trattasi di stabilire il significato dell’espressione “inizio lavori” che il legislatore non chiarisce. Al riguardo si discute se debba aversi riguardo ad un criterio formale o ad un criterio sostanzial-naturalistico. Pertanto i lavori debbono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici ( cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez. VI, 19 settembre 2017).

Una parte della dottrina aderisce al criterio formale e ritiene che costituisca inizio dei lavori ogni esecuzione, sia pure di minima entità, di opere che qualitativamente sono soggette a concessione. Di tale avviso è il Mengoli, (op. cit., pag. 747) secondo cui ” … così il getto delle fondazioni o parte di esse appare logicamente come inizio dei lavori, in quanto l’opera è soggetta a concessione, mentre lo scavo delle fondazioni, così come la installazione del cantiere, costituiscono presupposti necessari ma non fatti soggetti a concessione …”.

In questa prospettiva i lavori non possono ritenersi iniziati quando consistono in livellamenti, sondaggi, generici sterri, nel tracciamento di piste o accessi provvisori, nella recinzione dell’area mediante fili metallici e nell’apposizione di cartelli e di insegne; debbono invece ritenersi iniziati quando consistono nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell’impianto di cantiere, nella creazione di strade e di accessi destinati restare, nell’innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazione del costruendo edificio (Cfr. Aldo Fiale, Diritto Urbanistico, ed. Simone).

In ogni caso, l’accertamento del tempestivo inizio dei lavori deve badarsi non solo sulla reale volontà di dare corso all’opera realizzate, ma soprattutto sulla loro idoneità a dimostrare la reale volontà di dare corso all’opera autorizzata.

Determinate attività esecutive, infatti, potrebbero costituire semplici espedienti per evitare la caducazione del permesso di costruire.

Il permesso – ha una durata limitata, nell’ambito della quale l’intervento va iniziato e portato a compimento dal suo titolare, pena l’automatica decadenza del titolo (Consiglio di Stato, IV sezione, sentenza 3030/2008; Tar Liguria, II sezione, 5569/2010) e l’impossibilità di completare legittimamente le opere ancora non eseguite. La prosecuzione dell’intervento a termine scaduto configura un abuso edilizio penalmente sanzionabile (Cassazione penale, III sezione, 17971/2010). La ratio della norma (art. 15 del Dpr 380/2001) è, da un lato, garantire l’effettività dell’interesse a realizzare l’intervento edificatorio; dall’altro, non vincolare a tempo indeterminato l’amministrazione comunale nelle future scelte pianificatorie, che potrebbero portarla a modificare le originarie previsioni urbanistiche. Il medesimo articolo prescrive che il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore a un anno dal rilascio del permesso di costruire, mentre quello di ultimazione non può superare i tre anni dall’avvio delle opere. L’inizio dei lavori deve comunque essere effettivo e concreto.  

Sul punto, la Cassazione penale III sezione, 7114/2010 che il Consiglio di Stato, V sezione, 7748/2004, hanno  precisato …come non basti un semplice sbancamento di terreno, essendo necessari ulteriori elementi quali l’impianto del cantiere, l’innalzamento di elementi portanti, l’elevazione di muri o l’esecuzione di scavi coordinati alle fondazioni. In assenza di un inizio significativo, l’amministrazione potrà legittimamente pronunciare la decadenza del permesso…..

Sia il termine iniziale (Consiglio di Stato, V sezione, 4498/2008), che quello finale, non possono essere interrotti o sospesi (Tar Liguria, 5569/2010), ma sono suscettibili di proroga. Questa, tuttavia, potrà essere assentita solo se richiesta prima delle rispettive scadenze (Consiglio di Stato, VI sezione, 3349/2001) e solo «per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso». Ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto che non costituiscano un valido motivo di proroga i ritardi dovuti a un contenzioso per un’opera abusiva (Cassazione penale, III sezione, 19101/2008) o la semplice insorgenza di difficoltà tecnico-economiche (Tar Catania, I sezione, 1507/2009).

Ed infatti, ai fini della sussistenza, o meno dei presupposti per la decadenza del Permesso di Costruire, l’effettivo inizio dei lavori relativi deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edificatorio programmato ed autorizzato, all’evidente scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione stessa di procedere alla costruzione dell’opera progettata (Consiglio Stato, sez. V, 16 novembre 1998, n. 1615).

