13/11/2019 – Il riconoscimento del giudice della quota di riserva non rispettata nel concorso pubblico rende nulli i rapporti di lavoro stipulati medio tempore

Il riconoscimento del giudice della quota di riserva non rispettata nel concorso pubblico rende nulli i rapporti di lavoro stipulati medio tempore
di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone
Dopo essere stati assunti a fronte della graduatoria stilata da un ente pubblico, alcuni dei vincitori assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato secondo l’ordine della graduatoria definitiva formata all’esito delle operazioni concorsuali, sono stati immediatamente dichiarati decaduti a seguito della sentenza con la quale il Tribunale e, successivamente la Corte di Appello, hanno riconosciuto il diritto all’assunzione di alcuni riservatari, i quali avevano agito in giudizio, promosso anche nei confronti degli attuali vincitori e di altri controinteressati, lamentando la lesione della quota di riserva prevista in favore degli “articolisti” e degli LSU. Avvero la decisione dell’ente locale di inclusione dei riservatari, ha presentato ricorso uno dei vincitori estromessi che, con atto dell’ente, è stato dichiarato decaduto in presenza di un rapporto affetto da nullità, in quanto si era in presenza di contratti stipulati con soggetti privi dei requisiti necessari per l’instaurazione del rapporto di impiego. Sia il Tribunale, che successivamente la Corte di Appello, hanno rigettato la domanda di reintegrazione del vincitore estromesso, a nulla rilevando le doglianze dell’appellato riguardo alla non definitività della sentenza della Corte di Appello che aveva riconosciuto il diritto dei riservisti ad essere assunti, in quanto ai sensi dell’art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001, il giudice ordinario può pronunciare nei confronti della Pubblica Amministrazione sentenze di condanna anche in relazione ad obblighi di facere ed in tal caso la decisione è immediatamente esecutiva. Inoltre, la Corte di Appello ha riconosciuto valido il provvedimento del dirigente trattandosi di atto di gestione del rapporto di lavoro.
Il dipendente estromesso, non soddisfatto delle motivazioni della sentenza di appello, ha proposto ricorso in Cassazione, ribadendo la necessità della definitività della sentenza mediante il suo passaggio in giudicato in quanto, l’anticipazione in via provvisoria non è consentita rispetto a pronunce costitutive, le quali possono produrre effetto stabile solo dopo aver acquisito definitività. Inoltre, l’effetto estintivo del rapporto di lavoro si può produrre solo a seguito di una pronuncia giudiziale che accerti la violazione delle regole sostanziali o procedurali sulle assunzioni e che conseguentemente annulli il contratto stipulato in violazione di legge, mentre nel caso di specie la sentenza aveva ad oggetto il solo diritto all’assunzione dei riservatari e non riguardava i contratti in corso con i lavoratori assunti. Inoltre, secondo la prospettazione della difesa, la domanda di disapplicazione dell’atto amministrativo produce effetti solo nei confronti di chi l’ha proposta con la conseguenza che l’atto, se non revocato o modificato dall’autorità amministrativa, continua ad essere esistente ed efficace, con la conseguenza che, non avendo l’ente annullato la graduatoria, nessun effetto sfavorevole poteva discendere in capo al ricorrente dalla sentenza del Tribunale sia perché quest’ultima non era passata in giudicato, sia in quanto in quel giudizio si discuteva solo dell’assunzione dei riservisti e non anche della nullità del rapporto di lavoro. Infine, secondo il ricorrente il recesso può attuarsi unicamente nella duplice forma del licenziamento intimato dal datore di lavoro ovvero delle dimissioni rassegnate dal lavoratore e, pertanto, nessun effetto poteva spiegare la violazione della norma imperativa.
