27/01/2020 – Il diritto di accesso per curare o per difendere i propri interessi giuridici necessita di un adeguato nesso funzionale con la situazione invocata dal richiedente

Il diritto di accesso per curare o per difendere i propri interessi giuridici necessita di un adeguato nesso funzionale con la situazione invocata dal richiedente
di Massimo Asaro – Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali
Il Consiglio di Stato espone i presupposti di fatto e di diritto per l’esercizio dell’accesso documentale, di cui alla L. n. 241/1990. I principi generali elaborati dalla giurisprudenza in materia d’accesso sono essenzialmente quattro:
1. il diritto all’accesso documentale, pur essendo finalizzato ad assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa e a favorirne lo svolgimento imparziale, non si configura come un’azione popolare, esercitabile da chiunque, indipendentemente da una posizione giuridicamente differenziata, ma è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti si riferiscono direttamente o indirettamente e comunque solo laddove essi se ne possano avvalere per tutelare una posizione giuridicamente rilevante (Cons. Stato, Sez. III, 11 gennaio 2019, n. 249Cons. Stato Sez. V, 14 settembre 2017, sent. n. 4346);
2. a tal fine la nozione di strumentalità va intesa in senso ampio, in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante, dovendo la domanda ostensiva essere finalizzata alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell’atto o del documento del quale si richiede l’accesso (Cons. Stato Sez. III, 16 maggio 2016, sent. n. 1978Cons. Stato Sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2269Cons. Stato 6 agosto 2014, n. 4209);
3. il carattere strumentale dell’accesso non ne implica peraltro la riduzione a una situazione meramente servente rispetto alla difesa in giudizio della situazione sottostante, assumendo in particolare l’accesso una valenza autonoma in relazione alla sorte del processo principale e della domanda giudiziale (Cons. Stato, Sez. IV, 19 ottobre 2017, sent. n. 4838);
4. l’interesse sotteso all’accesso deve a sua volta connotarsi per essere:
a) diretto, cioè correlato alla sfera individuale e personale del soggetto richiedente, dovendosi, con ciò, escludere una legittimazione generale, indifferenziata ed inqualificata;
b) concreto, e quindi specificamente finalizzato, in prospettiva conoscitiva, alla acquisizione di dati ed informazioni rilevanti ed anche solo potenzialmente utili nella vita di relazione, palesandosi immeritevole di tutela la curiosità fine a se stessa, insufficiente un astratto e generico anelito al controllo di legalità, precluso un «controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni» (cfr. art. 24, comma 3, L. n. 241/1990);
c) attuale, cioè non meramente prospettico od eventuale, avuto riguardo all’attitudine dell’auspicata acquisizione informativa o conoscitiva ad incidere, anche in termini di concreta potenzialità, sulle personali scelte esistenziali o relazionali e sulla acquisizione, conservazione o gestione di rilevanti beni della vita;
d) strumentale, avuto riguardo sia, sul piano soggettivo, alla necessaria correlazione con situazioni soggettive meritevoli di protezione alla luce dei vigenti valori ordinamentali, sia, sul piano oggettivo, alla specifica connessione con il documento materialmente idoneo a veicolare le informazioni (Cons. Stato, Sez. V, 2 ottobre 2019, sent. n. 6603).
Secondo il Consiglio di Stato, a fronte della pluralità dei modelli (teorici) d’accesso previsti dall’ordinamento, la P.A. – così come il giudice – è vincolata alla scelta dell’istante nel caso in cui questi abbia formulato espressa opzione per uno di tali modelli, «resta(ndo) precluso alla pubblica amministrazione – fermi i presupposti di accoglibilità dell’istanza – di diversamente qualificare l’istanza stessa al fine di individuare la disciplina applicabile; in correlazione, l’opzione preclude al privato istante la conversione in sede di riesame o di ricorso giurisdizionale» (Cons. Stato, Sez. V, 2 agosto 2019, sent. n. 5503). La questione della “conversione” dell’istanza da parte della P.A. ricevente è ammessa da parte della giurisprudenza e anche questo aspetto è stato rimesso all’Adunanza plenaria dalla terza Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza 16 dicembre 2019, n. 8501. Invece, in presenza di una istanza di accesso complessa, formulata e basata, in via alternativa, su entrambi i modelli (accesso documentale di cui alla L. n. 241/1990 e accesso civico generalizzato di cui al D.Lgs. n. 33/2013), la P.A. che detiene la documentazione richiesta può anch’essa, alternativamente, fare applicazione di un istituto anziché dell’altro, in ragione dell’esito della verifica circa la sussistenza dei presupposti legittimanti l’uno o l’altro strumento (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 27 dicembre 2019, sent. n. 2750).
