16/05/2017 – Enti pubblici, riforme all’anno zero Incarichi decisi dallo spoil system

Enti pubblici, riforme all’anno zero

Incarichi decisi dallo spoil system

di Salvatore Sfrecola

 

Nelle imprese si chiama “area quadri”, nelle pubbliche amministrazioni era la “carriera direttiva. In ogni caso la struttura portante delle organizzazioni amministrative e finanziarie, costituita dai funzionari che adottano gli atti di gestione delle risorse pubbliche e che emanano i provvedimenti richiesti dai cittadini e dalle imprese, nel rispetto dei principi della economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza. Serve conoscenza delle leggi, dei regolamenti e delle circolari che, insieme, delineano le attribuzioni delle amministrazioni ed il loro modus operandi nel caso concreto, per riconoscere diritti dei privati e tutelare interessi pubblici. Vi provvedono uomini e donne “al servizio esclusivo della Nazione”, come si legge nell’art. 98 della Costituzione, ai quali è richiesta una preparazione professionale elevata, universitaria, accertata sulla base di concorsi pubblici selettivi, difficili, anche perché sempre più rari e per pochi posti. Infatti, a partire dalla fine degli anni ’90 le politiche di assunzione sono state sempre più piegate a soddisfare finalità di equilibri di bilancio, trascurando le esigenze organizzative delle pubbliche amministrazioni, cioè la stessa funzionalità degli apparati. È il cosiddetto blocco del turn over che ha determinato un pericoloso invecchiamento dell’amministrazione, inutilmente denunciato da più parti, dagli studiosi come dalle associazioni dei cittadini. Così oggi l’età media dei dipendenti pubblici sfiora ovunque i 50 anni. Nessuno in Europa ha dipendenti anziani come i nostri. Nel Regno Unito il 25% del personale ha meno di 30 anni, in Germania il 30%. Anche per la dirigenza l’età media è superiore ai 50 anni. In Francia e nel Regno Unito supera di poco i 45.

A risentirne è soprattutto il corpo dei funzionari che mandano avanti gli uffici, che attuano le direttive amministrative, che redigono i provvedimenti. Un tempo, come già detto, erano i funzionari della carriera direttiva, dalla quale si traevano i dirigenti. Una aspettativa di carriera che costituiva un incentivo al continuo aggiornamento, al quale provvedevano innanzitutto i colleghi più anziani ma anche le amministrazioni, d’intesa con la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, attraverso l’organizzazione di corsi e seminari, per approfondire leggi, per tenere ferma l’attenzione sulla giurisprudenza amministrativa (TAR Consiglio di Stato) e sugli orientamenti della Corte dei conti nell’esercizio delle sue funzioni di controllo. Poi quest’area è stata affollata da inserimenti effettuati sulla base di selezioni inadeguate, “percorsi formativi”, riconoscimenti di servizi pregressi ed analoghe iniziative di matrice sindacale che hanno trasferito indiscriminatamente, non di rado senza titolo di studio (a volte equivocando su laurea breve e magistrale), stuoli di impiegati nelle qualifiche superiori, distinte non più per funzioni ma per lettere e numeri (C1, C2, C3), spesso non avendone l’attitudine e l’esperienza. Un’operazione fallimentare che, tra l’altro, per assicurare un migliore trattamento economico ad invarianza di spesa sono stati trasferiti alle qualifiche superiori tagliando i posti alla base. Ho commentato: “i padri hanno tolto il lavoro ai figli”.

L’amministrazione ne soffre e ne soffrono gli addetti che si vedono accomunati nei giudizi di disvalore, generalizzati e ingiusti, della politica, di certi mezzi di informazione, dei cittadini. Che ad ogni prova di inefficienza, crolli un ponte o ritardi un’opera di manutenzione danno subito colpa alla burocrazia e alle sue regole. Di qui le ricorrenti proposte di riforma, per restituire alle amministrazioni quell’efficienza che è funzionale al perseguimento delle politiche pubbliche, cioè del programma di governo, ed alla soddisfazione degli interessi dei cittadini e delle imprese.

