a cura di Agostino Galeone

TAR per la Puglia – Lecce Sezione I – sentenza n. 249 del 13/02/2021

Con la su citata sentenza sono stati rigettati i ricorsi proposti rispettivamente da ARCELOR-MITTAL e da ILVA in A.S.avverso l’Ordinanza contingibile e urgente n. 15 del 27 febbraio 2020 adottata dal Sindaco di Taranto avente ad oggetto “Rischio sanitario derivante dalla produzione dello stabilimento siderurgico ex Ilva – Arcelor Mittal di Taranto – emissioni in atmosfera dovute ad anomalie impiantistiche – Ordinanza di eliminazione del rischio e, in via conseguente, di sospensione delle attività”’.

Preliminarmente si ritiene opportuno evidenziare che, nonostante l’accertato inquinamento atmosferico e ambientale per il territorio della città di Taranto  e dei Comuni limitrofi prodotto dall’ILVA-Arcelormittal S.p.A. (’ex-Italsider) gestore degli impianti di produzione dell’acciaio, che ha determinato e continua a determinare un pesantissimo costo per la salute della popolazione anche in termini di un elevatissimo numero di decessi, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nonché l’Ilva S.p.A. in Amministrazione Straordinaria (ancora attuale proprietario di detti impianti siderurginici) non hanno ritenuto di costituirsi in giudizio.

Come bisognerebbe interpretare tale assenza di un così importante Ministero che, sino a prova contraria, fa parte dello Stato italiano nonché dell’ILVA S.p.A. in A.S. di proprietà dello stesso Stato italiano ? A favore o contro la popolazione danneggiata dagli inquinamenti ?

La lettura della sentenza, che, sebbene particolarmente complessa, è stata magistralmente articolata dal suo estensore, il Presidente della stessa Sezione emittente, risulta molto interessante, per gli esperti di diritto ambientale e per gli operatori del diritto amministrativo, in quanto l’esame della fattispecie oggetto del contenzioso è complicata sia dal punto di vista degli aspetti ambientalistici e, per le eccezioni sollevate sul piano giuridico avverso il provvedimento sindacale, sia dal punto di vista giuridico, nonché, in particolare, per le puntuali argomentazioni giuridiche reiettive apportate a sostegno della decisione di rigetto del ricorso, come rilevabili dalle conclusioni prodromiche allo stesso dispositivo, di seguito testualmente riportate.

 

“ XII- CONCLUSIONI

Deve ritenersi quindi provato che i fenomeni emissivi indicati nell’impugnata ordinanza sono stati determinati da malfunzionamento tecnico, difettosa attività di monitoraggio e di pronto intervento, nonché criticità nella gestione del rischio e nel sistema delle procedure di approvvigionamento di forniture e di negligente predisposizione di scorte di magazzino.

Dalle risultanze acquisite con la disposta istruttoria si evince altresì che tali criticità e anomalie possono ritenersi risolte solo in minima parte e che, viceversa, permangono astrattamente le condizioni di rischio del ripetersi di siffatti gravi accadimenti emissivi, i quali del resto non possono certo dirsi episodici, casuali e isolati.

Permangono – ad esempio – le criticità connesse alla mancata sostituzione dei filtri MEEP, alla mancata copertura dei nastri trasportatori e dei parchi, nonché il difettoso e/o intermittente funzionamento della rete di rilevamento delle emissioni.

E ciò con riferimento allo scenario emissivo in essere, corrispondente al livello di produzione di sei mila tonnellate/anno e sempre riferito al set emissivo ordinario.

Ben altre considerazioni occorre fare con riferimento alla accertata immissione in atmosfera di emissioni inquinanti facenti parte del c.d. set integrativo, quali naftalene e benzene e particolati PM10 e PM2,5, questi ultimi non solo estremamente nocivi in sé, ma anche in quanto veicolatori di sostanze volatili come il naftalene, classificato come cancerogeno di categoria 1, ovvero come causativo di gravi patologie oncologiche a prescindere dal quantitativo o livello di assunzione (per inalazione).

Peraltro lo spargimento di polveri sottili, per effetto della particolare configurazione geomorfologica della città di Taranto e delle interazioni con le correnti meteo-marine, risulta rilevabile in maniera attendibile esclusivamente dalle centraline di monitoraggio della rete ARPA-RRQA, in quanto dislocate sul territorio e, in particolare, nelle zone maggiormente interessate dallo spargimento delle polveri sottili, ovvero o rioni Tamburi e Borgo-Città Vecchia.

