29/11/2016 – Il no della Consulta alla Riforma Madia non blocca il Testo unico sulle partecipate

Il no della Consulta alla Riforma Madia non blocca il Testo unico sulle partecipate

di Stefano Pozzoli

La sentenza n. 251/16 della Corte costituzionale sulla legge Madia ha – per il momento – effetti più politici che pratici. Una sentenza che aveva un esito non scontato, a dire la verità, come dimostra il fatto che solo la Regione Veneto aveva proceduto a fare ricorso alla Corte, a differenza di altri casi in cui Regioni di ogni orientamento politico si erano mosse a tutela delle proprie competenze. La Regione Veneto, comunque, ha ottenuto soddisfazione ed oggi il tema è di comprendere quali siano le conseguenze di questa decisione.

L’impatto della decisione 

L’effetto, in concreto, è stato quello di determinare il Governo a ritirare alcuni decreti legislativi appena approvati ma ancora non inviati alla firma del Presidente della Repubblica, quali il decreto sulla dirigenza pubblica (vero obiettivo del ricorso della Regione Veneto) e quello sui servizi pubblici locali. Nessuna conseguenza immediata, invece, ci sarà sui decreti già approvati, e in particolare sul Testo unico delle società partecipate (Dlgs 175/2016) perché, come precisa la sentenza, «Le pronunce di illegittimità costituzionale, contenute in questa decisione, sono circoscritte alle disposizioni di delegazione della legge n. 124 del 2015, oggetto del ricorso, e non si estendono alle relative disposizioni attuative. Nel caso di impugnazione di tali disposizioni, si dovrà accertare l’effettiva lesione delle competenze regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione». In sostanza la Corte costituzionale interverrà sul Testo solo se verrà impugnato e limitatamente ai punti in cui esso è lesivo delle competenze regionali. In linea di massima, ci pare che questo possa eventualmente riguardare solo le disposizioni relative ai piani di razionalizzazione straordinaria (articolo 24) e ordinaria (articolo 20) limitatamente all’obbligo di redigerlo da parte delle Regioni e il regime transitorio del personale (articolo 25), sia per quanto riguarda la Regione, che si troverebbe a gestire una fase del provvedimento, sia ovviamente per quanto riguarda le società regionali.

Scenari e soluzioni 

In sostanza le scadenze previste dal testo unico delle società partecipate continuano a essere tali: modifiche statutarie, esclusione dei dipendenti degli enti controllanti dai consigli di amministrazione, piano straordinario di razionalizzazione entro marzo, e così via, restano obblighi in vigore. E lo resteranno, a meno che il Legislatore non decidano di intervenire in sede di legge di stabilità o di milleproroghe su alcuni aspetti. In legge di stabilità, piuttosto, sarebbe quanto mai opportuno inserire l’articolo 16 del decreto servizi pubblici, ora ritirato, che prevedeva l’estensione delle competenze della «Autorità di regolazione per energia, reti ed ambiente» anche al ciclo dei rifiuti, visto che è un tema improcrastinabile. Per il resto si tratta di vedere cosa deciderà il Governo, ma ci pare sia da accogliere il suggerimento della Corte costituzionale di procedere alla approvazione di un decreto correttivo del testo unico delle società partecipate, che non è motivato solo dalla esigenza di realizzare una intesa con le Regioni quanto piuttosto per introdurre quelle modifiche al Dlgs 175/2016 che l’esperienza dei prossimi mesi paleserà come opportune. E per i servizi pubblici locali un suggerimento. Questa è l’ennesima volta che la «riforma dei servizi pubblici locali» non va in porto, per una ragione o per un’altra. Allora, inseriamo i servizi pubblici genericamente intesi nel testo unico partecipate, attraverso il decreto correttivo di cui si è detto; mentre per i servizi a rete procediamo a fare una seria manutenzione delle discipline di settore. È quella la strada maestra, non la pretesa di una “riformona” ambiziosa nei termini, ma sempre modesta nella sostanza, grazie all’inevitabile (e spesso motivato) gioco delle esclusioni.

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