23/12/2016 – Riforma Madia: la sorte dei decreti delegati dopo la sentenza costituzionale

Riforma Madia: la sorte dei decreti delegati dopo la sentenza costituzionale

G. Crepaldi 22/12/2016

La Corte costituzionale, accogliendo parzialmente un ricorso in via principale sollevato dalla Regione Veneto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge n. 124 del 7 agosto 2015 con sentenza del 25 novembre 2016 n. 251 (v. G. Crepaldi, La Corte Costituzionale si pronuncia sulla Legge Madia: vince il principio della leale collaborazione, in questa Rivista). In ogni caso, non si tratta di un problema legato al merito delle scelte o al contenuto, quanto alla procedura per non aver previsto nella delega che l’adozione dei decreti delegati dovesse essere preceduta da una intesa, che richiede l’unanimità, e non semplicemente previo parere, che invece richiede la maggioranza, della Conferenza Stato-Regioni o Stato-Regioni Autonomie locali a seconda dei casi. Si tenga da subito in conto che ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. 28 agosto 1997 n. 281, l’intesa consiste nella determinazione concordata, all’unanimità, da parte del Governo e di tutti i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome dei contenuti dei provvedimenti medesimi. Nell’ipotesi in cui non si raggiunga l’intesa entro trenta giorni dalla prima seduta in cui l’oggetto è posto all’ordine del giorno, il Consiglio dei Ministri provvede in sostituzione motivando. La situazione si presenta allora in termini abbastanza complessi. Innanzitutto, al fine di “riparare” al vizio di legittimità costituzionale rilevato dalla Corte non si richiedono interventi sulla legge. Infatti, si può ritenere che la Legge Madia non debba essere modificata, posto che l’intervento sostitutivo della Corte costituzionale opera sul testo delle disposizioni legislative senza necessità di un espresso recepimento del legislatore. In merito ai decreti attuativi occorre distinguere. Per i decreti ancora da adottare, a prescindere dallo stato di elaborazione della relativa disciplina di competenza, occorrerà acquisire l’intesa in sede Conferenza Stato Regioni. Ciò vale anche per i due decreti che erano in dirittura di arrivo proprio negli stessi giorni del deposito della sentenza: il 24 novembre erano stati approvati dal Governo quello sulla dirigenza e quello sui servizi pubblici locali; essi sono stati opportunamente ritirati dal Governo prima della firma del Capo dello Stato. L’unico decreto ancora effettivamente in preparazione è quello contenente il Testo unico del lavoro pubblico, per il quale in base alle previsioni della legge delega, il Governo ha tempo sino a febbraio. Anche per questo occorrerà acquisire l’intesa e, prospettandosi arduo trovare un accordo, vi è da immaginare che la soluzione si troverà in via sostitutiva, rimettendo la decisione al Consiglio dei Ministri, se ce ne sarà la capacità politica. Il problema si pone per i decreti legislativi già entrati in vigore, ossia quello sui licenziamenti disciplinari (d.lgs. 16 giugno 2016 n. 116), quello sulla nomina dei direttori apicali delle aziende sanitarie ed ospedaliere (d.lgs. 4 agosto 2016 n. 171) e quello sulle società partecipate (d.lgs. 19 agosto 2016 n. 175). Si deve rilevare che essi rimangono produttivi di effetti per espressa statuizione della Corte: al punto n. 9 del Considerato in diritto, infatti, si ha cura di specificare che “Le pronunce di illegittimità costituzionale, contenute in questa decisione, sono circoscritte alle disposizioni di delegazione della legge n. 124 del 2015, oggetto del ricorso, e non si estendono alle relative disposizioni attuative. Nel caso di impugnazione di tali disposizioni, si dovrà accertare l’effettiva lesione delle competenze regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione”. Con ciò non si è determinato, almeno formalmente, un vuoto normativo perché i decreti non sono stati travolti dalla sentenza di incostituzionalità della legge delega e rimangono perciò in vigore. Contro di essi un giudizio di costituzionalità in via principale, come quello che ha avviato il giudizio di legittimità sfociato con la sentenza n. 251/2016, non è più possibile, in quanto esercitabile entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge (art. 120, II comma, Cost.). E’ invece possibile ed altamente probabile che i decreti vengano ad essere impugnati in via incidentale: in questa sede, davanti al giudice a quo, occorrerà provare che il decreto figlio della legge Madia lede le competenze regionali. Il punto merita di essere specificato. In base a quanto afferma la Corte costituzionale nel passaggio che si è riportato, non potrà semplicemente lamentarsi l’incostituzionalità derivata per l’essere il decreto basato su una legge dichiarata illegittima, ossia per l’essere stato adottato senza la previa intesa. Occorrerà invece indicare quale specifica competenza legislativa regionale di cui all’art. 117 Cost. si assume violata. In una simile situazione può essere ragionevole adottare dei decreti correttivi per intervenire su quelle parti dei decreti che si possono ritenere invasive delle competenze regionali. Si tenga anche conto che nella sentenza della Corte costituzionale, in vari passaggi, si legittimano le norme della legge Madia in quanto riconducibili a competenze esclusive dello Stato: così, nella materia dell’ordinamento civile, si fonda la competenza dello Sato a regolare, come ha fatto con il decreto n. 116/2016, la responsabilità dei pubblici dipendenti. Tali disposizioni possono trovare piena applicazione.

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