Con riferimento al primo profilo, occorre a questo punto sgombrare il campo da un ulteriore equivoco in cui incorre la difesa delle ricorrenti e del Ministero, ovvero quello di ritenere l’impugnata ordinanza come esclusivamente collegata agli episodi emissivi specificamente indicati nel provvedimento.

Ed invero anche da una mera lettura dell’ordinanza si evince infatti agevolmente che gli episodi ivi indicati rappresentano mera occasione dell’adozione del provvedimento, e che gli stessi assumono rilevanza non già in sé considerati, bensì in quanto sintomatici di un incombente pericolo di reiterazione dei fenomeni emissivi.

L’ordinanza contingibile e urgente impugnata, adottata ai sensi dell’articolo 50 T.U.E.L., è volta a prevenire il ripetersi, via via più frequente, di immissioni in atmosfera in grado di determinare grave danno alla salute della popolazione residente, oltre che in considerazione dell’elevato allarme sociale che siffatti episodi emissivi determinano in una popolazione già assolutamente provata.

Proprio tale situazione, da un lato, comprova la piena sussistenza, nella fattispecie in esame del presupposto grave pericolo per la salute e per la vita dei cittadini, che – nel caso della città di Taranto deve ritenersi immanente e permanente.

Il Collegio rileva che, alla stregua di tutto quanto sopra evidenziato, risulta evidente l’infondatezza di tutti i motivi dedotti a sostegno dei ricorsi.

Non ricorre anzitutto il dedotto vizio di carenza di potere o difetto di attribuzione e/o di violazione del principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, i quali – pur diversamente articolati da ILVA e da ArcelorMittal –muovono entrambi dall’erroneo convincimento di attribuire al provvedimento impugnato la finalità di perseguire una sostanziale modifica dell’AIA e, al tempo stesso, dall’ulteriore e altrettanto erroneo convincimento del ritenere che il rispetto dei parametri AIA con riferimento alle emissioni del set minimo integri di per sé garanzia di assenza di rischio o danno sanitario per la popolazione.

Rileva in contrario il Collegio che tale assioma risulta del tutto illogico e che il potere contingibile e urgente ex art. 50 T.U.E.L si pone al di fuori del procedimento amministrativo autorizzativo dell’attività produttiva, trattandosi di un potere residuale previsto dall’ordinamento proprio al fine di tutelare diritti fondamentali, come il diritto alla salute dei cittadini, in un contesto di criticità connotato da urgenza e indifferibilità dell’intervento e della impossibilità di ricorrere ai rimedi ordinari.

Nel caso di specie, ad abundantiam, l’esercizio del potere contingibile e urgente da parte del Sindaco trova peraltro ulteriore supporto logico in considerazione del fatto che, anche a prescindere dalla rilevanza secondaria che nell’ambito dell’AIA – e ancor più nel caso della legislazione speciale prevista per l’ex ILVA, in quanto impianto strategico di interesse nazionale – riveste la valutazione del danno sanitario, il Sindaco ha comunque esercitato ogni iniziativa utile al fine di sollecitare un intervento di riesame dell’AIA, sulla base di qualificati pareri e relazioni ambientali e sanitarie, senza sortire tempestivi risultati e cui ha fatto riscontro, ad esempio la nota di ISPRA con cui quest’ultima assume di non avere competenza in campo sanitario.

Ciò appare paradossale, sol che si consideri che, secondo lo speciale procedimento previsto dalla legge del 2012, ad ISPRA è affidato il terzo e ultimo step del procedimento di verifica volto al riesame dell’AIA, atteso che ISPRA ha specifiche competenze in materia ambientale.

Sicché nel caso di specie certamente non erano disponibili rimedi ordinari, comunque attivati – attesa la perdurante pendenza del procedimento del riesame relativamente al monitoraggio del set integrativo.

Solo la concreta ed elevata probabilità del ripetersi di eventi emissivi ulteriori e del connesso rischio per la salute della popolazione residente e del conseguente allarme sociale ha determinato l’adozione del provvedimento impugnato, in concreto l’unico idoneo a prevenire i paventati danni.

Come sopra già evidenziato, lo stato di grave pericolo in un contesto abitativo come quello della città di Taranto, aggravato proprio dal sempre più frequente ripetersi di emissioni nocive ricollegabili direttamente all’attività del siderurgico, deve ritenersi permanente ed immanente.

