l principio costituzionale
L’art. 51 Cost., richiamandosi sotto il profilo sostanziale al principio di eguaglianza, nell’accesso «agli uffici pubblici e alle cariche elettive» enuncia – con una “norma programmatica” – che «a tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini» (introdotto in Costituzione dall’art. 1 della legge cost. n. 1 del 30 maggio 2003), esprimendo un principio di democrazia paritaria, contrario ad ogni atto discriminatorio fondato sul sesso (rectius genere), assicurando alle donne di accedere a condizioni di parità effettiva ai ruoli apicali del settore economico e politico, compresi tutti i processi decisionali pubblici.
Viene sancito il principio di parità di accesso alle cariche elettive e della sua obbligatoria promozione, che costituisce una naturale declinazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 della Costituzione, rilevando che la norma fa riferimento alla «Repubblica», implicando che l’impegno per le “pari opportunità” riguarda e coinvolge tutti i soggetti dell’ordinamento costituzionale.
In questo senso, alcuni ritengono sia superata la questione del carattere precettivo o programmatico della disposizione, in quanto essa funge da un lato, da copertura costituzionale per gli interventi del legislatore in materia, lasciandolo libero di scegliere mezzi e modalità dell’intervento e dall’altro, impegna all’esercizio del potere amministrativo in senso conforme e, quindi, ad adottare ogni misura ritenuta necessaria ad eliminare gli ostacoli al principio di parità di accesso alle cariche elettive.
L’art. 51 della Costituzione ha, dunque, valore di norma immediatamente vincolante e come tale idonea a conformare ed indirizzare lo svolgimento della discrezionalità amministrativa ponendosi rispetto ad essa quale parametro di legittimità sostanziale[1].
La disciplina nazionale
L’esigenza di tale promozione ha spinto il legislatore ad intervenire nella disciplina elettorale con una serie di norme protese a rendere concrete le “pari opportunità”:
- legge 12 luglio 2011, n. 120, Modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernenti la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati;
- legge 23 novembre 2012, n. 215, Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni;
- legge 22 aprile 2014, n. 65, Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, recante norme per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, in materia di garanzie per la rappresentanza di genere, e relative disposizioni transitorie inerenti alle elezioni da svolgere nell’anno 2014.
- legge 7 aprile 2014, n. 56, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (art. 1, comma 27, «Nelle liste nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento del numero dei candidati, con arrotondamento all’unità superiore qualora il numero dei candidati del sesso meno rappresentato contenga una cifra decimale inferiore a 50 centesimi»; art. 1, comma 71, «Nelle liste nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento del numero dei candidati, con arrotondamento all’unità superiore qualora il numero dei candidati del sesso meno rappresentato contenga una cifra decimale inferiore a 50 centesimi»; art. 1, comma 137, «Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico»).
- legge 15 febbraio 2016, n. 20, Modifica all’articolo 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165, recante disposizioni volte a garantire l’equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali (le modifiche attengono alla «promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive, disponendo che: 1) qualora la legge elettorale preveda l’espressione di preferenze, in ciascuna lista i candidati siano presenti in modo tale che quelli dello stesso sesso non eccedano il 60 per cento del totale e sia consentita l’espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso, pena l’annullamento delle preferenze successive alla prima; 2) qualora siano previste liste senza espressione di preferenze, la legge elettorale disponga l’alternanza tra candidati di sesso diverso, in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale; 3) qualora siano previsti collegi uninominali, la legge elettorale disponga l’equilibrio tra candidature presentate col medesimo simbolo in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale»);
- d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (art. 11, Organi amministrativi e di controllo delle società a controllo pubblico, comma 4 «Nella scelta degli amministratori delle società a controllo pubblico, le amministrazioni assicurano il rispetto del principio di equilibrio di genere, almeno nella misura di un terzo, da computare sul numero complessivo delle designazioni o nomine effettuate in corso d’anno. Qualora la società abbia un organo amministrativo collegiale, lo statuto prevede che la scelta degli amministratori da eleggere sia effettuata nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge 12 luglio 2011, n. 120»).
Il PNRR
Leggendo gli atti della Camera dei Deputati (Parità di genere, 25 maggio 2021) si comprende che sono state poste come centrali, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) trasmesso dal Governo al Parlamento il 25 aprile 2021, «le questioni relative al superamento delle disparità di genere… Il Piano infatti, individua la Parità di genere come una delle tre priorità trasversali perseguite in tutte le missioni che compongono il Piano. L’’intero Piano dovrà inoltre essere valutato in un’ottica di gender mainstreaming».
