15/01/2017 – Competenza degli organi in tema di pianificazione urbanistica di attuazione

Competenza degli organi in tema di pianificazione urbanistica di attuazione
di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics

 

Il Consiglio di Stato, nella sentenza in esame, interviene in tema di pianificazione urbanistica di attuazione ed in tema di competenza degli organi in relazione alla adozione degli atti ad essa riconducibili.

Sui afferma così che il piano di lottizzazione (o altro strumento di pianificazione attuativa), e lo schema di convenzione ad esso allegato, costituiscono atti distinti ma giuridicamente connessi, la cui approvazione non può che avvenire contestualmente da parte dell’unico organo al quale, nell’ambito dell’ente locale, è attribuito l’indirizzo politico-amministrativo in relazione alla pianificazione del territorio, e cioè da parte del Consiglio comunale.

Mentre piano urbanistico attuativo e schema di convenzione formano oggetto di un unico atto di approvazione (di competenza del Consiglio comunale), la convenzione propriamente detta (cioè il contratto ad oggetto pubblico successivamente stipulato) costituisce certamente un atto negoziale autonomo (nel senso di essere giuridicamente distinto dal provvedimento – atto unilaterale di approvazione), la cui sottoscrizione deve essere effettuata dal dirigente del Comune, ex art. 107, comma 3, lett. c), D.Lgs. n. 267 del 2000 (T.U. enti locali), il quale, se non ha un potere di modifica e/o integrazione delle clausole, che inciderebbe sul contenuto stesso della potestà pianificatoria precedentemente esercitata dal Consiglio comunale, tuttavia laddove ritenga che le clausole contrattuali in sé considerate, ovvero lo stesso piano urbanistico attuativo contrastino con disposizioni di legge, ben può rimettere le sue osservazioni all’organo competente, onde sollecitarne una ulteriore valutazione ed, eventualmente, l’esercizio del potere di annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990.

Non solo. Si osserva ancora in sentenza che qualora tra approvazione del piano attuativo/schema di convenzione e momento di stipulazione della stessa, vengano meno i presupposti sui quali la stessa approvazione è stata fondata, l’amministrazione, la quale ben può verificare la persistenza di detti presupposti fino al momento della stipula, non può ritenersi obbligata alla stipulazione della convenzione, ma valuterà la sussistenza di ragioni di revoca dell’approvazione, ai sensi dell’art. 21-quinquies, L. n. 241 del 1990, ovvero di annullamento del piano già approvato, in esercizio del potere di autotutela.

Appare così evidente, secondo il Consiglio di Stato, che la competenza alla stipulazione della convenzione inerente ad uno strumento urbanistico attuativo è del dirigente; che questi ben può verificare la legittimità di quanto dalla stessa previsto e che, in ogni caso, l’amministrazione non è tenuta alla stipula della convenzione (pur avendone in precedenza approvato lo schema), laddove non sussistano i dovuti presupposti di legittimità ovvero, nelle more, siano venuti meno presupposti o condizioni che avevano determinato l’approvazione del piano e/o del predetto schema di convenzione.

Sul tema in esame si registra l’importante decisione della Corte Cost., 29 luglio 2005, n. 343 secondo cui: “L’art. 24, L. 28 febbraio 1985, n. 47, compreso nel capo II, relativo allo snellimento delle procedure urbanistiche ed edilizie, testualmente dispone: “Salvo che per le aree e per gli ambiti territoriali individuati dalle regioni come di interesse regionale in sede di piano territoriale di coordinamento o, in mancanza, con specifica deliberazione, non è soggetto ad approvazione regionale lo strumento attuativo di strumenti urbanistici regionali, compresi i piani per l’edilizia economica e popolare nonché i piani per gli insediamenti produttivi” (primo comma). “Le regioni emanano norme cui i comuni debbono attenersi per l’approvazione degli strumenti di cui al comma precedente, al fine di garantire la snellezza del procedimento e le necessarie forme di pubblicità e di partecipazione dei soggetti pubblici e privati. I comuni sono comunque tenuti a trasmettere alla regione, entro sessanta giorni, copia degli strumenti attuativi di cui al presente articolo. Sulle eventuali osservazioni della regione i comuni devono esprimersi con motivazioni puntuali” (secondo comma).