Senza peraltro considerare che, come sopra evidenziato, anche le criticità legate alle anomalie di funzionamento e alle emissioni del set ordinario, che pure hanno costituito uno dei presupposti dell’impugnato provvedimento contingibile e urgente, sono risultate confermate dall’attività istruttoria disposta dal Collegio, oltre che risultare agevolmente desumibili anche dalle stesse relazioni semestrali inviate dal gestore al MATTM e dalle numerose diffide per violazione dell’AIA, alle quali non sempre – ed anzi quasi mai – sono seguite adeguate misure sanzionatorie.

Risultano altresì infondati, tutti i motivi, pur se diversamente articolati, con i quali si deduce difetto di istruttoria, difetto di motivazione ed eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto e in diritto, atteso che, da quanto sopra esposto, si evince che l’impugnata ordinanza risulta supportata da adeguata istruttoria, anche per relationem, attraverso il richiamo alle relazioni di organi tecnici e consultivi particolarmente qualificati (ARPA Puglia, AreSS, ASL Taranto, ISS), nonché supportato da motivazione più che adeguata e coerente.

Risultano altresì infondati i motivi con i quali si deduce da un lato il superamento delle situazioni legate alle due serie di eventi emissivi indicati nell’ordinanza, dall’altro si contesta l’insussistenza del requisito dell’imprevedibilità.

Rileva in contrario il Collegio che, dall’istruttoria espletata, è emerso anzitutto come le criticità e le anomalie ipotizzate nel provvedimento contingibile non solo fossero realmente sussistenti, ma anche che le stesse non siano state risolte, se non che in minima parte, permanendo comunque – quand’anche per mera ipotesi volesse prescindersi da ogni altra valutazione – il grave pericolo per la salute umana connesso all’immissione in atmosfera delle polveri sottili, particolato PM10 e PM2,5 particolarmente dannose in sé, nonché in quanto veicolatori di cancerogeni di ctg. 1 come il naftalene e il benzo-(A)-pirene.

Ma soprattutto appare decisivo il rilievo già sopra evidenziato, ovvero che l’impugnato provvedimento non rappresenta certo una reazione rispetto ad episodi già storicamente verificatisi, atteso che tali episodi hanno costituito oggetto di valutazione esclusivamente in quanto sintomatici di un sempre più frequente ripetersi di fenomeni emissivi nocivi sia con riferimento al set ordinario, sia con riferimento alla emissione degli inquinanti del cd. set integrativo, altamente nocivi e pericolosi per la salute umana e non oggetto di monitoraggio alcuno.

Premesso che, sulla base dei puntuali citati accertamenti (ASL Taranto e ARPA), sono stati accertati fenomeni emissivi relativi a sostanze inquinanti riconducibili allo stabilimento siderurgico e non incluse negli allegati AIA tra quelle soggette a monitoraggio, rileva il Collegio che l’immissione in atmosfera di tali inquinanti deve ritenersi del tutto abusiva e non autorizzata, atteso che l’individuazione puntuale nell’AIA delle sostanze nocive delle quali è previsto il monitoraggio, circoscrive l’ambito delle immissioni nocive consentite e – sotto altro profilo – costituisce al tempo stesso e correlativamente il limite obiettivo ed invalicabile, difettando per le emissione di tali inquinanti qualsivoglia copertura, anche dal punto di vista amministrativo.

Con riferimento alla dedotta carenza del requisito di imprevedibilità, rileva il Collegio che come è noto, per pacifica e consolidata giurisprudenza, tale requisito riveste un importanza del tutto spernibile, apparendo irrilevante e secondaria la considerazione del livello di diligenza dell’Autorità chiamata a provvedere rispetto alla prioritaria esigenza di tutelare il diritto alla salute dei cittadini.

Non colgono nel segno neanche le censure con le quali entrambe le ricorrenti assumono difettare il requisito della temporaneità e/o della proporzionalità delle misure adottate.

Ed invero, il requisito della temporaneità risulta strettamente connesso con le esigenze di tutela del bene protetto, ovvero – nella specie – della salute dei cittadini residenti in Taranto, pertanto “la possibilità di adottare ordinanze contingibili e urgenti non è automaticamente esclusa dal fatto che la relativa esecuzione comporti effetti irreversibili: infatti la finalità precipua delle ordinanze contingibili e urgenti è di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Pertanto, gli effetti – temporanei o definitivi – derivanti dall’istituzione delle misure ingiunte con siffatti provvedimenti dipendono essenzialmente dal tipo di rischio da prevenire o eliminare tenendo conto delle effettive e specifiche circostanze del caso di specie” (C.d.S. sez. IV n. 7665/2019).

