23/12/2016 – La Consulta ridimensiona lo spoil system

La Consulta ridimensiona lo spoil system
di Daniela Bauduin – Avvocato e giornalista pubblicista. Con la collaborazione della dr.ssa Maria Longobardi

 

In Italia, la separazione tra politica e amministrazione fu introdotta con la L. n. 421 del 1992, la c.d. “delega Amato”, e con il D.Lgs. n. 29 del 1993, ma incontrò da subito numerose difficoltà in sede applicativa: si pensi, per esempio, ai meccanismi di “spoils system” che hanno rafforzato la dipendenza del vertice amministrativo dalla dirigenza politica. Questo istituto può essere definito come la cessazione automatica degli incarichi dirigenziali non ancora scaduti a seguito del cambiamento degli organi di governo, la cui ratio si rinviene nella necessaria fiducia tra amministrazione ed organi politici (si veda: la L. n. 145 del 2002, successivamente modificata dalla L. n. 286 del 2006, nonché dal D.Lgs. “Brunetta” n. 150 del 2009).

La disposizione censurata in punto di legittimità costituzionale prevede che i titolari delle nomine degli organi di vertice e dei componenti o dei rappresentanti della Regione nei consigli di amministrazione o negli organi equiparati di una serie di enti controllati o partecipati dalla Regione, conferite o rese operative dagli organi di indirizzo politico regionale, decadono ed i relativi rapporti di natura patrimoniale sono risolti di diritto, se tali nomine sono effettuate nei nove mesi antecedenti la data delle elezioni per il rinnovo degli organi politici (art. 1, comma 1L.R. Calabria n. 12 del 2005). La giurisprudenza costituzionale in materia di spoil system, richiamata dal giudice rimettente, ha in più occasioni osservato come un tale sistema risulti compatibile con i principi costituzionali solo se applicato a dirigenti caratterizzati dai requisiti della “apicalità” dell’incarico e della “fiduciarietà” della scelta del soggetto da nominare (Sent. n. 34 del 2010). In assenza di tali requisiti – si legge – il meccanismo si porrebbe in contrasto con l’art. 97 Cost.: “Sarebbero infatti pregiudicate la continuità, l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa, oltre ad essere sottratte al titolare dell’incarico, dichiarato decaduto, le garanzie del giusto procedimento (in particolare la possibilità di conoscere la motivazione del provvedimento di decadenza), poiché la rimozione del dirigente risulterebbe svincolata dall’accertamento oggettivo dei risultati conseguiti.“. Nello stesso solco si colloca la sentenza in disamina, in cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma di legge della Regione Calabria in materia di nomine e personale, nella parte in cui applica la decadenza automatica del presidente del c.d.a. di una società in house, titolare di funzioni gestionali, a seguito dell’avvicendarsi degli organi di indirizzo politico, per violazione dei principi di cui all’art. 97 Cost. (Sent. n. 269 del 2016). La previsione della cessazione automatica ed anticipata, senza accertamento di una responsabilità, impedisce che l’attività del dirigente possa esercitarsi in conformità ai canoni dell’efficacia e dell’efficienza, espressione del buon andamento della pubblica amministrazione. La revoca dell’incarico, prima della scadenza prevista, è dunque legittima solo nei casi di mancato raggiungimento degli obiettivi stabiliti o in presenza di altri elementi che possano giustificare la risoluzione del rapporto per inadempimento. A tale riguardo, il c.d. Testo unico del pubblico impiego (artt. 6 e 19, D.Lgs. n. 165 del 2001, in seguito modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2009) prevede tre tipologie di incarichi dirigenziali, distinte in base al rapporto con l’organo politico: gli incarichi apicali, gli incarichi di direzione degli uffici dirigenziali generali, gli incarichi di direzione degli uffici dirigenziali non generali. La Consulta ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale di diverse disposizioni regionali sulla decadenza automatica dei soggetti titolari di incarichi dirigenziali sul “presupposto che essi costituiscono figure tecnico-professionali incaricate non di collaborare al processo di formazione dell’indirizzo politico ma di perseguire gli obiettivi definiti dagli organi di governo della regione“(sentenze n. 20 del 2016n. 27 del 2014 e n. 34 del 2010).

Alla verifica dello stato di attuazione del principio di separazione tra politica e amministrazione in Italia a vent’anni dalla sua introduzione è stata dedicata una interessante ricerca (Scuola Nazionale dell’Amministrazione, Venti anni di “Politica e Amministrazione” in Italia, IRPA Working Paper – Policy Papers Series No. 1/2014, 2014, Istituto di Ricerche sulla Pubblica Amministrazione, consultabile nel sito web istituzionale della SNA al seguente link:

http://sna.gov.it/fileadmin/files/ricerca_progetti/Ricerca_SNA_IRPA/SNA_IRPA_policy1.pdf). Nel testo suddetto – alla cui lettura si rinvia – è messo in luce che le misure legislative non hanno contribuito ad una attuazione “virtuosa” della separazione tra politica e amministrazione. Nel contempo, la ricerca richiama l’assoluta necessità di una riforma puntuale che cambi il modo di governare, ricorrendo ad un numero inferiore di leggi e interessandosi maggiormente della realizzazione degli obiettivi (op. cit., pag. 23, con nota a: S. Cassese, Meno Stato e più Stato. Qualche idea per la modernizzazione amministrativa, in Giorn. dir. amm., 2013, n. 7).

Corte Cost., 15 dicembre 2016, n. 269

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto