27/10/2018 – Ordinamento degli enti locali da rivedere: un’epifania tardiva

Ordinamento degli enti locali da rivedere: un’epifania tardiva

All’assemblea dell’Anci (Associazione nazionale dei comuni) il presidente del Consiglio ha annunciato l’intenzione di rivedere l’ordinamento degli enti locali.

L’obiettivo è la semplificazione, contabile e ordinamentale.

Sembra che vi sia l’intenzione di rivedere drasticamente le previsioni del d.lgs 118/2011, e le sue molteplici modifiche ed integrazioni, che hanno reso la contabilità degli enti locali semplicemente irrazionale, assurda, impossibile ed inefficiente. Ma anche costituzionalmente illegittima (sentenze della Consulta 247/2017 e 101/2018), visto che le varie norme hanno letteralmente espropriato gli enti della possibilità di considerare gli avanzi di amministrazione tra le entrate finali, come qualsiasi normale regola contabile dovrebbe ammettere.

Prima della sciagurata riforma contabile, tutta improntata su una visione panragioneristica poi accentuata dall’imposizione di regole di fiscal compact che lo Stato rifiuta per se stesso, ma impone alle amministrazioni locali, la contabilità non era certo semplice, ma era comunque razionale.

Le varie regole affastellatesi in modo confusionario specie da 4 anni a questa parte hanno creato un mostro: oltre alle disposizioni normative, il sistema si è ingigantito con paginate di principi contabili astrusi e controversi, oltre che di interpretazioni a loro volta contorte della commissione Arconet, il tutto aggravato dalle immancabili contraddizioni delle letture della Corte dei conti.

Non si parli, poi, dei documenti di programmazione. Si è esteso ai comuni un modo di procedere eccessivo, esemplificato dal Dup (documento unico di programmazione), del quale non è nemmeno chiaro quale siano le scadenze da rispettare e perfino l’organo competente, tale è la confusione normativa. E non è nemmeno chiaro quale ne sia il contenuto, anche se tutte le programmazioni dovrebbero confluire. Si programma tutto: le opere pubbliche, le forniture, le assunzioni, le dismissioni degli immobili, gli acquisti, le pari opportunità, la transizione digitale, la privacy, l’anticorruzione. Centinaia, ormai, di documenti ridotti a meri adempimenti formali, visto che la quantità di dati da inserire, caricare, monitorare si è trasformata nel risultato, mentre il beneficio per la popolazione, nella visione panragioneristica, sembra essere un fattore secondario.

E’ stata anche annunciata la «riabilitazione delle province», la cui trasformazione in enti di secondo livello «è stata un errore», secondo il premier.

In effetti, la riforma Delrio è uno dei maggiori disastri giuridici ed organizzativi mai visti in Italia, anche se non troppo evidenziato da una stampa che aveva sposato di buon grado lo slogan delle province “inutili” e “costose” e quindi il mantra populista della loro abolizione.

Che si annunci una revisione di due maggiori e più gravi errori degli ultimi anni (i quali hanno conribuito non poco anche alla riduzione drastica della spesa di investimento) è cosa buona.

Non si può certo dimenticare, però, che M5S è stato il partito che ha portato alto il vessillo dell’abolizione delle province. Il ripensamento è segno di una consapevole capacità di rivedere anche posizioni ideologiche. Che, però, hanno fatto molto male al Paese.

Il Governo e la maggioranza stanno indubbiamente commettendo moltissimi errori, in particolare nell’impostazione della manovra economica. E anche la riforma della PA immaginata nel decreto “concretezza” è povera di risorse e di contenuti, imbrigliata ancora nella ricerca del sistema per far timbrare (certo, cosa giusta), ma incapace di fornire indicazioni su quanto avviene tra una timbratura e l’altra.

Nella nebbia di questi mesi, l’aver centrato almeno due dei gravi problemi che attanagliano gli enti locali a causa di una legislazione recente drammaticamente sbagliata, è una piccola prima fioca luce, insufficiente a diradare le insidie che i mercati hanno già creato, ma che deve far sperare quanto meno nella capacità di rivedere in senso critico scelte deleterie.

Il rammarico consiste nella circostanza che riforme come quella delle province o della contabilità (ma anche del codice dei contratti) erano apparse, a chi non giocasse il ruolo di tifoso, in tutta la loro disastrosa inefficacia, immediatamente dannose e che ci sono voluti anni perchè qualcuno iniziasse a capire gli errori commessi.

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