L’impugnato provvedimento, che risponde quindi perfettamente all’ipotesi di cui al D. Lgs 267/2000 art. 50 co. 5, risulta pertanto del tutto immune dai denunciati vizi.

L’ordinanza contingibile e urgente impugnata costituisce peraltro applicazione del principio di precauzione, che risulta nella specie correttamente applicato e rispettoso del principio di proporzionalità, sia nella parte in cui ha ordinato alle ricorrenti un approfondimento istruttorio ulteriore (ordine rimasto privo di sostanziale riscontro), sia nella parte ordina procedersi all’avvio delle operazioni di spegnimento degli impianti dell’area a caldo del siderurgico (cfr. C.d.S. sez. IV 11.2.2019 n. 983).

Come è noto il principio di precauzione, nato nell’ambito della normativa comunitaria (art. 7 regolamento n. 178 del 2002) con riferimento al settore alimentare è stato successivamente recepito dalle direttive unionali come principio generale applicabile anche con riferimento alla materia della tutela della salute dei cittadini.

In particolare tale principio impone che, allorché ricorrano incertezze o ragionevoli dubbi in ordine al rischio per la salute delle persone, possono essere adottate misure di tutela del bene protetto ancor prima che risulti pienamente dimostrata l’esistenza e gravità delle fonti di rischio (cfr C.d.S sez. III n. 3.10.2019 n. 6655; TAR Sardegna Sez I 16.11.2020 n. 628).

In proposito è opportuno richiamare l’orientamento giurisprudenziale espresso dal Consiglio di Stato, che ha statuito che l’assoluta imprevedibilità del rischio non costituisce presupposto indefettibile per l’adozione delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti (CDS sez. V 3.6.12013 n. 3024).

Parimenti la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha condivisibilmente ritenuto che il fatto che una situazione fonte di rischio sia protratta nel tempo non rende per questo illegittimo il provvedimento contingibile e urgente del Sindaco, atteso che in determinate situazioni il trascorrere del tempo o lo stato di perdurante rischio non elimina da sé il pericolo per la salute dei cittadini potendo viceversa anzi aggravarlo (CdS Sez. V 25.5.2012 n. 3077).

Deve in proposito ricordarsi, con specifico riferimento alle emissioni industriali dell’ILVA e al danno sanitario della popolazione residente nell’area di Taranto, il precedente giurisprudenziale specifico e relativo ai ricorsi proposti da cittadini di Taranto c/ lo Stato italiano (Cordella e altri c/ Italia – proc.ti n. 54414/13 e n. 54264/15), definiti con sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo del 24.1.2019, che ha accertato da parte dello Stato italiano la violazione degli artt. 8 e 13 della Convenzione con condanna dello Stato italiano al versamento di somme in favore dei ricorrenti e a titolo di parziale risarcimento.

In tale sentenza, il cui contenuto deve intendersi qui richiamato, la Corte ha evidenziato il “protrarsi di una situazione di inquinamento ambientale che mette in pericolo la salute dei ricorrenti e, più in generale, quella dell’intera popolazione residente nelle aree a rischio”; evidenziando altresì che “la gestione da parte delle Autorità nazionali delle questioni ambientali riguardanti l’attività produttiva della società ILVA di Taranto è tuttora nella fase di stallo” e che “le Autorità nazionali hanno omesso di adottare tutte le misure necessarie per assicurare la protezione effettiva del diritto degli interessati al rispetto della loro vita privata”.

Deve pertanto ritenersi pienamente sussistente la situazione di grave pericolo per la salute dei cittadini, connessa dal probabile rischio di ripetizione di fenomeni emissivi in qualche modo fuori controllo e sempre più frequenti, forse anche in ragione della vetustà degli impianti tecnologici di produzione.

Con riferimento al rapporto tra attività produttiva e tutela della salute, di cui al precedente paragrafo VIII, si è già evidenziato che i limiti di compatibilità che devono regolare il bilanciamento degli interessi antagonisti, così come delineati dal Giudice delle leggi nella Sent. C. Cost.85/2013, risulta macroscopicamente violato in danno della salute dei cittadini, atteso che la compressione della tutela dei diritti fondamentali come il diritto alla salute in favore di un rilevante interesse economico come quello connesso allo stabilimento siderurgico di Taranto deve essere tuttavia contenuto entro limiti ragionevoli e invalicabili ai fini di una compatibilità con i principi costituzionali.

