30/09/2019 – Multe dei dipendenti pagati dalla società in house: è peculato per il dirigente che autorizza la spesa

Multe dei dipendenti pagati dalla società in house: è peculato per il dirigente che autorizza la spesa
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 38260 del 16 settembre 2019 , ha rigettato il ricorso di un dirigente di una società in house, confermando la condanna della Corte territoriale per peculato, per avere utilizzato risorse societarie per pagare sanzioni pecuniarie commessa dai dipendenti della società, al fine di evitare conseguenze penale per violazioni in materia di lavoro, sicurezza e tutela ambientale.
Il caso
Un dirigente dell’area finanza e bilancio di una società in house di un Comune siciliano è indagato di avere concorso con altri nell’appropriazione di somme di cui aveva la disponibilità per ottenere l’estinzione dei reati contravvenzionali attribuiti a soggetti che rivestivano cariche all’interno della medesima società.
Secondo l’ipotesi d’accusa del P.M. approfittando della veste dirigenziale ricoperta, avrebbe distratto risorse della società ai fini del pagamento delle sanzioni pecuniarie inflitte ad amministratori e dirigenti persone fisiche per violazioni in materia di sicurezza sul lavoro e ambientali per evitare anche la responsabilità penale personale dei singoli addetti.
Il Tribunale ordinario ha posto in luce:
a) come i pagamenti concernessero sanzioni di natura non amministrativa ma penale, riferibili in via esclusiva alle persone fisiche responsabili degli illeciti;
b) come il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, non preveda fra i reati-presupposto della responsabilità dell’ente le contravvenzioni contestate ai dipendenti e dirigenti della società nel caso in esame;
c) come l’effetto liberatorio nei confronti del contravventore derivante dal pagamento anche effettuato da un terzo non si fondi su un meccanismo di natura premiale, legato all’atteggiamento soggettivo del contravventore, ma solo e soltanto sulla rimozione del pericolo e l’ottenimento della monetizzazione dell’illecito.
Con specifico riguardo alla posizione del dirigente il Tribunale ha rilevato come:
– l’indagato svolgesse funzioni dirigenziali nell’ambito dell’azienda a capitale pubblico di un Comune siciliano occupandosi proprio dell’area bilancio e finanze;
– egli avesse una conoscenza specifica circa i limiti e le condizioni dell’utilizzo delle risorse economiche della società e non potesse ignorare che i pagamenti non erano relativi all’attività dell’ente, essendo d’altronde inescusabile l’errore su norma extrapenale.
Il Tribunale ha condannato il dirigente sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale il peculato è integrato anche dalla condotta di “distrazione” allorché essa avvenga, come nel caso di specie, per soddisfare meri interessi privati, rimarcando altresì come debba ritenersi contraria ai principi di legalità e di efficienza dell’azione amministrativa la prassi di sostenere da parte dell’ente l’esborso delle somme di denaro concernenti le sanzioni irrogate alle persone fisiche in un procedimento penale, con ciò deresponsabilizzando i dipendenti rispetto alle conseguenze sanzionatorie delle violazioni da esse commessi nell’espletamento del servizio ed incentivandoli nell’illecito.
Avverso la sentenza sfavorevole il dirigente della società in house è ricorso in Cassazione.
La sentenza dei giudici di legittimità
Per la Corte di Cassazione il ricorso deve essere rigettato. I giudici di legittimità osservano come la normativa in materia di sicurezza e di igiene del lavoro preveda una duplice tipologia di sanzioni, di natura amministrativa e penale, e come a tali profili di responsabilità possa aggiungersi la responsabilità civile dell’autore del fatto illecito nei confronti del soggetto che sia stato eventualmente danneggiato.
Come correttamente evidenziato anche dal Tribunale la destinazione all’estinzione delle contravvenzioni delle risorse dell’ente, vincolate alla realizzazione di un interesse pubblico presupponeva almeno l’adozione di un provvedimento formale da parte dell’organo d’amministrazione, previa verifica dell’esistenza di norme interne legittimanti la fuoriuscita di cassa e di uno specifico interesse della società alla pronta estinzione degli illeciti; provvedimento che, tuttavia, nel caso in esame non risulta essere mai stato deliberato dalla persona giuridica, là dove il dirigente ordinava il pagamento di cospicue somme prelevate dalla cassa dell’ente appuntando di suo pugno il riferimento alla delibera adottata dal C.d.A. della S.p.A., in effetti mai adottata.

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