30/05/2019 – Urbanistica. Verande

Urbanistica. Verande

Pubblicato: 29 Maggio 2019
Una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell’immobile
 
RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, in riforma della decisione resa dal tribunale di Marsala, che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di Giuseppa Mezzapelle in ordine ai reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A) e 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004 (così riqualificato il capo D) perché estinti, rispettivamente, per intervenuto rilascio in sanatoria e intervenuto accertamento di compatibilità paesaggistica, e aveva assolto l’imputata dai reati di cui agli artt. 93, 94, 95 d.P.R. n. 380 del 2001 (capo B) e 734 cod. pen. (capo C) perché il fatto non sussiste, in accoglimento dell’appello proposto sia dal P.G. territoriale, sia dal p.m., la Corte d’appello di Palermo dichiarava la predetta imputata colpevole dei reati di cui ai capi A) e B), limitatamente alla realizzazione della veranda, e D), e applicate le circostanze attenuanti generiche e riconosciuta la continuazione, la condannava alla mesi di due mesi di arresto e 23 mila euro di ammenda, subordinando la sospensione condizionale della pena all’avvenuta demolizione delle opere abusive entro il termine di novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza; assolveva l’imputata dalle altre condotte contestate ai capi A) e B) perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputata, a mezzo del difensore di fiducia, affidato a quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 121, comma 1, 178, comma 1, lett. b) e lett. c), 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. Assume la ricorrente che la Corte d’appello, pur avendo dato atto della memoria difensiva depositata il 18 maggio 2015, alle cui conclusioni la difesa si è riportata in sede di discussione, avrebbe nondimeno omesso di valutare le argomentazioni  fattuali e giuridiche in essa dedotte, ciò che integrerebbe una lesione dei diritti difensivi e, per l’effetto, determinerebbe la nullità della sentenza impugnata. 

2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. c) cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 44, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001, 20 l.r. n. 4 del 2003, 9 l.r. n. 37 del 1985. Sostiene la ricorrente che, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la realizzazione della veranda/tettoia non necessiterebbe del preventivo rilascio di concessione edilizia – trattandosi di opera inidonea, per la sua stessa natura (struttura leggera in legno aperta su tre lati), ad assorbire cubatura e/o a costituire aumento della preesistente superficie – essendo perciò soggetta alla semplice comunicazione ai sensi degli artt. 20, comma 1, l.r. n. 4 del 2003  e 9, comma 1, l.r. n. 37 del 1985, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa indicata nel ricorso. In ogni caso, la veranda/tettoia sarebbe da considerarsi una mera pertinenza e, come tale non soggetta al permesso di costruire, rientrano tra le opere di “edilizia libera” le quali non necessitano di alcun titolo abilitativo, ovvero tra quelle  assoggettabili alla mera s.c.i.a. Di conseguenza, il reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001 sarebbe estinto per il rilascio della s.c.i.a. in sanatoria, come ritenuto dal Tribunale.

2.3. Con il terzo motivo si eccepisce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 93, 94 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001 e 131 bis cod. pen. Ad avviso della ricorrente, nel caso in esame non occorreva un progetto da sottoporre all’ufficio del genio civile di Trapani e, quindi, una specifica denuncia d’inizio lavori da presentare a quell’ufficio, stante la struttura leggera dell’opera. Inoltre, aggiunge la ricorrente, il Tribunale aveva correttamente applicato il principio di offensività, escludendo la concreta lesione o messa in pericolo del bene tutelato; peraltro, come recentemente affermato da Cass., Sez. 3, n. 15782 del 23/02/2018, l’art. 131 bis cod. pen. si applica anche ai reati in materia antisismica.