Richiamando quanto già sopra evidenziato con riferimento al quadro sanitario ed epidemiologico (paragrafo X), rileva il Collegio che non ricorre nel provvedimento impugnato alcuna violazione del principio di proporzionalità, che in concreto risulta viceversa violato in danno della salute e del diritto alla vita dei cittadini di Taranto, che hanno pagato in termini di salute e di vite umane un contributo che va di certo ben oltre quei “ragionevoli limiti”, il cui rispetto solo può consentire, secondo la nostra costituzione, la prosecuzione di siffatta attività industriale.

Senza peraltro considerare che l’impianto produttivo siderurgico di Taranto non risulta in linea con le direttive dell’Unione Europea, che impongono di fare uso delle migliori tecniche disponibili, atteso che peraltro lo stabilimento ex ILVA- ARCELOR-MITTAL è rimasto l’unico sul territorio nazionale con alimentazione a carbone, risultando tutti i restanti stabilimenti siderurgici da tempo convertiti nell’alimentazione elettrica dei forni (la conversione in elettrico sembrerebbe addirittura compatibile con l’asset preesistente).

Appare singolare considerare che un adeguamento tecnologico degli impianti e la conversione dell’alimentazione dei forni dal carbone all’elettrico avrebbe probabilmente scongiurato un gran numero di decessi prematuri e un’incidenza così elevata di malformazioni e patologie oncologiche, anche in età pediatrica e infantile.

Appare evidente che il mantenimento dello stabilimento di Taranto con alimentazione a carbone, comportando una notevole produzione di acciaio di buona qualità e a basso costo, risulti funzionale agli interessi economici di altre aziende dell’indotto complessivo dell’acciaio, che beneficiano dei relativi profitti differenziali.

Ed invero a fronte di una produzione di acciaio unanimemente riconosciuto come di buona qualità e a basso costo, lo stabilimento siderurgico di Taranto versa da tempo in condizioni di deficit finanziario, con gravi perdite dal punto di vista economico, dovendosi conseguentemente ritenere che l’alimentazione dell’area a caldo con carbone fossile costituisca una configurazione “necessaria” in una logica di massimazione del profitto, in quanto funzionale rispetto al sistema economico complessivamente rinveniente dall’indotto della produzione dell’acciaio nel nostro paese.

Alla stregua di tutto quanto sopra, il ricorso 393/2020 proposto da ARCELOR MITTAL e il ricorso 397/2020 proposto da ex ILVA in A.S. sono infondati e i motivi aggiunti rispettivamente proposti sono inammissibili per difetto di interesse prima ancora che infondati e, pertanto, entrambi i ricorsi cosi come integrati dai motivi aggiunti, vanno complessivamente respinti.

………

La pubblicazione della presente sentenza comporta la decadenza delle ordinanze con le quali è stata accordata tutela cautelare alle ricorrenti nelle more della decisione di merito.

Rileva il Collegio che pertanto il termine assegnato nella misura di giorni 60 (sessanta) per il completamento delle operazioni di spegnimento dell’area a caldo, nei termini e nei modi esattamente indicati nella stessa ordinanza sindacale impugnata, deve ritenersi decorrere ex novo dalla data di pubblicazione della presente sentenza, in quanto medio tempore sospeso per effetto della sospensione cautelare dell’efficacia del provvedimento contingibile e urgente,

Alcun effetto cautelare invece ha inciso il provvedimento impugnato con riferimento alla prima parte, ovvero all’ordine di procedere a ulteriori accertamenti e verifiche al fine di individuare preliminarmente le anomalie di funzionamento, dovendosi conseguentemente ritenere tale termine ormai irrimediabilmente decorso.

E ciò sia perché nei confronti di tale parte dispositiva provvedimento non risultano neanche proposte specifiche censura, sia perché – secondo gli assunti delle stesse parti ricorrenti – le stesse assumono di avervi fornito riscontro con la nota del 22 marzo succitata, palesando in tal modo comunque acquiescenza, a prescindere dalla adeguatezza o meno del riscontro in questione; sia perché il periculum dedotto in sede cautelare – e che ha supportato il contenuto del decisum cautelare secondo il principio di correlazione tra chiesto e pronunciato – ha avuto ad esclusivo riferimento l’ordine di procedere allo spegnimento dell’intera area a caldo nei termini esattamente specificati dal provvedimento (e ciò per l’ipotesi i cui – come quella in esame – le ricorrenti non avessero individuato, entro il primo termine temporale assegnato, alcuna specifica localizzazione delle anomalie o delle cause di malfunzionamento). ”

 

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