19/12/2023 – Direttiva valutazione: per una volta fate essere davvero la PA “come un’azienda”?

Direttiva valutazione: per una volta fate essere davvero la PA “come un’azienda”?

Pur non brillando per particolare originalità, la direttiva del Ministro della Funzione pubblica relativa alla valutazione è oggetto di comprensibili approfondimenti dottrinali ed operativi (compreso questo, ovviamente).

Si tratta dell’ennesimo tentativo di provare a far capire alle amministrazioni come svolgere un’attività che le amministrazioni stesse hanno dimostrato da sempre di aver molta difficoltà a svolgere: valutare i propri dipendenti.

Un tentativo che appare oggettivamente privo in partenza di efficacia. Non tanto per gli strumenti ed i metodi proposti, quanto per l’assenza di qualsiasi riferimento ai presupposti.

L’attenzione è da sempre eccessivamente spostata sul come si valuta e cosa si valuta. Fioccano, dunque, sistemi e direttive relative alla valutazione, incentrate su modalità mediante le quali valutare, le quali sempre più, per altro, si incentrano su potenzialità e comportamenti.

La direttiva non è estranea a questi difetti. Infatti, si diffonde su metodi, modalità ed oggetti della valutazione. Suggerisce gli strumenti della valutazione partecipata, svolta anche dal basso, concertata ed armonizzata tra dirigenti, che punti alla valorizzazione non solo economica (newsletter annuncianti, ad esempio, “l’impiegato del mese”), la differenziazione, il comportamento. A tale ultimo elemento lungo spazio è dedicato in termini di valutazione della leadership.

Proprio l’attenzione estrema ai comportamenti è rivelatrice dell’incapacità concreta della PA di valutare. Ne è prova l’assenza di una qualsiasi possibilità di definire in cosa consista la leadership (come qualsiasi altro comportamento), tanto che la si cerca in una serie di indicatori, tutti, però, oggettivamente privi di un misuratore che non sia lasciato al puro arbitrio del valutatore, senza nessun aggancio a unità di misura vere e proprie:

  • capacità di superare gli schemi consolidati (flessibilità e innovazione, pensiero laterale);
  • conseguire i risultati e “far accadere le cose” (iniziativa, concentrazione e orientamento al risultato, tenacia/determinazione);
  • agire velocemente, con decisione e tempestività (autonomia e decisionalità, senso d’urgenza, iniziativa e assunzione del rischio);
  • riconoscere la capacità di agire delle persone (sviluppo collaboratori, capacità di ascolto);
  • assumersi le proprie responsabilità, promuovendo il valore della responsabilità (autonomia e decisionalità, iniziativa e assunzione del rischio);
  • costruire team ad alte performance, sapendo individuare i talenti (spirito di squadra e collaborazione, orientamento allo sviluppo delle risorse);
  • essere un modello di integrità ed etica professionale per i propri pari e collaboratori.

Come si nota, il tutto è lasciato a meri giudizi di valore: chi decide quale sia il contenuto di un “modello di integrità ed etica”? Cosa significa “superare gli schemi consolidati” e che valore effettivo può avere tale capacità in un sistema ordinamentale nel quale le attività sono rigidamente proceduralizzate? E si potrebbe continuare.

Qual è, allora, la lacuna vera dell’intero apparato normativo volto alla valutazione? L’assenza del suo oggetto.

Norme, circolari, sistemi di valutazione e direttive si sperticano sul chi e come valutare, ma trascurano quasi del tutto il cosa, tranne quando non l’incentrano, appunto, in giudizi di valore – un po’ orwelliani, un po’ didascalici – connessi a “comportamenti”.

Perchè manca il “cosa”? Per una ragione semplicissima, emersa in tutta la sua evidenza in tempi di pandemia e di estensione necessaria del lavoro agile: le amministrazioni non sanno, se non in termini generalissimi, cosa fanno le proprie strutture ed i propri dipendenti.

Per quanto le strutture siano definibili (settore anagrafe, settore appalti, settore sociale, etc…) e i dipendenti inquadrati in certi profili, pur in presenza di una messe immensa di atti di programmazione (Dup, Piao, Pdo, programmazione dei contratti, e molti altri), le PA (il nostro riferimento è dedicato in particolare agli enti locali) non attribuiscono, banalmente, compiti precisi ai propri dipendenti, tanto da non essere nemmeno in grado di elaborare un progetto di lavoro agile credibile e misurabile.

La valutazione risulterebbe semplice e quasi automatica se essa si incentrasse su un semplice fattore binario (1 – 0): questo è il compito da svolgere, verifichiamo se l’hai svolto o meno con gli elementi di puntualità, completezza e correttezza dati.