Occorre, altresì, rammentare che la decadenza del titolo edilizio è effetto legale del verificarsi del relativo presupposto, ovvero del decorso del termine di inizio e di ultimazione dei lavori, sì che il provvedimento comunale sul punto è meramente dichiarativo. (cfr. Cons. St., Sez. VI, 20 novembre 2017, n. 5324).

Alcune precisazioni appaiano utili perché sia sufficientemente chiaro il discorso che segue .

La prima è che la decadenza del permesso di costruire è un provvedimento tipico che può essere adottato soltanto in presenza delle due ipotesi tassativamente disciplinate dall’art. 15 del D.P.R. 380/2001, ossia nel caso di inutile decorso dei termini stabiliti dalla legge per l’inizio e la fine dei lavori, ovvero qualora sopravvengono  previsioni urbanistiche contrastanti con il permesso rilasciato, purchè i lavori non siano iniziati; data la premessa, da essa viene fatto discendere che non è consentito all’amministrazione comunale determinare autonomamente ulteriori cause di decadenza automatica del permesso di costruire (Tar Bari, sez. III, 14 gennaio 2009, n°33).

Ai sensi dell’art. 17, comma 1 let. F), D.L. 12 settembre 2014, n°133 (c.d. decreto Sblocca Italia) convertito nella L. 11 novembre 2014, n° 364, la decadenza non può essere dichiarata anche nel caso la  proroga del termine di inizio o di completamento dei lavori sia stato chiesto dall’interessato prima della loro scadenza.

La seconda riguarda la ratio sottesa all’imposizione, a pena di decadenza, di un termine massimo per l’inizio e la conclusione dei lavori da parte del soggetto in possesso del titolo che lo abilita a realizzare il suo progetto edificatorio, che è da individuarsi nella necessità di garantire la certezza dell’assetto urbanistico del territorio comunale, evitando al tempo stesso intenti speculativi da parte dei privati che, una volta  ottenuto il permesso di costruire, non l’utilizzano per un periodo di tempo indeterminato in attesa che si realizzano condizioni migliori per lo sfruttamento ai fini edificatori dell’area, direttamente o mediante cessione del titolo abilitativo a terzi (Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2005, n° 7342 per il quale sarebbe irragionevole  una norma che lasciasse l’inizio dei lavori alla libera scelta dell’interessato).

Appare utile riportare una serie di massime al fine di evidenziare le indicazione date dalla giurisprudenza :

“Ai fini dell’impedimento della decadenza della concessione ai sensi dell’art. 31, legge 17 agosto 1942, n. 1150, l’avvio dei lavori può senz’altro ritenersi sussistente quando le opere intraprese ed oggetto della concessione siano tali da manifestare l’univoca intenzione del concessionario di realizzare il manufatto assentito. La circostanza relativa alla ripulitura del sito e di aver approntato il cantiere ed i materiali necessari per l’esecuzione dei lavori sull’immobile non può certamente considerarsi come volontà diretta ed univoca volta al compimento delle opere assentite. Del pari, è stato in passato rimarcato che al fine di impedire la decadenza comminata dall’art. 31 della L. 17 agosto 1942, n. 1150, come sostituito dall’art. 10 della L. 6 agosto 1967, n. 765 e dall’art. 4 della L. 28 gennaio 1977, n. 10 l’inizio dei lavori può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da manifestare una effettiva volontà da parte del concessionario di realizzare il manufatto assentito e tale non può considerarsi il semplice sbancamento del terreno.” (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2027, del 15 aprile 2013) .

“L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da manifestare una effettiva volontà da parte del concessionario di realizzare il manufatto assentito, non essendo sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione”. (Consiglio Stato, sez. V, 22 novembre 1993, n. 1165).

“L’inizio dei lavori di costruzione si può ritenere sussistente solo quando le opere intraprese siano tali da manifestare un’effettiva volontà da parte del concessionario di realizzare il manufatto assentito, dall’uopo non potendo bastare il semplice sbancamento del terreno, oppure la posa dei materiali di cantiere” .Cons. Stato Sez. V, 30 giugno 1995, n. 938 (Soc. Edil moderna Latina c. Com. S. Felice Circeo, in “Foro Amm.”, 1995, 1241).