Tale disposizione non è derogabile dalle leggi regionali, come si evince dal precedente articolo 1, primo comma, secondo cui le Regioni emanano norme in materia di controllo dell’attività urbanistica ed edilizia e di sanzioni in conformità ai principi definiti dai capi I, II e III della stessa legge, senza che possa trarsi argomento in contrario dal secondo comma per il quale, fino all’emanazione delle norme regionali, si applicano le norme contenute nella legge statale.

Con la L. n. 47 del 1985, se da una parte si istituzionalizza il disegno di semplificazione delle procedure in materia urbanistica, eliminando l’approvazione degli strumenti attuativi, dall’altra, però, si accentuano le forme di pubblicità e di partecipazione dei soggetti pubblici e privati.

La statuizione dell’art. 24, comma 2, L. n. 47 del 1985, nella parte in cui prescrive l’invio degli strumenti attuativi comunali alla Regione, è chiaramente preordinata a soddisfare un’esigenza, oltre che di conoscenza per l’ente regionale, anche di coordinamento dell’operato delle Amministrazioni locali ed, in questo senso, la legge statale riserva alla Regione la potestà di formulare “osservazioni” sulle quali i Comuni devono “esprimersi”.

Il contrappeso all’abolizione dell’approvazione regionale è costituito dall’obbligo imposto al Comune di inviare alla Regione il piano attuativo, al fine di sollecitarne osservazioni riguardo alle quali il Comune stesso è tenuto a puntuale motivazione.

Il meccanismo istituito dall’art. 24, L. n. 47 del 1985, dunque, in relazione allo scopo perseguito dalla legge, configurando l’obbligo dei Comuni di trasmettere i piani urbanistici attuativi alla Regione, assume il carattere di principio fondamentale”.

Da parte sua il Consiglio di Stato, in altro suo arresto (Sez. IV, n. 2109/2015), ha osservato che: “come sia pacifico l’orientamento giurisprudenziale per il quale il Piano di lottizzazione ha durata decennale, di talché decorso infruttuosamente il suddetto termine lo strumento attuativo perde efficacia (Cons. di Stato, Sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 200idem 25 luglio 2001, n. 4073).

La tesi della dedotta ultrattività delle previsioni del Piano di lottizzazione decennale, pure fatta valere, va disattesa in quanto la prosecuzione degli effetti delle previsioni urbanistiche di secondo livello oltre il detto termine decennale confligge con la finalità sottesa alla fissazione del termine de quo coincidente con l’esigenza di assicurare effettività e attualità alle previsioni urbanistiche, non potendo le lottizzazioni convenzionate condizionare a tempo indeterminato la pianificazione urbanistica futura (Cons. di Stato, Sez. IV, 29 novembre 2010, n. 8348idem 13 aprile 2005, n. 1543)”.

Ed ancora, si è detto: “stante la spettanza in capo all’amministrazione della scelte direzionali in tema di pianificazione urbanistica, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha costantemente ritenuto che la perplessità dell’azione amministrativa dovesse portare unicamente ad un obbligo rinforzato di motivazione, peraltro collegando tale obbligo a particolari situazioni soggettive qualificate, indicate in una serie predeterminata di casi (da ultimo, Cons. di Stato, Sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5453; ma per affermazioni nelle stesso senso, vedi ex multis, id., 4 novembre 2013, n. 5292id., 22 maggio 2014, n. 2649).

Tali elenchi, tuttavia, non possono configurare un numero chiuso. Infatti, è nella natura stessa degli strumenti urbanistici la necessità di adeguarsi non solo alla situazione di fatto determinatasi dall’intervento umano, ma anche al progresso delle tecniche conoscitive del territorio e all’aumentare delle competenze che rifluiscono in fase pianificatoria. E in questo senso, il Consiglio di Stato ha già riconosciuto la legittimità di tale evoluzione (si veda, in questo senso, Cons. di Stato, Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710 sulla plurifunzionalità della pianificazione urbanistica; Cons. di Stato, Sez. V, 24 aprile 2013 n. 2265, sulla tutela beni artistici all’interno del PRG; Cons. di Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36 sulla tutela ambientale all’interno del PRG; e Cons. di Stato, Sez. IV, 22 dicembre 2014, n. 6290, che individua i limiti di tale iter)” (Cons. di Stato, Sez. IV, 14 maggio 2015, n. 2453).

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