23/10/2023 – A che serve la norma sui concorsi con riserva di posti per dirigenti locali a tempo determinato?

A che serve la norma sui concorsi con riserva di posti per dirigenti locali a tempo determinato?

 

A cosa serve la previsione dei concorsi con riserva non superiore al 50% per dirigenti a tempo determinato con incarichi di almeno 36 mesi e per funzionari a tempo indeterminato, sempre con un’anzianità di servizio di almeno 36 mesi?

Come è noto, tale possibilità è stata introdotta dall’articolo 28, comma 1-bis, del d.l. 75/2023, inizialmente limitata ai soli comuni, ma poi estesa a tutti gli enti locali per effetto della legge di conversione 112/2023.

Ecco il testo consolidato della norma: “Gli enti locali possono prevedere, nel limite dei posti disponibili della vigente dotazione organica e in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei concorsi pubblici per il reclutamento di personale dirigenziale, una riserva di posti non superiore al 50 per cento da destinare al personale, dirigenziale e non dirigenziale, che abbia maturato con pieno merito almeno trentasei mesi di servizio, anche non continuativi, negli ultimi cinque anni e che sia stato assunto a tempo determinato previo esperimento di procedure selettive e comparative a evidenza pubblica, o al personale non dirigenziale che sia in servizio a tempo indeterminato per lo stesso periodo di tempo. Le assunzioni di personale di cui al presente comma sono effettuate a valere sulle facoltà assunzionali di ciascuna amministrazione disponibili a legislazione vigente”.

Detto che:

  1. la norma non va considerata come una stabilizzazione;
  2. indubbiamente, contrariamente a quanto afferma parte della dottrina, non consente di riservare legittimamente i concorsi per dirigenti ai dirigenti a contratto ai sensi dell’articolo 110, comma 1, del Tuel, in quanto fattualmente mai sono assunti mediante procedure “selettive e comparative”, bensì con le furbette procedure “idoneative” (ma, tanto nessuno controllerà mai).

Andiamo al punto, cioè alla domanda posta: a che serve tale norma? Partiamo dal dato rilevato di recente dall’Ifel nel rsapporto “Personale comunale e formazione: competenze e scenari”: su 3.445 dirigenti in servizio al 2021, sono 1110 dirigenti a contratto complessivamente, dei quali 762 rientranti tra i dirigenti “in dotazione”, assunti ai sensi del comma 1 dell’articolo 110 del Tuel, a fronte di 348 dirigenti “extra dotazione” ai sensi del comma 2 dell’articolo 110.

Insomma, circa un terzo della dirigenza locale è diretto frutto dello spoil system, di carattere “fiduciario”, per sua stessa natura, quindi, priva di elementi di specifica autonomia e terzietà rispetto all’amministrazione ed ai cittadini, considerata la necessaria “personale adesione” all’indirizzo politico di chi li incarica proprio in relazione al rapporto fiduciario ed a valle di procedure di reclutamento lontanissime dalla competizione selettiva, ma caratterizzate dall’elaborazione di short list di candidati tutti qualificati come idonei, tra i quali i sindaci poi scelgono in base, appunto, all’imponderabile elemento della fiducia.

Non si tratta di certo di un buon viatico per garantire quell’autonomia tecnica che dovrebbe costituire la garanzia per ogni cittadino dell’imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa. La legge, tuttavia, in maniera certo eccessiva, consente tale modalità di reclutamento.

In ogni caso, il principio commendevole delle regole sul reclutamento di dirigenti a contratto è quello della permeabilità delle funzioni dirigenziali pubbliche ad esperienze concreti provenienti sia da altri comparti pubblici, sia anche dal privato, allo scopo di arricchire ed estendere il plafond di dette competenze, in un confronto fruttuoso e finalizzato alla crescita professionale.

Il fatto è che questo interessantissimo e condivisibile principio è da un lato fissato in maniera chiara dalle norme, ma dall’altro regolarmente smentito dai fatti.

L’articolo 110, comma 1, si attua applicando direttamente quanto prevede l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001. Infatti, il comma 6-ter della medesima norma stabilisce: “Il comma 6 ed il comma 6-bis si applicano alle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2”: tra dette amministrazioni rientrano gli enti locali.

Allora, ai sensi del citato comma 6 dell’articolo 19:

  1. a che fine è possibile reclutare dirigenti a contratto? Per reperire una professionalità “non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione”;
  2. a quali soggetti è da riservare il reclutamento per incarichi dirigenziali a contratto?
    1. a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale
      1. che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali,
      1. o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza,
      1. o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.