“Ai fini dell’impedimento della decadenza della concessione edilizia, i lavori edili s’intendono iniziati, al di là della loro consistenza più o meno cospicua o dell’irreversibile trasformazione del territorio – concetto, quest’ultimo, peraltro estraneo alla normativa urbanistica solo quando le relative opere siano finalizzate alla realizzazione del fabbricato assentito -, in modo tale che i lavori non possano esser ritenuti fittizi o simbolici e che, invece, provino la serietà dell’intento di edificare (per esempio) lavori di sbancamento, posa in opera di plinti, recinzione di cantiere, ecc.).” Cons. Stato Sez. V, 11 ottobre 1996, n. 1227 (Soc. Cemac c. Com. Fabriano, in “Foro Amm.”, 1996, 2886 e “Cons. Stato”, 1996, I, 1504)

“Non costituisce inizio dei lavori idoneo a evitare la decadenza della concessione edilizia in contrasto con le sopravvenute disposizioni di piano, ex art. 31 comma 10 l. 17 agosto 1942 n. 1150, il parziale sbancamento del terreno e la realizzazione di due soli pali di fondazione.” TAR Marche, 27 agosto 1994, n. 233 (Balducci c. Com. Fabriano, in “Foro Amm.”, 1994, 2915)

“È illegittimo il provvedimento di decadenza della concessione edilizia per mancato inizio dei lavori, ove risulti l’effettuazione, nei termini, di scavi e sbancamenti, o la costruzione di muri o pilastri, o comunque di opere dalle quali sia dato desumere in modo certo la concreta volontà del titolare della licenza di realizzare effettivamente la costruzione per la quale la concessione edilizia è stata chiesta.” Cons. Stato (Sez. V), 13 maggio 1991, n. 807 (Com. Barzio c. Soc. Agostoni, in “Cons. Stato”, 1991, I, 943).

“Costituiscono effettivo inizio dell’attività edificatoria – e sono quindi utili ad impedire la decadenza della concessione edilizia – i lavori di scavo di fondazioni, l’elevazione di muri e la costruzione di platea in calcestruzzo con sottostante fondazione (tali opere sono state ritenute sufficienti anche in rapporto alla brevità del termine – sei mesi – stabilito dal regolamento edilizio comunale per l’inizio della costruzione)” Cons. Stato (Sez. V), 24 maggio 1988, n. 350 (Com. Bosisio Parini c. Turri, in “Foro Amm.”, 1988, 1400)

E la declaratoria di decadenza della licenza edilizia per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima solo ove il titolare della concessione abbia eseguito “lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge” (Consiglio Stato, sez. V, 15 ottobre 1992, n. 1006) oppure lo sbancamento interessi un’area di vaste proporzioni (Consiglio Stato, sez. V, 13 maggio 1996, n. 535).

Va quindi opportunamente evidenziato il principio generale per cui il completamento dei manufatti per i quali sia decaduto il titolo abilitativo è subordinato alla previa formazione di un nuovo titolo abilitativo, da individuarsi in base alla qualifica delle opere che rimangono da eseguire, il quale deve essere in ogni caso conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento del rilascio, a nulla valendo ogni riferimento alla previgente disciplina da cui traeva fondamento l’originario titolo decaduto. Secondo le previsioni dell’art. 4 della legge n. 10/1977 un fabbricato poteva ritenersi «ultimato», allorquando fosse in condizioni tali da essere abitabile o agibile : potevano mancare, pertanto, solo quelle parti minori ed accessorie che non impedivano l’abitabilità e l’agibilità del manufatto, circostanza, questa non riscontrabile nel caso qui attenzionato.

Nella normativa anteriore alla legge n. 10/1977, una costruzione si intendeva ultimata con il completamento delle sue strutture essenziali (copertura e tompagnatura dell’edificio «al rustico»). Fermo restando i termini sanciti dall’art. 15 del D.P.R. n°380/2001, la giurisprudenza considera quale data dalla quale far decorre il tempo utile per la comunicazione di inizio lavori non la data di emanazione del provvedimento bensì  quella dell’avvenuta notifica all’interessato, in quanto essendo il Permesso di Costruire un atto “recettizio” esso si perfeziona solo con la sua effettiva comunicazione alle parti interessate (Consiglio di Stato, V Sezione , sentenze 4498/2008 e 1152/1996 -TAR Catania , I Sezione, sentenza 678/2009 -TAR Sicilia-Palermo, sentenza 181 del 01/02/2011).

Ma neanche ciò è sufficiente in quanto, il termine triennale di ultimazione decorreva decorre  dalla data di inizio effettivo dei lavori (e non da quella di rilascio o di notifica del permesso di costruire) :

«In tema di efficacia della concessione edilizia, il termine di tre anni stabilito dall’art. 4, 4° comma, L. 28 gennaio 1977, n. 10, per l’ultimazione dei lavori di costruzione è perentorio e, come tale, non tollera interruzioni o sospensioni; in relazione all’insorgenza di fatti estranei alla volontà del concessionario e non imputabili a sua colpa, la legge, invero, consente di poter fruire di un più lungo periodo, ma soltanto a condizione che ci si avvalga delle procedure a tale scopo predisposte dal 4° e 5° comma del succitato art. 4 (che prevedono la richiesta di un provvedimento di proroga della concessione edilizia, ovvero di una nuova concessione per la parte non ultimata)» (Cass, sez. un. pen, 25 marzo 1993, in Cass. pen, 1993, 1969).

«In assenza di una domanda di proroga del termine triennale di cui all’art. 4, 4° comma, L. 28 gennaio 1977, n. 10, si determina la decadenza ipso iure della concessione edilizia per mancata ultimazione dei lavori e il comune è tenuto a dichiararla con effetto ex tunc» (C. Stato, 21 ottobre 1991, n. 1239, in R. Riv. Giur. Urbanistica, 1992, 421).

La ratio complessiva della disciplina sopra richiamata consiste evidentemente nel mantenere il controllo sull’attività di edificazione, che è ovviamente operazione materiale non istantanea, non solo al momento del rilascio del titolo abilitativo ma anche “in progress”, in maniera da garantirne, entro limiti temporali ragionevoli e finché l’opera non sia stata sostanzialmente compiuta, la persistente conformità alla disciplina urbanistico-edilizia vigente non solo al momento del rilascio del permesso di costruire ma anche al momento (che potrebbe essere temporalmente molto successivo) della realizzazione dell’opera, allo scopo, quindi, di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più (cfr. TAR Lazio, Roma, sez.II-ter, 6-12-2011, n.9600 e TAR Marche, 20.4.2010, n.193).

In tal senso, l’edificazione in corso è normativamente condizionata a precisi requisiti (di fatto e temporali) ove risulti non (più) conforme ad eventuali sopravvenienze normative.

Con la  entrata in vigore della L. 9 agosto 2013, n. 98 (in S.O. n. 63, relativo alla G.U. 20/08/2013, n. 194)  di conversione del Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69  “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”  (13G00116) (GU Serie Generale n.144 del 21-06-2013 – Suppl. Ordinario n. 50), entrato in vigore il 22.06.2013 (cd. Decreto Fare), sono state  introdotte dall’art. 30 alcune misure finalizzate a fronteggiare le gravi difficoltà economiche in cui si trovavano attualmente ad operare le imprese edili.

In particolare, al comma 3 del citato articolo è stata prevista una proroga di due anni dei termini di inizio e fine lavori dei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi prima del 22 giugno 2013 (entrata in vigore del decreto legge 69/2013), a condizione che i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell’interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell’interessato , co nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati. E’ altresì prorogato il termine della autorizzazione paesaggistiche in corso di efficacia alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto . Ai sensi del successivo comma 4, detta disposizione si applica anche alle denunce di inizio attività e alle segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro lo stesso termine.  Condizione ineludibile della proroga biennale ex lege dell’efficacia dei titoli edilizi è quindi costituita da : a) dalla tempestività della comunicazione dell’interessato, che deve essere ovviamente anteriore alla scadenza del termine di efficacia del titolo; b) dalla conformità dell’intervento edilizio, e quindi al non contrasto, con gli strumenti urbanistici adottati o approvati.

Si tratta di una proroga “speciale” dell’efficacia dei titoli abilitativi legata alla crisi del settore delle costruzioni, che si differenzia dalla cosiddetta proroga “ordinaria” prevista all’art. 15 del DPR 380/2001.

La proroga, pertanto, non può essere conseguita adducendo impedimenti soggettivi del titolare del permesso di costruire (tra le tante TAR Lazio n. 5370/2005).

La proroga  dei termini di inizio e fine lavori  che ”possono essere prorogati per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso”, può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione ”della mole dell’opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.