L’ordinamento locale
Le considerazioni che precedono trovano una loro collocazione precisa nel TUEL (d.lgs. n. 267/2000):
- nel comma 3, dell’art. articolo 6, Statuti comunali e provinciali, dove si impone che «gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125 (Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro), e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti».
- nel comma 2, dell’art. 46, Elezione del sindaco e del presidente della provincia – Nomina della giunta, dove «il sindaco e il presidente della provincia nominano, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della giunta, tra cui un vicesindaco e un vicepresidente, e ne danno comunicazione al consiglio nella prima seduta successiva alla elezione».
Si comprende dal tracciato normativo che nel caso in cui lo statuto di un Comune, riconosca formalmente la rilevanza del principio della “pari opportunità”, quale principio fondamentale dell’ordinamento, deve ritenersi illegittimo il decreto di nomina degli assessori – tutti di sesso maschile – della Giunta municipale ove, da una parte, non emerga, dalla relativa motivazione, che sia stata compiuta la necessaria attività istruttoria volta ad acquisire la disponibilità alla nomina di persone di sesso femminile, dall’altra, non sia stata esternata adeguata motivazione in ordine alle ragioni della mancata applicazione del principio delle “pari opportunità”, di cui all’art. 51 Cost.[2].
Il caso della Giunta regionale
Ciò posto, la sez. I, del TAR Marche, con la sentenza 8 luglio 2021. n. 557, interviene in un caso concreto, ritenendo legittima la nomina di una sola donna (ovvero, solo uomo) nella Giunta regionale in relazione al potere discrezionale del Presidente che trova (per Statuto) solo un limite nel garantire “la rappresentanza di entrambi i sessi”, senza definire un quantum percentuale.
La disciplina di riferimento
I motivi dei ricorrenti:
A. VIOLAZIONE:
- degli artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7/12/2000;
- del Preambolo Dichiarazione dei diritti umani ONU;
- della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979;
- degli artt. 2 e 3 del Trattato dell’Unione Europea;
- degli artt. 3, 49, 51, 97 e 117 della Costituzione Italiana;
- dell’art. 1, comma 4, del D.lgs. n. 198/2006 (codice delle pari opportunità fra uomo e donna);
- degli artt. 3 e 7 dello Statuto della Regione Marche.
B. BILANCIAMENTO DI GENERE:
- il criterio paritario tra donne e uomini (quindi, tre assessori femmine e tre assessori maschi) avrebbe dovuto garantire una presenza femminile più equilibrata con almeno due componenti;
- un c.d. minimo ragionevole e conforme a diritto, visto che il Presidente della Giunta Regionale è anch’esso uomo.
La questione di genere: un dato formale
Il Tribunale rigetta il ricorso secondo le seguenti motivazioni:
- la sentenza della Corte Cost. n. 81/2012 (citata dai ricorrenti anche a proprio favore), secondo cui gli assessori devono essere nominati (per statuto) «nel pieno rispetto del principio di un’equilibrata presenza di donne e uomini», impone una limitazione al libero apprezzamento del Presidente della Giunta regionale (della Campania) nella scelta degli assessori, stabilendo alcuni vincoli di carattere generale definiti dall’art. 51, primo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione;
- viceversa, lo Statuto della Regione Marche riporta la disposizione in modo diverso poiché la discrezionalità presidenziale viene delimitata «garantendo la rappresentanza di entrambi i sessi», senza imporre un “equilibrio numerico”, ossia un rapporto tra i due sessi: siamo in presenza di un «minor vincolo rispetto alla Regione Campania dove il Presidente è tenuto invece a garantire il “pieno rispetto del principio di un’equilibrata presenza di donne e uomini”».
In definitiva, il legislatore regionale ha inteso garantire la presenza di genere senza effettuare alcuna valutazione ponderale tra i due sessi, ritenendo sufficiente (nell’esercizio della sua autonomia politica/legislativa) la loro presenza indipendentemente dalle quote percentuali: «è quindi garantita anche dalla presenza di una sola donna (o di un solo uomo)».
I profili quantitativi o qualificativi
Vengono analizzati altri statuti regionali ove tale principio viene declinato in termini comparativi (quantitativi) e non solo sotto il profilo formale fermandosi a ritenere sufficiente la presenza di una sola componente dell’altro sesso: «La giustizia amministrativa che si occupò del caso Lombardia, ritenne che due soli assessori di genere (12,5%) non fossero sufficienti per “promuove il riequilibrio tra entrambi i generi”. Nella giunta regionale marchigiana un solo assessore di genere è invece sufficiente a garantire una quota maggiore (16,67%), pur a fronte di un vincolo che non impone l’equilibrio ma solo la rappresentatività».
