26/11/2018 – La commissione di concorso deve operare nel suo plenum esclusivamente in presenza di una attività valutativa discrezionale

La commissione di concorso deve operare nel suo plenum esclusivamente in presenza di una attività valutativa discrezionale

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

Oggetto del contenzioso avanzato da alcuni concorrenti al concorso riguarda l’invalidità della commissione di concorso che in alcune occasioni, come rilevato dai verbali, avrebbe operato in assenza del suo plenum con richiesta di annullamento delle operazioni dalla stessa compiute. I giudici amministrativi di primo grado tracciano le linee essenziali della validità dell’operato delle commissioni di concorso secondo la giurisprudenza amministrativa, per poi entrare nel merito della legittimità degli atti compiuti dalla commissione.

La necessità del Collegio perfetto

Secondo l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, le commissioni di concorso devono operare nella totalità dei propri componenti allorché compiano attività valutativa discrezionale che può dispiegarsi nelle seguenti direzioni: a) fissazione dei criteri di massima di valutazione delle prove concorsuali; b) selezione degli argomenti e redazione delle tracce delle prove scritte; c) determinazione dei requisiti da sottoporre ai candidati nelle prove orali; d) correzione degli elaborati e svolgimento delle prove orali; e) ovvero in ogni altro caso in cui ciò sia espressamente previsto dalla regolamentazione del concorso (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 11 ottobre 2017, n. 10185). Sulla stessa direzione anche i giudici amministrativi di appello che hanno avuto modo di precisare come, in sede di operazioni concorsuali, non si richiede la presenza della commissione giudicatrice al suo completo in tutte le fasi del procedimento, la regola del collegio perfetto dovendo, invero, trovare osservanza in tutti i momenti in cui vengono adottate determinazioni rilevanti ai fini della valutazione dei candidati ossia: a) fissazione dei criteri di massima di valutazione delle prove concorsuali; b) selezione degli argomenti e redazione delle tracce delle prove scritte; c) determinazione dei quesiti da sottoporre ai candidati nelle prove orali; d) correzione degli elaborati e svolgimento delle prove orali; e) in ogni altro caso in cui ciò sia espressamente previsto dalla regolamentazione del concorso. Sempre i giudici di appello, anche se in materia di gare d’appalto, ma all’evidenza il principio è trasponibile nei pubblici concorsi, hanno precisato che occorre distinguere, nell’ambito dell’operato della Commissione di gara, tra attività di valutazione dell’offerta ed attività meramente preparatoria e istruttoria. Mentre nel primo caso essa è chiamata a fare scelte discrezionali, in ordine alle quali v’è l’esigenza che tutti i suoi componenti offrano il loro contributo ai fini di una corretta formazione della volontà dell’organo collegiale espressa da tutti i suoi componenti, così necessariamente non avviene per le attività preparatorie, istruttorie e vincolate, rispetto alle quali il principio di collegialità può essere derogato, trattandosi di operazioni prive di ogni connotato valutativo (cfr., tra le altre, Cons. di Stato, Sez. IV, n. 4196 del 2005Cons. di Stato, Sez. III, 17 luglio 2018, n. 4331).

La vicenda

Dopo avere, il Collegio amministrativo, tracciato le linee essenziali delle operazioni della Commissione di concorso, nel merito del caso posto alla sua attenzione, le domande di impugnazione riguardano due questioni. La prima concerne la mancata presenza dei componenti in occasione delle valutazione da parte della commissione sulle segnalazioni di alcuni candidati in ordine alla bontà e correttezza dei quesiti somministrati, con la conferma da un lato che i quesiti che hanno formato oggetto della prova d’esame risultano conformi ai requisiti prescritti dal bando di concorso e, dall’altro alto, sulla scia di tale indicazione ha sterilizzato il quesito non attinente mediante attribuzione a tutti i candidati del punteggio pari a 1, equivalente alla riposta corretta. La seconda questione riguarda la verifica del punteggio attribuito da ciascun candidato ai titoli dichiarati.

Nel primo caso, precisa il Collegio amministrativo i giudizi espressi dalla Commissione involgono solo in apparenza profili di merito valutativo e discrezionale che non possono essere confinate all’alveo delle mere attività preparatorie o istruttorie, richiedendo che il collegio d’esame operasse nel plenum. D’altra parte, osserva il Collegio amministrativo, la circostanza che non siano previsti dei membri supplenti costituisce la riprova in senso logico – formale della bontà della opzione ermeneutica che vede nella compresenza di tutti i componenti un indefettibile requisito di legittimità delle operazioni di valutazione, laddove esse si connotino per un delta di discrezionalità valutativa che, invece, per quanto si chiarirà, non è dato cogliere in termini di lesività nella determinazione impugnata. In altri termini, se non sono previsti membri supplenti, che prendano il posto dei commissari assenti per giustificato motivo, ciò sta a significare che il normatore ha previsto e concepito come essenziale l’apporto tecnico di ogni componente della commissione, implicitamente ritenendone l’infungibilità della relativa prestazione d’opera intellettuale. Se ciò è vero da un punto di vista giuridico, altra cosa è verificare se le attività compiute dalla Commissione abbiano o meno leso i ricorrenti. Secondo i giudici amministrativi di primo grado, l’aver attribuito a tutti i partecipanti il punteggio esatto nella domanda contestata, non ha avuto nessuna conseguenza negativa per i ricorrenti che non hanno mostrato minimamente quale lesione gli stessi avessero subito nel caso di risposta positiva rispetto agli altri candidati che tale risposta non avevano fornito in senso positivo. D’altra parte, non possono essere considerati favorevolmente gli argomenti diretti ad una valutazione “virtuale” dei quesiti sterilizzati, basata sul fatto che alcuni avrebbero comunque fornito la risposta esatta a tali quesiti, posto che le risposte a tali quesiti semplicemente non potevano essere più considerate (Cons. di Stato, Sez. VI, 18 settembre 2017, n. 4358). Pertanto, la contestata neutralizzazione del quesito mediante l’assegnazione del punto 1 alla relativa risposta a beneficio di tutti i concorrenti, è operazione neutra sotto il profilo del risultato finale e dell’assetto terminale della graduatoria. In questo caso anche in presenza di un Collegio imperfetto la censura non appare idonea a determinare una lesione concreta ed attuale in capo ai ricorrenti, per tale profilo prospettandosi dunque la relativa censura inammissibile per difetto di interesse.

Nel secondo caso di verifica dell’esattezza del punteggio auto attribuitosi dai concorrenti con riguardo ai titoli dichiarati, si verte in una mera attività istruttoria operata dalla Commissione limitata al controllo del punteggio, correggendo gli errori commessi dai candidati e raffrontando i punteggi dichiarati con le certificazioni acquisite. Pertanto, tale attività non riguarda profili di merito valutativo e discrezionale, iscrivendosi al contrario nell’alveo di un’attività di mera verifica e istruttoria che non richiedeva per la sua legittima esplicazione che venisse osservato il principio del collegio perfetto e del plenum dei componenti la commissione.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e, le graduatorie pubblicate sono da considerarsi legittime.

T.A.R. Lazio, Sez. III-bis, l 14 novembre 2018, n. 10964

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