Come affermato più volte dalla giurisprudenza tra i fatti sopravvenuti estranei alla volontà dell’interessato vi rientrano quelli connessi a ”forza maggiore” o ad altre cause espressamente contemplate dalla legge, non riferibili alla condotta del titolare della concessione e assolutamente ostative ai lavori.

Tra questi vi rientrano anche i casi in cui durante l’esecuzione dei lavori intervenga un contenzioso giudiziario civile implicante lo svolgimento di indagini peritali.

E’ quanto ha stabilito il Tar Campania, Sez I, con sentenza del 14 gennaio 2014, n. 107, che in linea con quanto già affermato dalla giurisprudenza, ha evidenziato che tale circostanza integra una ”causa di forza maggiore”, indipendente dalla volontà del titolare del titolo, nonchè idonea a legittimare la presentazione di un’istanza per la proroga dei termini di validità del titolo edilizio.

Nel caso di specie i lavori erano stati sospesi al fine di consentire al tribunale civile la verifica tramite una consulenza tecnica d’ufficio dei vizi e delle difformità denunciati dal committente all’impresa appaltatrice dei lavori.

Per converso, la medesima disciplina stabilisce normativamente il punto di equilibrio tra i diritti quesiti del concessionario (la sua aspettativa a realizzare l’opera così come autorizzata con il titolo abilitativi) e l’interesse pubblico al rispetto delle regolamentazioni sopravvenute, individuandolo nell’inizio dei lavori e nella loro conclusione in termini stabiliti (un anno dal rilascio e tre anni dalla data di inizio dei lavori).

In sostanza, la disciplina sostanziale richiede un continuo confronto (bilanciamento) tra quanto è stato autorizzato, quanto è stato realizzato (o si confida verrà realizzato nel tempo stabilito) e le sopravvenienze, che in linea di principio restano il parametro al quale conformare gli interventi edilizi in corso o futuri.

Orbene, se si tiene conto del preciso disposto del ripetuto comma 4 dell’art.15 (“il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsione urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”), è del tutto evidente la insussistenza di fatti idonei ad evitare la decadenza nel caso del mancato rispetto dei termini di inizio e ultimazione dei lavori (di cui al comma 2 dell’art.15) . Si aggiunge che per effetto dell’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche anche un titolo in corso di validità (non decaduto, cioè, per il decorso del tempo) era soggetto alla verifica delle condizioni del art. 12 del DPR 380/01 per il rilascio. La norma, conformemente al noto principio tempus regit actum, afferma l’altrettanto generale principio che l’entrata in vigore del nuovo strumento di programmazione è di per sé solo impeditiva di ogni attività edilizia che allo stesso non risulti conforme.   Si rileva inoltre che la decadenza del titolo edilizio non necessita di un provvedimento espresso da parte della pubblica amministrazione, essendo sufficiente il decorso del tempo accompagnato dall’inerzia del titolare. E’ quanto ha stabilito la Quarta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza 18 maggio 2012, n. 2915.

Su questi aspetti i si è pronunciata  la Corte di Cassazione, Sez. III con Sent. n°19101 del 12 maggio 2008, determinando l’inapplicabilità di questo procedimento qualora la proroga venga rilasciata a seguito di variazioni dello strumento urbanistico che ha generato la C.E. originaria  La Corte, afferma che dall’art. 15, comma quarto, del T.U. approvato con D.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui l’abilitazione a costruire “decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”, deve ricavarsi la conseguenza per cui la suddetta proroga (da richiedersi nel periodo di validità del titolo e non dopo la sua decadenza) non può più essere accordata allorquando siano sopravvenute previsioni urbanistiche incompatibili con l’intervento assentito. Aggiunge inoltre che ben può il giudice penale accertare la conseguente mancanza dei presupposti legali per l’esercizio discrezionale della proroga e ritenere quindi la intervenuta decadenza del permesso a costruire.

Ed ancora, il rilascio del nuovo permesso per le opere ancora da eseguire previsto dal 3° comma dell’art. 15 del D.P.R. 380/01 nell’ipotesi di intervenuta decadenza del P. di C. è subordinato ad una nuova autonoma verifica circa la sussistenza dei presupposti richiesti dalle norme urbanistiche per l’esecuzione di dette opere (C. Stato ord. cautelare sez. IV, 25 febbraio 2005, n°966).

Antonio Verderosa

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