Lo statuto regionale, in termini diversi, non affronta la questione sotto il profilo sostanziale limitandosi al profilo formale della presenza di genere, indipendentemente da ogni soglia o garanzia di equilibrio (aspetto qualitativo), mancando una norma che stabilisca quote minime di genere ma imponendo solo la rappresentatività, sicché non va nemmeno motivata la scelta di individuare un unico assessore di sesso diverso.
La promozione delle quote rosa
A ben vedere, se lo scopo delle norme costituzionali, e della relativa disciplina ordinaria, è quello di assicurare le c.d. “quote rosa”, appare evidente che la “promozione” non può limitarsi al dato formale della presenza pura e semplice del genere ma deve esprimere un dato qualitativo di rappresentanza che va necessariamente associato al dato quantitativo.
La tutela delle “pari opportunità” non può prescindere dal riequilibrio tra i generi nella composizione degli organi collegiali che ne costituiscono senz’altro espressione, dove – una volta garantito l’accesso – dovrà esserne garantita la composizione numerica: una percentuale che non può limitarsi alla mera presenza ma che tendenzialmente comporti la dimostrazione della parità di genere.
Una lettura costituzionalmente orientata
Pretendere di promuovere le «pari opportunità tra donne e uomini» e interpretare tale principio nella messa a disposizione di un solo posto per l’altro sesso, pur in presenza di una composizione numerica multipla, significa assecondare il valore etico dei diversi principi ad esso connesso, svilendo inesorabilmente il tessuto ordinamentale, eludendo la matrice di eguaglianza, specie in presenza di nomine politiche dove l’ethos ne caratterizza il fine, ed il fine non è discriminante per ragioni di sesso.
L’ordito normativo preclude che gli organi siano squilibrati nella rappresentanza di genere, assumendo un evidente deficit di rappresentanza democratica dell’articolata composizione del tessuto sociale e del corpo elettorale, risultando anche potenzialmente carenti sul piano della funzionalità, perché sprovvisti dell’apporto collaborativo del genere non adeguatamente rappresentato[3].
L’equilibrio di genere, come parametro conformativo di legittimità sostanziale dell’azione amministrativa, nato nell’ottica dell’attuazione del principio di eguaglianza sostanziale fra i sessi, viene così ad acquistare una ulteriore dimensione funzionale, collocandosi nell’ambito degli strumenti attuativi dei principi di cui all’art. 97 Cost.: il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa, dove l’equilibrata partecipazione di uomini e donne (col diverso patrimonio di umanità, sensibilità, approccio culturale e professionale che caratterizza i due generi) ai meccanismi decisionali e operativi di organismi esecutivi o di vertice diventa nuovo strumento di garanzia di funzionalità, maggiore produttività, ottimale perseguimento degli obiettivi, trasparenza ed imparzialità dell’azione pubblica[4].
In questo habitus mentale e giuridico non può ritenersi che il precesso sia assolto quando non viene raggiunto l’obiettivo programmato, quando la norma rimane vuota, quando la “parità di genere” non fa alcuna differenza e risulta del tutto avulsa dal contesto, indifferente al diritto, la presenza di entrambi i sessi senza alcuna tendenziale equivalenza se normativamente può essere immune da censura, di fatto non assolve il principio di riferimento, rimanendo un’espressione di intenti lodevoli ma inutili e lontani dal presente.
[1] TAR Campania, Napoli, sez. I, 7 giugno 2010, n. 12668.
[2] TAR Umbria, sez. I, 20 giugno 2012, n. 242. È illegittimo il provvedimento con cui il Sindaco di un Comune ha disposto la nomina di due nuovi assessori, senza tener conto di quanto previsto dall’art. 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014, ove non risulti alcuna istruttoria tesa a verificare l’impossibilità del rispetto della suddetta percentuale, né dall’atto sindacale di nomina si evinca una qualche ragione per la quale il Sindaco ha ritenuto di potersi discostare dal suddetto parametro normativo, Cons. Stato, sez. V, 5 ottobre 2015, n. 4626. È illegittimo, per omesso rispetto delle norme in materia di pari opportunità, il decreto del Sindaco di nomina degli assessori, tutti di sesso maschile, nel caso in cui non sia stata compiuta la necessaria attività istruttoria volta ad acquisire la disponibilità alla nomina di persone di sesso femminile, a nulla rilevando il fatto che il Sindaco abbia ricevuto la rinuncia all’incarico di assessore da parte della consigliera comunale eletta nel seno della maggioranza, non potendo tale circostanza determinare da sola, in sostanza, l’esonero tout court del capo dell’Amministrazione comunale dall’obbligo di nomina di assessori di sesso femminile, TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 9 gennaio 2015, n. 3.
[3] TAR Lazio, Roma, sez. II, 25 luglio 2011, n. 6673.
[4] TAR Lazio, Roma, sez. I, 22 aprile 2021, n. 4706.
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