Vi mise mano il Ministro della funzione pubblica Franco Frattini nel 2002, con la legge n. 145 del 15 luglio, che ha previsto, ad integrazione del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, l’istituzione della “vice dirigenza” (art. 17-bis). L’errore è stato quello di rinviare la definizione di questo comparto alla contrattazione collettiva. Non se ne è fatto niente. I sindacati, in particolare la CGIL, hanno immediatamente mostrato ostilità per il progetto, così privando le pubbliche amministrazioni di quell’area responsabile che ovunque, negli stati moderni e più efficienti, manda avanti il lavoro, fatta di tecnici, del diritto, dell’economia e di tutte le altre specializzazioni che occorrono per gestire le attribuzioni dei singoli ministeri, dai medici agli ingegneri, passando per gli statistici ed i geologi.

Infine la norma è stata abrogata. Non tutti, però, sono rimasti a guardare. Così le agenzie fiscali, dopo aver proceduto alla copertura provvisoria di vacanze nelle posizioni dirigenziali mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, reiteratamente prorogati, censurate dalla Corte costituzionale (che ha parlato di aggiramento della legge), hanno inventato le posizioni organizzative vicarie, che avrebbero più correttamente dovuto confluire nell’area quadri, e, secondo la logica della spartizione politica, le hanno attribuite liberamente sulla base delle indicazioni provenienti dall’autorità politica. Un pasticciaccio, nonostante le ripetute pronunce della Corte costituzionale.

Un tema tremendamente serio, dunque, quello dell’“area quadri”, che non è certo in condizione di affrontare il Ministro dell’innovazione e della pubblica amministrazione, Marianna Madia, dagli scarsi studi e nessun esperienza. Un tema che va affrontato con determinazione, anche per riportare l’attenzione sui funzionari che sono alla base dell’attività degli uffici, oggi costretti ad operare in strutture amministrative disarticolate a seguito della dilatazione irrazionale delle qualifiche dirigenziali, un tempo in numero limitato, rette da funzionari che sono rimasti un esempio di grandissima professionalità nella storia della Pubblica Amministrazione. Inoltre lo spoil system selvaggio, che ha accentuato la soggezione del dirigente al datore di lavoro pubblico attenuando le garanzie di status, a cominciare dalla stabilità del ruolo, fa ricadere sul corpo dei funzionari intermedi gran parte dei gravosi compiti di istruttoria e decisione delle amministrazioni pubbliche. Per cui l’esigenza di un intervento urgente che definisca e valorizzi un’area quadri capace di assicurare maggiore efficienza agli apparati, e di evitare la riprovevole proliferazione dell’affidamento fiduciario di incarichi e funzioni dirigenziali, che ha generato un consistente aggravio per le casse dell’erario e l’attribuzione di compiti delicati a soggetti beneficiari di una inammissibile contiguità con il potere politico, in violazione del principio della separazione tra politica e gestione.

Sembra giusto, dunque, riconoscere ai futuri Quadri del pubblico impiego le medesime prerogative che la Contrattazione Collettiva di Comparto attribuisce, ad esempio, nelle aree professionali delle imprese finanziarie e creditizie, oltre alle funzioni vicarie della dirigenza che appartengono naturalmente ai funzionari più anziani, i “vice dirigenti” della riforma Frattini. Quadri direttivi che siano stabilmente incaricati di svolgere, in via continuativa e prevalente, mansioni che comportino elevate responsabilità funzionali ed adeguata preparazione professionale e che abbiano maturato una significativa esperienza nei rispettivi settori, accertata capacità nella direzione e nel coordinamento di altri dipendenti appartenenti alla medesima categoria o a quella inferiore.

Sembra tanto? È, invece, il minimo che si possa pretendere per una organizzazione pubblica nella quale l’apparato costituisca un’opportunità per chi governa e per gli amministrati e non un peso.

(Pubblicato da La Verità, 9 maggio 2017, pagina 16)

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