Quando l’istanza di accesso documentale è motivata dall’interesse a proporre in giudizio un’azione a difesa di un diritto o interesse legittimo (accesso difensivo) è irrilevante che i documenti oggetto dell’istanza siano eventualmente acquisibili in sede giudiziale ai sensi degli artt. 210 e 213 c.p.c., perché non può ritenersi «che l’accesso ai documenti sia automaticamente precluso dalla pendenza di un giudizio civile, nella cui sede l’ostensione degli stessi documenti potrebbe essere disposta dal g.o., mediante ordine istruttorio ex art. 210 c.p.c. oppure mediante richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c., stante l’autonomia della posizione sostanziale tutelata con gli artt. 22 e ss. L. n. 241 cit. rispetto alla posizione che l’interessato intende difendere con altro giudizio e della relativa azione posta dall’ordinamento a tutela del diritto di accesso, perché, diversamente opinando, ciò si tradurrebbe in una illegittima limitazione del diritto di difesa delle parti, con conseguente lesione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale» (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 2018, sent. n. 6444Cons. Stato, Sez. VI, 21 marzo 2018, sent. n. 1805Cons. Stato Sez. IV, 27 agosto 2019, sent. n. 5910Cons. Stato Sez. IV, 29 luglio 2019, sent. n. 5347). In materia di appalti (art. 53D.Lgs. n. 50/2016 e smi), la mera intenzione di verificare e sondare l’eventuale opportunità di proporre ricorso giurisdizionale (anche da parte di chi vi abbia, come l’impresa seconda graduata, concreto ed obiettivo interesse) non legittima un accesso meramente esplorativo a informazioni riservate, perché difetta la dimostrazione della specifica e concreta indispensabilità a fini di giustizia (Cons. Stato, Sez. V, 7 gennaio 2020, sent. n. 64).
L’accesso difensivo ai documenti deve essere consentito senza che sia possibile operare alcun apprezzamento in ordine alla ammissibilità ovvero alla fondatezza della domanda o della censura che sia stata proposta o che si intenda proporre, la cui valutazione spetta soltanto al giudice chiamato a decidere (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28 settembre 2010, sent. n. 7183 e Cons. Stato Sez. VI, 21 settembre 2006, sent. n. 5569T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-ter, 7 luglio 2015, sent. n. 9034T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 13 gennaio 2020, sent. n. 62). In materia di appalti, la tutela del segreto tecnico o commerciale è esclusa in presenza di un accesso preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale, tuttavia si impone l’effettuazione di un accurato controllo in ordine alla effettiva utilità della documentazione richiesta, alla stregua di una sorta di prova di resistenza (tra altre, Cons. Stato, Sez. V, 9 dicembre 2008, sent. n. 6121Cons. Stato, Sez. V, 12 novembre 2019, sent. n. 7743).
Per quanto attiene ai rapporti tra accesso documentale (difensivo) e riservatezza, di cui al D.Lgs. n. 196/2003 e smi e al Regolamento UE 2016/679 (GDPR), l’accesso è prevalente se i documenti sono necessari ma l’utilizzo dei dati personali (non sensibili/particolari) contenuti nei documenti:
a) dovrà essere strettamente limitato alla propria difesa e tutela nei confronti del provvedimento adottato a proprio carico, «non potendo essere utilizzato per qualsivoglia altro scopo, anche giudiziario (attivo o passivo), nel rispetto del principio di “minimizzazione dei dati” di cui all’art. 5 del GDPR, a mente del quale l’utilizzo dei dati deve essere “adeguat(o), pertinent(e) e limitat(o) a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati”» nonché,
b) l’acquisizione della conoscenza di tali dati determinerà l’ingresso di questi ultimi nel “patrimonio dei dati” disponibili presso il richiedente, imponendosi a carico del “titolare del trattamento” nonché dell’eventuale “responsabile del trattamento” (se ed in quanto nominato) del medesimo richiedente la custodia e l’utilizzo di tali dati secondo le regole imposte dal GDPR, nel rispetto del principio (anch’esso recato dall’art. 5 del GDPR) del trattamento “(…) in modo lecito, corretto e trasparente”, pena, in caso di violazione, l’applicazione delle previsioni di cui all’art. 82 (Diritto al risarcimento e responsabilità) ed 83 (Condizioni generali per infliggere sanzioni amministrative pecuniarie) del GDPR (Cons. Stato, Sez. VI, 28 ottobre 2019, sent. n. 7379).

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