La conferma della Cassazione
I giudici di Piazza Cavour evidenziano, in via preliminare, come il giudice di legittimità ha da sempre affermato che nell’impiego pubblico contrattualizzato, poiché alla stipula del contratto di lavoro si può pervenire solo a seguito del corretto espletamento delle procedure concorsuali previste dall’art. 35, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 165/2001 o, per le qualifiche meno elevate, nel rispetto delle modalità di avviamento di cui al combinato disposto del richiamato art. 35, comma 1, lett. b) e degli artt. 23 e seguenti del D.P.R. n. 487/1994, la mancanza o l’illegittimità delle richiamate procedure si traduce in un vizio genetico del contratto, affetto, pertanto, da nullità, che l’amministrazione, in quanto tenuta a conformare il proprio comportamento al rispetto delle norme inderogabili di legge, può fare unilateralmente valere, perché anche nei rapporti di diritto privato il contraente può rifiutare l’esecuzione del contratto nei casi in cui il vizio renda il negozio assolutamente improduttivo di effetti giuridici. Nel caso di specie, pertanto, il mancato rispetto delle quote di riserva, imposte per legge, rende invalida la graduatoria dei vincitori che di dette quote non abbia tenuto conto e determina la nullità del contratto di lavoro stipulato con un aspirante all’assunzione non ricompreso nella categoria protetta nei casi in cui il posto di lavoro doveva essere assegnato ad un riservatario. D’altra parte, la regola che impone l’individuazione del contraente sulla base di una graduatoria formulata all’esito della procedura concorsuale nel rispetto dei criteri imposti dalla legge e dal bando, seppure non direttamente attinente al contenuto delle obbligazioni contrattuali, si riflette necessariamente sulla validità del negozio, perché individua un requisito che deve imprescindibilmente sussistere in capo al contraente, infatti, ove si consentisse lo svolgimento del rapporto con soggetto privo del requisito in parola, si finirebbe per porre nel nulla la norma inderogabile, posta a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione, secondo la Consulta, deve essere costantemente orientata l’azione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici. In tale contesto è errata l’affermazione del ricorrente secondo cui le sentenze con le quali il giudice riconosce «il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro (art. 63, comma 2, del D.Lgs. 165/2001) con la conseguenza che si sarebbe in presenza di un vizio di annullabilità e non di nullità. Infatti, secondo la Cassazione, è proprio l’automatica derivazione della “estinzione” dall’accertamento della violazione delle norme inerenti l’assunzione che finisce per smentire la riconducibilità del vizio all’azione di annullamento, confermando che appunto di nullità si tratta, perché solo quest’ultima può operare d’ufficio e per il solo fatto dell’accertata violazione della norma inderogabile, richiedendo l’annullamento per errore ulteriori presupposti (la domanda della parte legittimata e, soprattutto, la riconoscibilità dell’errore), dai quali, invece, il legislatore ha voluto prescindere nel prevedere un’automatica incidenza della pronuncia sulle sorti del rapporto. D’altra parte, precisa la Cassazione, la disposizione legislativa si riferisce a tutte le assunzioni, ossia anche a quelle per le quali il D.Lgs. n. 165/2001 o le norme speciali prevedono nullità testuali, sicché della stessa deve essere fornita un’interpretazione che la renda coerente con i principi generali richiamati.
In conclusione, bene ha fatto la Corte di Appello ha ritenere affetto da nullità il contratto di lavoro stipulato con il ricorrente, atteso che il mancato rispetto della quota di riserva incide sulla legittimità della graduatoria formata all’esito della procedura concorsuale al pari delle disposizioni che attengono alla valutazione dei candidati, perché induce quale effetto l’individuazione di un “vincitore” che tale non poteva essere, essendo il posto allo stesso assegnato destinato ad essere ricoperto da un riservatario. Infine, la sentenza impugnata non merita censura anche nella parte in cui ha escluso che il diritto del ricorrente ad essere mantenuto in servizio potesse fondarsi sulla condotta tenuta dall’ente nel lungo periodo di tempo nel quale lo stesso risultava vincitore, giacché valgono al riguardo le considerazioni già espresse sull’inderogabilità dell’art. 35 del D.Lgs. n. 165/2001 e sulle conseguenze della sua violazione.

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