29.06.2015 – Per Renzi il rischio di riforme incoerenti che restano sulla carta

Per Renzi il rischio di riforme incoerenti che restano sulla carta 

di Paolo Pombeni

Il Sole 24 OreDomenica, 28 Giugno 2015

Fatta la legge bisogna fare la riforma. Potrebbe sembrare una battuta, ma non lo è, basta avere presente il destino di molte leggi che hanno annunciato riforme presto abortite alla concreta prova della loro messa in opera. Vale anche per la riforma della scuola che Renzi ha caparbiamente voluto portare a conclusione senza arrendersi alla palude parlamentare. Le ragioni del presidente del Consiglio sono facilmente comprensibili. Nel momento in cui la sua “narrazione” si fonda sull’ immagine di quello che le riforme le porta a termine dopo anni di chiacchiere e progetti inconcludenti, non poteva farsi smentire. Bisognerebbe però ragionare su cosa possa significare portare a termine una riforma. Far passare alle Camere una legge che la contempla è solo un primo passo. La gente poi giudica su quel che vede trasformarsi in cambiamenti quantomeno in itinere.

È qui che le cose si complicano e non poco. Innanzitutto perché la maggior parte delle nostre leggi sono fatte male, con l’ occhio più all’ affermazione di principi più o meno astratti che si pensa possano trovare il consenso di questo o di quello che non alla loro coerenza interna e applicabilità pratica. Aggiungiamoci che nell’ inevitabile negoziato parlamentare per parare questa o quella obiezione o opposizione si infilano modifiche lessicali nonché aggiustamenti vari che in genere peggiorano il quadro. La messa in funzione della riforma diventa quindi un rebus, per di più tenendo conto che in genere è affidata a soggetti che come minimo non la amano quando non la boicottano apertamente. Va tenuto conto che l’ Italia è un paese con un’ etica pubblica bassa, per cui in genere ci si sente vincolati a rispettare solo le norme che ci trovano concordi, mentre le altre vengono giudicate illegittime e disattese (anche contando sul fatto che sopportare conseguenze per queste “disubbidienze” è abbastanza improbabile).

Questo sarà probabilmente l’ amaro destino anche della riforma della scuola, disegnata senza tenere conto che si interviene su un corpaccione sfibrato da anni di incuria e demagogia, per tacere che alla scuola come “motore sociale” credono in realtà in pochi, a cominciare dagli insegnanti, passando per gli studenti e finendo alle famiglie. Gli slogan in circolazione che dicono il contrario sono a metà fra la falsa coscienza e il rifugio nella banalità. Cosa succederà però se Renzi va alla già prospettata prova della primavera 2016 (elezioni in importanti città più forse un referendum sulla riforma costituzionale) con una scuola che è un tumulto di contestazioni e dove non si raggiungono risultati verificabili? Già averli in meno di un anno sarebbe comunque un miracolo, in questo contesto diventano un incubo. Imporre la tenuta della maggioranza al Senato è stato complicato, ma contava su un’ arma formidabile: la preoccupazione della stragrande maggioranza dei senatori di evitare lo scioglimento anticipato della legislatura, perché di questi tempi un numero limitato può avere qualche sicurezza di rimanere sulla poltrona. Quindi prevale negli oppositori la tendenza a mantenersi il palcoscenico per le loro proteste, che tutto sommato è un’ ottima sistemazione.

Riprendere il controllo della fiducia del paese è per il governo molto più complicato. A parte problemi enormi come quello dell’ immigrazione, dove però la dimensione stessa del problema può servire da spiegazione di risultati che non possono essere miracolosi (e si può sperare lo capiscano in molti), nelle elezioni amministrative Renzi dovrà poi misurarsi con una molteplicità di situazioni locali piuttosto complesse e con un partito che non è esattamente in situazione di alta credibilità presso la pubblica opinione. Conta evidentemente di superare questo handicap con una richiesta di fiducia personale nelle sue capacità di riformatore. Ma cosa succederà se le riforme non faranno toccare con mano alla gente il famoso “cambio di verso”, ma magari accentueranno la situazione paludosa in cui si sono sinora arenati i tentativi di modernizzazione del paese? Il posto in questo contesto di quella della scuola è centrale, perché tocca una platea assai vasta. A paragone c’ è solo l’ esito che sarà riscontrabile della riforma del lavoro.

C’ è dunque da chiedersi come sarà gestito quanto previsto dalla legge che si appresta ad esser approvata in via definitiva. Lasciare tutto in mano al sistema scolastico così com’ è appare quantomeno rischioso per non dire di peggio: insegnanti per lo più demotivati, quando non trasformati in portatori di astratto ribellismo, presidi selezionati con modalità che in moltissimi casi non corrispondono affatto a quella immagine “manageriale” che si vorrebbe introdurre, ragazzi che si aspettano più la continuazione di un tran tran troppo spesso sospeso fra lassismo e anarchia, possono essere i “motori” di una riforma che suppone un orizzonte totalmente mutato? E soprattutto si può pensare che la riforma sia applicabile nella sua versione piuttosto contorta, ricca di contraddizioni interne che danno moltissime opportunità di boicottaggio? Se era vero che Renzi non poteva rischiare la sconfitta in Senato e dunque il ricorso all’ arma finale della fiducia era scontato, non è meno vero che non può arrivare alla prova elettorale del 2016 con riforme che rimarranno in parte sulla carta e in parte creeranno caos e ingestibilità. In quel caso ciò che ha evitato, senza neppure troppa fatica, l’ altro ieri, diventerà difficilmente evitabile la prossima primavera.

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