Il “risultato” individuale a questo punto non è altro che la capacità di svolgere i compiti assegnati; il “risultato” collettivo è la capacità di conseguire gli obiettivi attribuiti alla struttura, come sommatoria ponderata dei vari compiti svolti.

Purtroppo, il Legislatore, in ciò assecondato da tanta dottrina, si è complicato la vita inserendo nell’ordinamento concetti confusi e sfuggenti come quello della performance, però risultati molto suggestivi, tanto da affascinare persino la Cassazione Sezione Lavoro, che con sentenza1 4/04/2022 n.12268, ad esempio, afferma: “L’intervento operato dal D.Lgs nr. 150/2009 ha inteso segnare una inversione rispetto alla tendenza, invalsa nella contrattazione integrativa, di distribuire «a pioggia» i benefici. 11. Alla produttività individuale e collettiva è subentrata la «perfomance», individuale ed organizzativa; di conseguenza (con l’ articolo 57 D.Lgs 150/2009), è stato novellato l’articolo 45, comma tre, del D.L.gs. nr. 165/2001, in modo da sostituire i richiami alla produttività con quelli alla «performance». La novità non è solo terminologica, in quanto la produttività si riferisce all’aspetto oggettivo della quantità di lavoro svolto mentre la «perfomance» rappresenta la rispondenza dei risultati raggiunti agli obiettivi programmati”.

In realtà, la Cassazione ha provato a tracciare una distinzione tra produttività e performance, incorrendo in evidenti errori definitori.

La produttività non può essere mai considerata equivalente alla quantità di lavoro svolta, poiché essa è necessariamente e sempre solo un rapporto: il rapporto tra output ed input utilizzati nel processo produttivo ed essa aumenta in proporzione all’impiego degli input.

La performance, intesa come rapporto tra risultati raggiunti ed obiettivi programmati è esattamente la stessa cosa del risultato finale.

Nella realtà, il concetto di performance è arricchito dall’analisi anche del “come” si giunga al risultato finale, con l’esame, quindi, del comportamento.

E’ un concetto mutuato, per esempio, dallo spettacolo o dallo sport, ove è sempre utilizzato, ma con maggior pertinenza. La recitazione teatrale è mutevolmente gradita dal pubblico in relazione al “come” l’attore recita, cioè in base alla sua performance sul palco; la vittoria di una squadra o di uno sportivo consiste in una performance più o meno convincente a seconda di quanto netta e larga risulti la differenza dei valori con l’avversario.

Ma, sia nello spettacolo, sia nello sport, il risultato è aver allestito uno spettacolo ed organizzato la gara.

Traslare il concetto di performance nella valutazione dei risultati delle attività lavorative diverse da prestazioni artistiche o sportive è stata una forzatura ed un errore, che ancora oggi si paga appunto con direttive fumose e sistemi di valutazione incentrati molto su come si valutano i comportamenti, invece di cogliere quali output si chiedono, quali input sono impiegati, quale valore finale si ottiene e se questo sia corrispondente alle aspettative.

Tornando alla leadership. Ha davvero senso analizzare la disarticolazione del concetto proposta dalla direttiva? Oppure, forse, è meglio anche per la dirigenza chiarire compiti ed attività da svolgere e conseguenti risultati attesi?

Molte migliaia di anni fa, il poeta greco Archiloco ha dato una straordinaria idea di cosa si dovrebbe intendere per leadership:

Non amo un generale alto, che sta a gambe larghe,

fiero dei suoi riccioli e ben rasato.

Uno basso ne voglio, con le gambe storte,

ma ben saldo sui piedi, e pieno di coraggio”.

Interessano davvero i comportamenti, gli elementi esteriori che è anche in parte facile, in parte ipocrita, mettere in opera? O interessa che il leader guidi verso i risultato?

Il “privato” è sempre evocato come esempio da seguire. Quante volte s’è letto che la PA dovrebbe agire “come un’azienda”?

Ecco, quando sarebbe il caso di consentire davvero ciò, ci si perde in modalità operative velleitarie, defatiganti e poco utili.

Il “privato” sa valutare molto meglio della PA, perché connette, cinicamente e semplicemente, i premi incentivanti alla produttività ed ai risultati effettivi derivanti dalle attività programmate e svolte. E non sta a cercare produttività, comportamenti, performance: collega molto semplicemente gli incentivi alla presenza, presupponendo che essa misuri efficientemente il contributo individuale al risultato complessivo.

