29/09/2017 – Nessun demansionamento del dipendente trasferito ad altri compiti compatibili con il suo profilo professionale

Nessun demansionamento del dipendente trasferito ad altri compiti compatibili con il suo profilo professionale

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

 

Una dipendente appartenente alla categoria D del contratto degli enti locali, adiva il giudice del lavoro ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno subito per essere stata spostata ad altro incarico con destituzione di quello precedentemente svolto di Direttore Educativo. Il Tribunale di prime cure e, successivamente, la Corte di Appello hanno condannato l’ente municipale ad adibire la stessa dipendente alle mansioni precedentemente svolte ed al risarcimento del danno conseguente alla illegittima dequalificazione verificatasi nel periodo oggetto di causa, con quantificazione del risarcimento pari al 40% della retribuzione percepita, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per l’accertamento del danno biologico lamentato. La Corte di Appello, a seguito della consulenza tecnica d’ufficio, che aveva quantificato la lesione permanente dell’integrità psicofisica nella misura del 12%, ha condannato il Comune a corrispondere alla dipendente l’ulteriore somma di € 35.055,00.

Avverso tale sentenza ricorre il Comune, evidenziando gli errori in cui era incorsa la Corte di Appello in quanto: a) dopo avere affermato apoditticamente che la dipendente non aveva svolto le mansioni proprie del profilo di appartenenza, ha sostenuto che nessuno dei testi escussi era stato in grado di precisare quali fossero i compiti alla stessa assegnati; b) non ha in alcun modo considerato che ai sensi dell’art. 52D.Lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 3, comma 2, del C.C.N.L. 1998/2001, devono ritenersi equivalenti tutte le mansioni riconducibili alla categoria di appartenenza, nella specie la categoria D.

Le motivazioni della Suprema Corte

Secondo i giudici di Palazzo Cavour entrambi i motivi del ricorso meritano accoglimento, per le seguenti ragioni:

-Il giudice di legittimità, a partire dalla sentenza resa dalle S.U. n. 8740/2008, ha affermato la inapplicabilità al pubblico impiego contrattualizzato dell’art. 2103 c.c. ed ha posto in risalto che la disciplina di settore, dettata dalla norma speciale di cui all’art. 52D.Lgs. n. 165 del 2001, assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della Pubblica Amministrazione, solo al criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità acquisita e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione;

-Il giudice per accertare in concreto un eventuale demansionamento dove seguire il seguente percorso logico giuridico composto di tre fasi successive: a) accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte; b) individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria; c) raffronto tra il risultato della prima indagine e le previsioni della normativa contrattuale individuati nella seconda. L’accertamento, in concreto, delle mansioni svolte costituisce indagine di fatto riservata al giudice del merito mentre l’omessa individuazione delle qualifiche e degli elementi che caratterizzano la professionalità dalle stesse espresse, integra violazione di legge.

Sulla base dei sopra indicati presupposti, la sentenza ha totalmente omesso il cosiddetto procedimento trifasico perché non ha precisato quali fossero le mansioni svolte dalla dipendente nei diversi uffici ai quali la stessa è stata assegnata, né ha esaminato la declaratoria contrattuale al fine di individuare gli elementi caratterizzanti la professionalità del livello di inquadramento posseduto. In caso di danno da qualificazione non risulta, pertanto, sufficiente il semplice richiamo a categorie generali quali, la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la gravità del demansionamento, la sua durata e altre simili, dovendo al contrario il giudice accertare una precisa individuazione dei fatti che assume idonei e rilevanti ai fini della dimostrazione del fatto.

Conclusioni

In considerazione dell’omesso percorso logico giuridico effettuato dalla Corte territoriale, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla stessa Corte di Appello in diversa composizione.

Cass. Civ., Sez. Lavoro, Ord., 14 settembre 2017, n. 21329

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