2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. c) cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 146, 167, commi 4 e 5, 181, commi 1 ter e 1 quater, d.lgs. n. 42 del 2004. Lamenta la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso la punibilità del reato ambientale, non dando rilevanza all’accertamento di compatibilità paesaggistica da parte della competente Soprintendenza, che sarebbe stata legittimamente rilasciata, trattandosi di una mera veranda/tettoria, come tale inidonea a determinare un incremento volumetrico ovvero della superficie utile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato perché generico.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina, di per sé, alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (Sez. 2, n. 14975 del 16/03/2018 – dep. 04/04/2018, Tropea e altri, Rv. 272542; Sez. 4, n. 18385 del 09/01/2018 – dep. 27/04/2018, Mascaro e altro, Rv. 272739; Sez. 3, n. 5075 del 13/12/2017 – dep. 02/02/2018, Buglisi e altri, Rv. 272009). Orbene, la ricorrente si limita ad asserire che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto delle argomentazioni fattuali e giuridiche dedotte con la memoria difensiva depositata il 18 maggio 2018, senza tuttavia indicare né il contenuto delle argomentazioni medesime, né, soprattutto, come esse avrebbero inciso, disarticolandolo, sull’apparato motivazionale della sentenza impugnata.

3. Il secondo motivo è infondato.

3.1. Secondo quanto ritenuto dai giudici di merito, l’imputata, pur non essendo in possesso dei prescritti titoli autorizzativi, ha realizzato una veranda coperta adiacente al fabbricato principale, occupante una superficie di 55 mq. e un volume di 180 mc., avente struttura portante in legno e copertura a falde, circostanza peraltro nemmeno oggetto di contestazione. 

Nel caso di specie, a differenza di quanto ritenuto dalla ricorrente, la costruzione della veranda, vista nella sua completezza, necessitava del preventivo rilascio del permesso di costruire. Come costantemente affermato da questa Corte, infatti, in materia edilizia, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell’immobile (Sez. 3, n. 14329 del 10/01/2008 – dep. 07/04/2008, Iacono Ciulla, Rv. 239707).

3.2. Va, inoltre, ricordato che la natura precaria delle opere di chiusura e di copertura di spazi e superfici per le quali l’art. 20 della legge Regione Sicilia n. 4 del 2003 non richiede concessione e/o autorizzazione va intesa secondo un criterio strutturale, ovvero nel senso della facile rimovibilità dell’opera, e non funzionale, ossia con riferimento alla temporaneità e provvisorietà dell’uso, sicché tale disposizione, di carattere eccezionale, non può essere applicata al di fuori dei casi ivi espressamente previsti. (Sez. 3, n. 48005 del 17/09/2014 – dep. 20/11/2014, Gulizzi e altro, Rv. 261156: fattispecie in cui è stata esclusa la natura precaria della chiusura di due verande mediante mattoni forati legati da malta cementizia). 

3.3. La Corte territoriale si è uniformata ai principi ora evocati, avendo accertato che la veranda coperta, occupante una superficie e una volumetria propria, era un’opera stabilmente infissa al suolo, ciò che ne esclude il carattere di precarietà.

4. Il terzo motivo è infondato.

4.1. Va premesso che le disposizioni previste dagli artt. 83 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 si applicano a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica, anche alle opere edili con struttura in legno, a prescindere dai materiali utilizzati e dalle relative strutture, nonché dalla natura precaria o permanente dell’intervento (Sez. 3, n. 4567 del 10/10/2017 – dep. 31/01/2018, Airo’ Farulla, Rv. 273068; Sez. 3, n. 48950 del 04/11/2015 – dep. 11/12/2015, Baio, Rv. 266033).

4.2. Ciò chiarito, la Corte territoriale ha puntualmente confutato, con apprezzamento fattuale logicamente motivato, la valutazione espressa dal primo giudice, che aveva escluso la concreta offensività del fatto, correttamente evidenziando le caratteristiche strutturali e dimensionali della veranda coperta, costituita da cinque ritti in legno, con copertura a falde composta da assoni e travi di legno, sormontate da tavolato e regolato, con superficie residenziale di 55 mq. e con un’altezza media di 3,30 m. e volume di 180 mc.; da tali elementi la Corte territoriale, con apprezzamento fattuale non manifestamente illogico, ha desunto che l’opera costituisce un serio pericolo per l’incolumità pubblica, essendo stata realizzata senza ottemperare alle prescrizioni previste in materia antisismica.