Quindi, si ammette la possibilità di non assumere dirigenti di ruolo mediante concorso pubblico, qualora l’ente scelga, motivatamente, di attivare incarichi a contratto rivolti a persone dotate di particolari, cioè non ordinarie, e spiccate, cioè non normali, competenze e professionalità, per altro comprovate da esperienze lavorative concrete e dal possesso di titoli chiaramente ulteriori ed eccedenti quelli necessari per accedere ai concorsi. In termini riassuntivi, gli incarichi a contratto andrebbero riservati a docenti universitari, ricercatori universitari, dirigenti pubblici o privati, magistrati, avvocati dello stato, o comunque dipendenti pubblici privi di qualifica dirigenziale ma con titoli accademici superiori e pubblicazioni o dipendenti privati con comprovate funzioni ed esperienze lavorative con contratto da dirigente.

Tra i 1110 dirigenti a contratto degli enti locali censiti dall’Ifel quanti saranno le persone che dispongano effettivamente delle particolari, comprovate e spiccate competenze richieste dalla norma?

E’ un dato non censito, quindi è impossibile rispondere con precisione. Tuttavia, esponendosi ovviamente a possibili errori quantitativi, è piuttosto facile evidenziare che la larghissima parte dei dirigenti a contratto degli enti locali non dispone affatto di nessuno di questi requisiti soggetti, pur così chiaramente pretesi dalla norma.

Nella stragrande maggioranza dei casi, l’unico requisito è l’aver prestato servizio come funzionario, per lo più all’interno della medesima amministrazione conferente l’incarico: non si richiedono mai titoli accademici, pubblicazioni o precedenti esperienze private (difficile che un dipendente locale possa essere al contempo docente universitario, magistrato o avvocato dello Stato).

La realtà fattuale è che, quindi, moltissimi tra i dirigenti a contratto sono selezionati in via fiduciaria ma non tra le persone dotate di particolari competenze, presupposto che legittima la scelta fiduciaria, bensì esclusivamente, nella sostanza, proprio per il rapporto di fiducia, non essendo esistente nessuno dei requisiti soggettivi imposti dalla norma.

C’è un interesse pubblico generalizzato all’assunzione di dirigenti a contratto privi dei requisiti previsti dalla legge? Ovviamente no. L’applicazione distorta delle norme viste sopra, favorita dall’assoluta assenza di controlli (che ha portato anche a casi paradossali e celebri di incarichi dirigenziali conferiti persino a soggetti nemmeno laureati) rende possibile la creazione di una “dirigenza parallela”, reclutata non rispondendo alle previsioni dell’articolo 98 della Costituzione.

E’ comparsa in questi giorni sulla stampa nazionale la notizia di una forte conflittualità tra un sindaco ed un segretario comunale di un grande comune, dovuta alle presunte pressioni attribuite al primo cittadino, rivolte al segretario, presidente della commissione di esami per un concorso volto all’assunzione a tempo indeterminato di un dirigente, finalizzate a rivedere l’esito della graduatoria: infatti vincitore era un candidato non rispondente ai presunti desiderata dell’amministrazione, che puntava all’assunzione del candidato risultato secondo.

Chi era tale candidato? Un dirigente incaricato a contratto, ai sensi dell’articolo 110 del d.lgs 267/2000, reclutato tra i funzionari a suo tempo di categoria D del medesimo comune, del tutto privo, leggendo il curriculum, di uno qualsiasi dei requisiti di particolare e speciale professionalità e competenza, richiesti dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001.

Come finirà la diatriba in quell’ente, che stando alle notizie di stampa pare approdata davanti al giudice penale, non si è in grado di prevederlo e nemmeno è rilevante ai fini della risposta alla domanda posta all’inizio.

Il fatto accaduto in quel comune, comunque, pare l’archetipo del vero problema di fatto cui vuole apprestare soluzione l’articolo 28, comma 1-bis, del .l. 75/2023: se il comune avesse potuto organizzare un concorso con riserva di posti, il funzionario incaricato come 110 avrebbe avuto il viatico definitivo all’inserimento in organico e nessun contrasto sarebbe sorto.

Una norma, quindi, previdente e ben pensata, che può chiudere sul nascere problemi legati all’aspirazione degli incaricati 110, e contemporaneamente della parte politica che li incarica, ad entrare stabilmente nella dotazione organica.

Bene. Ma, a questo punto, l’altra domanda che si pone è: perché creare questo viatico accelerato per chi abbia beneficiato di incarichi a contratto, per altro giustificati dalla “fiduciarietà”? Qual è l’interesse pubblico a rendere stabile un’esperienza lavorativa la cui genesi è dettata dal legame politico al mandato elettorale di un sindaco? Perché questo legame deve travalicare il mandato? Per evitare conflittualità come quella raccontata dalla stampa? Ma, forse, l’interesse pubblico non è volto alla formazione di una dirigenza pubblica autonoma ed imparziale, oltre che competente e capace?

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