Si tratta di un esempio che ad oggi è bene non seguire, perché – esattamente all’opposto del mitico privato – la presenza non può essere parametro di risultato/performance. Lo conferma da ultimo la Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 6.12.2023, n. 34146: “in tema di acconto di produttività gli artt. 46-47, CCNL 1.9.1995 e 4 e 38, CCNL 7.4.1999 non consentono l’erogazione di compensi legati esclusivamente alla verifica della mera presenza in servizio perché anche prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2009 il sistema di produttività collettiva del comparto sanità non era distribuito “a pioggia” ma in misura differenziata in relazione all’effettivo apporto di ciascun dipendente al raggiungimento dell’obiettivo, valutato dal dirigente”.

Eppure, vorremmo tanto che questa volta la PA agisse “come il privato”, ove i sistemi di valutazione legati alla presenza non attribuiscono gli incentivi “a pioggia” più di quanto non lo facciano i sistemi pubblici. In disparte la circostanza dei tantissimi accordi decentrati e sistemi di valutazione ove la presenza è espressamente prevista come parametro, in ogni caso i sistemi sono spessissimo una cortina fumogena che dietro leadership, capacità, comportamenti e quant’altro, alla fine riducono il premio comunque sempre alla presenza in servizio.

Perchè, allora, non uscire una buona volta dall’ipocrisia, così consentendo alle PA finalmente di concentrarsi su cosa si fa e non come si valuta (anche quel che non si fa)?

L’inquilino di Palazzo Vidoni vanta l’esperienza manageriale anche nell’ambito della Magneti Marelli.

Vogliamo curiosare su come tale azienda, in base alla contrattazione, valuta il risultato dei dipendenti (non della dirigenza; non sappiamo se e quanto misurino la leaderhip)? Ecco: “Art. 8 – Incentivo di rendimento

Ai lavoratori operai che prestano la loro attività con l’assegnazione di tempi predeterminati (c.d. diretti) l’incentivo di rendimento corrisposto per le ore di effettiva attività a tempi predeterminati è fissato nelle seguenti misure: – prima area professionale: 0,0717 euro lordi/ora; – seconda area professionale: 0,0861 euro lordi/ora. – 5° gruppo professionale: 0,0718 euro lordi/ora; – 4° gruppo professionale: 0,0799 euro lordi/ora; – 3° gruppo professionale: 0,0857 euro lordi/ora. Titolo Terzo 83 Retribuzione e altri istituti economici Per i dipendenti delle società del Gruppo FCA assunti prima del 1° luglio 2015 e per quelli del Gruppo CNH Industrial e del Gruppo Ferrari sino alla data in cui entra in vigore il nuovo inquadramento, le misure dell’incentivo di rendimento per l’anno 2019 sono quelle di seguito indicate: – 5° gruppo professionale – prima fascia: 0,0588 euro lordi/ora; – 5° gruppo professionale – seconda fascia: 0,0718 euro lordi/ora; – 4° gruppo professionale: 0,0799 euro lordi/ora; – 3° gruppo professionale – prima fascia: 0,0857 euro lordi/ora; – 3° gruppo professionale – seconda fascia: 0,0928 euro lordi/ora.

Ai suddetti lavoratori, nelle ore in cui non prestano attività lavorativa a tempi predeterminati, e ai lavoratori operai che non prestano strutturalmente la loro attività a tempi predeterminati (c.d. indiretti) sarà corrisposto l’importo di euro lordi/ora 0,0538 dal 5° al 3° gruppo professionale o dalla 1a alla 2a area professionale per ogni ora di prestazione.

