31/03/2017 – La mancata astensione del consigliere comunale per conflitto di interesse può generare danno erariale

La mancata astensione del consigliere comunale per conflitto di interesse può generare danno erariale
di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

 

Un consigliere comunale aveva proceduto alla votazione di una deliberazione avente contenuto favorevole ad un piano di lottizzazione che aveva comportato il successivo rigetto della domanda edificatoria di alcuni privati per interferenza con il citato piano urbanistico approvato. Successivamente, il TAR adito, annullava la citata deliberazione del piano di lottizzazione, evidenziando quale motivo prevalente la mancata astensione nella votazione da parte del citato consigliere, per conflitto di interessi ai sensi dell’art. 78 del TUEL. La Procura contabile, a fronte della soccombenza e del pagamento delle spese di giudizio poste a carico dell’amministrazione, citava in giudizio il citato consigliere comunale, al fine di vederlo condannare al danno arrecato alle casse comunali, equivalenti agli esborsi sostenuti per le spese processuali, a seguito della soccombenza del comune nel giudizio amministrativo che aveva considerato come dirimente la partecipazione al voto del consigliere.

Il dovere di astensione del consigliere comunale

Evidenziano i giudici contabili, come l’obbligo di astensione dei consiglieri comunali, trovi compiuta regolamentazione nel nostro ordinamento da tempo assai risalente ed in particolare:

· l’art. 290, comma 1, R.D. 4 febbraio 1915, n. 148, recante «Approvazione del nuovo testo unico della legge comunale e provinciale» stabiliva che «i consiglieri, gli assessori, i deputati provinciali e i membri della Giunta provinciale amministrativa debbono astenersi dal prendere parte alle deliberazioni riguardanti liti o contabilità loro proprie, verso i corpi cui appartengono, con gli stabilimenti dai medesimi amministrati, o soggetti alla loro amministrazione o vigilanza; come pure quando si tratta d’interesse proprio, o d’interesse, liti o contabilità dei loro congiunti od affini sino al quarto grado civile, o di conferire impieghi ai medesimi»;

– Analoga previsione era contenuta nell’art. 279R.D. 3 marzo 1934, n. 383;

– Tali disposizioni sono state costantemente ripetute (con diversa formulazione, ovviamente, ma con identica sostanza), in tutta la normativa diretta, nel prosieguo del tempo, a disciplinare l’ordinamento degli Enti locali (cfr. L. 8 giugno 1990, n. 142art. 19, comma 1, L. 3 agosto 1999, n. 265) e poi trasfuse nell’attuale art. 78D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 («Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali»), il quale, per quanto qui di interesse, ha previsto che gli amministratori di cui all’art. 77, comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri ….

Avuto riguardo alla citata ultima disposizione, di cui all’art. 78 del TUEL, rileva il Collegio contabile come, seppure la stessa riferisca il dovere di astensione alla discussione ed alla votazione di delibere, e non contempli l’obbligo di allontanarsi dalla sala delle adunanze, la giurisprudenza ha mantenuto un’interpretazione rigorosa dell’obbligo in questione, costituendo punti fermi:

a) il rinvenire il fondamento dell’obbligo nell’art. 97 Cost., a garanzia della trasparenza imparzialità dell’azione amministrativa;

b) il rinvenire nel divieto una regola di carattere generale, che non ammette deroghe ed eccezioni, e ricorre ogniqualvolta sussista una correlazione diretta fra la posizione dell’amministratore e l’oggetto della deliberazione, anche se la scelta effettuata risulti nel concreto, la più corrispondente all’interesse pubblico;

c) la rilevanza del vizio procedurale, che prescinde dal contenuto intrinseco degli atti impugnati, ma che, coinvolgendo il funzionamento del consiglio (la sua composizione), interferisce inevitabilmente con la regolarità della dialettica interna all’organo e, di conseguenza, sulla corretta esplicazione delle prerogative dei consiglieri legittimati a partecipare alla discussione e al voto, determinando per tale via la illegittimità del deliberato ogniqualvolta i membri incompatibili non soltanto siano stati presenti, ma abbiano altresì espresso voto favorevole alla delibera;

d) il fatto che l’obbligo di astensione degli amministratori locali operi a prescindere dall’applicazione della c.d. prova di resistenza, poiché implica che l’amministrazione (il consigliere comunale nel caso in esame) non deve prendere comunque parte alla deliberazione né partecipare alla discussione, per non influenzarne l’esito.

A fronte di tali univoche e consolidate indicazioni giurisprudenziali, il TAR ha evidenziato quale motivo dirimente dell’annullamento della deliberazione la mancata astensione del consigliere.

La conclusione dei giudici contabili

Considerato che il citato dovere di astensione era specifico obbligo da parte del Consigliere, connotando la sua condotta come gravemente colposa, risulta irrilevante la difesa atta a sostenere l’ininfluenza del suo voto, essendo stata la deliberazione approvata da tutti i consiglieri comunali, in considerazione dell’aspetto rilevante secondo il quale la condotta foriera di danno erariale deve essere valutata ex ante, ossia a prescindere dall’esito successivo avuto con il voto. Tuttavia, mentre nel caso di specie la Procura aveva richiesto la condanna del convenuto non solo sulle spese giudiziali poste dal TAR a carico del Comune, ma anche quelle sopportate dall’amministrazione a difesa dell’ente, i giudici contabili ne determinano la loro quantificazione in via equitativa, considerato che le spese di difesa (pagamento del legale) sopportate dall’ente siano decisioni assunte da persone diverse dal Consigliere, seguendo a tal riguardo le indicazioni contenute dai Giudici di Appello secondo le quali “sebbene non possa escludersi in radice il nesso di causalità tra la condotta di chi aveva dato luogo alle illegittimità da emendare, e le spese sostenute per porvi rimedio, può comunque affermarsi la sussistenza di un concorso di cause avente l’effetto … non di elidere del tutto la responsabilità ma di mitigarne l’addebito scomputando in via equitativa il quantum eventualmente riferibile ad altri soggetti” (cfr. Sezione Seconda Centrale, sentenza n. 829 del 2 agosto 2016).

Corte dei conti-Sardegna, Sez. giurisdiz., Sent., 7 marzo 2017, n. 26

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