4.3. Non pertinente appare il richiamo all’art. 131 bis cod. pen., il quale, prevedendo una causa di esclusione di punibilità, presuppone la sussistenza di un fatto tipico e offensivo, ancorché di un’offensività minima, valutata secondo i parametri previsti dalla norma, così impedendo la punibilità di fatti tipici così esiguamente lesivi del bene giuridico tutelato da non risultare meritevoli di pena. Si osserva, infine, che l’imputata, nella memoria difensiva, alle cui argomentazioni e richieste si era riportato il difensore in sede di discussione, non aveva richiesto, pur in via gradata, l’applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., la cui  applicabilità nel caso concreto, in ogni caso è stata – sia pure implicitamente – esclusa, dalla Corte territoriale, laddove ha ravvisato la non trascurabile offensività della condotta in considerazione delle caratteristiche strutturali e dimensionali dell’opera in esame.

5. Il quinto motivo è infondato.

5.1. Va ribadito che, come affermato da questa Sezione, in tema di reati paesaggistici, il rilascio del provvedimento di compatibilità paesaggistica non determina automaticamente la non punibilità dei predetti reati, in quanto compete sempre al giudice l’accertamento dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti l’applicazione del cosiddetto condono ambientale (Cass., Sez. 3, n. 13730 del 12/01/2016 – dep. 06/04/2016, Principato, Rv. 266955; Sez. 3, n. 1483 del 03/12/2013 – dep. 15/01/2014, Summa, Rv. 258295). Agli effetti della valutazione di compatibilità paesaggistica, il cui esito positivo determina la non applicabilità delle sanzioni penali previste per i reati paesaggistici dall’art. 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, la nozione di “superficie utile” di cui al comma 1-ter, lett. a), della richiamata disposizione, dev’essere individuata prescindendo dai criteri applicabili per la disciplina urbanistica e considerando l’impatto dell’intervento sull’originario assetto paesaggistico del territorio (Sez. 3, n. 889 del 29/11/2011 – dep. 13/01/2012, Falconi e altri, Rv. 251641: in motivazione la Corte, in una fattispecie relativa all’abusiva realizzazione in zona vincolata di una veranda, di due locali seminterrati e delle scale necessarie per raggiungerli, ha precisato che la “sanatoria” paesaggistica va esclusa in tutti i casi in cui la creazione di superfici utili o di volumi, ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati, sia idonea a determinare una compromissione ambientale). In ogni caso, l’accertamento di compatibilità urbanistica, di cui all’art. 181, comma 1-ter, d.lgs. n. 42 del 2004, può avere ad oggetto le sole opere già in origine assentibili perché compatibili con il paesaggio, con la conseguenza che il relativo certificato rilasciato dalla Sovrintendenza a condizione della esecuzione di determinati interventi di demolizione su quanto realizzato, non determina l’estinzione del reato di cui all’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, atteso che la stessa autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico ha ritenuto che l’opera così com’è è concretamente idonea a compromettere i valori protetti (Sez. 3, n. 10110 del 21/01/2016 – dep. 11/03/2016, Navarra e altro, Rv. 266250).

5.2. A questi principi si è attenuta Corte territoriale, che ha correttamente negato il verificarsi di un effetto estintivo al certificato di collaudo finale, ovvero alla SCIA in sanatoria, emesso dal progettista delle opere, sul presupposto che le stesse fossero tutte soggette al regime autorizzatorio, risultando evidente, dal contenuto dell’atto, il riferimento alle opere successive alla demolizione, intervenuta dopo l’accertamento dell’abuso edilizio, in conformità alle indicazione della Sovrintendenza ai beni culturali e ambientali di Trapani. La Corte ha poi osservato che i lavori realizzati in assenza dell’autorizzazione paesaggistica hanno determinato la creazione di superfici utili e di volumi, incidenti negativamente sull’originario aspetto paesaggistico del territorio; di conseguenza, il certificato di compatibilità paesaggistica rilasciato all’imputata è stato correttamente ritenuto inidoneo a determinare l’effetto estintivo del reato di cui all’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, non sussistendo le condizioni previste dal comma 1 ter della medesima disposizione.

6. Il ricorso, pertanto, è infondato e deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 08/01/2019.

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