Art. 9 – Indennità di prestazione collegata alla presenza

Nei casi in cui venga introdotto un diverso sistema di pause, che comporti la “monetizzazione” di parte delle pause precedentemente godute dai lavoratori addetti alle linee a trazione meccanizzata con scocche/parti di prodotto in movimento continuo, ai lavoratori interessati, che saranno addetti alle lavorazioni suddette e in forza al momento dell’entrata in vigore del nuovo regime di pause sopra indicato, tale “monetizzazione” sarà riconosciuta tramite una voce retributiva specifica denominata “indennità di prestazione collegata alla presenza”. L’importo forfettario, da corrispondere solo per le ore di effettiva prestazione, con esclusione delle ore di inattività, della mezz’ora di mensa e delle assenze la cui copertura retributiva è per legge e/o contratto parificata alla prestazione lavorativa, è concordato, per tutti gli aventi diritto, in misura di 0,1813 euro lordi/ora per prestazioni ordinarie e per prestazioni di lavoro straordinario a giornata intera. Tale importo è stato definito dalle Parti in senso onnicomprensivo, dal momento che, in sede di quantificazione, si è tenuto conto di ogni incidenza sugli istituti legali e/o contrattuali e pertanto il suddetto importo forfetario orario è comprensivo di tutti gli istituti legali e/o contrattuali. Con il presente Contratto Collettivo le Parti concordano espressamente ai sensi del secondo comma dell’art. 2120 c.c., come modificato dall’art. 1 della legge 29 maggio 1982 n. 297, che la suddetta voce retributiva denominata “indennità di prestazione collegata alla presenza” è da escludere dalla base di calcolo per il trattamento di fine rapporto. L’attribuzione dell’indennità di cui al presente articolo viene meno nell’eventualità in cui il lavoratore sia chiamato a operare con il precedente sistema di pause o non sia più addetto a linee a trazione meccanizzata con scocche/parti di prodotto in movimento continuo, salvo il suo ripristino in caso in cui lo stesso sia richiamato a operare nelle predette condizioni.

Titolo Terzo

Art. 10 – Incentivo di produttività (escluso Gruppo Ferrari) L’incentivo di produttività è atto a misurare il contributo individuale del lavoratore alla produttività, efficienza organizzativa e competitività dell’azienda in cui opera. La sua corresponsione contribuisce a incentivare il miglioramento dei risultati di efficienza delle unità produttive a livello annuale1 , connessi all’elemento retributivo per efficienza di cui al successivo art. 11. Questo sistema di misurazione e verifica degli incrementi annuali di efficienza ha rilievo per tutti i lavoratori dei Gruppi FCA e CNH Industrial, secondo la prassi regolamentata in atto. L’erogazione dell’incentivo sarà ragguagliata all’effettiva prestazione lavorativa dei singoli lavoratori. L’incentivo di produttività è calcolato su base oraria con riferimento alle ore effettivamente lavorate in regime ordinario, nelle misure orarie di cui alle seguenti tabelle:

Conseguentemente, a questo fine, la quota erogata mensilmente e individualmente nelle suddette misure è riconosciuta per le ore di effettiva prestazione lavorativa ordinaria consuntivate nel mese precedente.

Concorrono alla determinazione di tale emolumento:

– i periodi di “astensione obbligatoria” dal lavoro per maternità e paternità, nonché i riposi giornalieri di cui agli artt. 39 e 40 del decreto legislativo n. 151/2001;

– le ore di assenza relative alle situazioni specificatamente tutelate nel paragrafo Assenteismo dell’art. 14 del Titolo quarto del CCSL;

– le ore di assemblea retribuite, le ore di permesso sindacale e le ore per partecipazione alle riunioni degli Organi sociali dei fondi sanitari e pensionistici di cui agli artt. 6 e 7 del Titolo quarto riconosciute in applicazione del CCSL nonché le ore dei permessi per RLS di cui al capitolo Ambiente di Lavoro, art. 5 del Titolo secondo del CCSL.

Gli importi dell’incentivo di produttività, determinati sulla base dei riportati criteri, sono comprensivi di tutti gli istituti legali e/o contrattuali quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, ferie, festività, tredicesima mensilità, maggiorazioni corrisposte a fronte di prestazioni per lavoro straordinario, notturno o festivo con o senza riposo compensativo e pertanto detti importi non verranno considerati ai fini del trattamento economico relativo a tutti tali istituti.

Resta confermato che l’incentivo di produttività, già erogato sulla base del CCSL 7 luglio 2015, essendo volto a premiare il contributo individuale alla produttività, efficienza e competitività aziendale, è stato a suo tempo riconosciuto con il fine di contribuire a generare un miglioramento, rispetto al dato del 2014, del risultato operativo lordo fiscale complessivo delle società dei Gruppi FCA e CNH Industrial nel quadriennio di vigenza contrattuale 2015-2018, che rappresenta l’arco temporale di erogazione dell’emolumento; questo auspicato incremento del livello del risultato operativo lordo di Gruppo puòdirsi senz’altro raggiunto a consuntivo, essendo l’indicato dato quadriennale sensibilmente superiore a quello del periodo d’imposta 2014, come risulta dallo specifico indicatore emergente dalle dichiarazioni dei redditi delle richiamate società.

Tutto, come si vede, è legato alle ore di lavoro ed alla presenza. Non pare che quel gruppo possa essere tacciato di inefficienza. Certo, non si lambicca troppo in cervellotici strumenti valutativi per incentivare il personale, ma va al sodo. Quel che manca nella PA.

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