13/05/2016 – Renzi e la mozione di fiducia: debolezza e arroganza di un leader

Renzi e la mozione di fiducia: debolezza e arroganza di un leader

di Salvatore Sfrecola

 

Straordinaria vignetta di Giannelli oggi sul Corriere della Sera dal titolo Peccati Democratici con Renzi che confessa ad un sacerdote, che ha le sembianze di Mattarella, “non ho resistito alla tentazione di chiedere la fiducia”. Il Presidente-confessore lo interroga: “quante volte figliolo? Quante volte?”. Tante, viene da dire a noi osservatori, troppe in una democrazia parlamentare nella quale il Governo resta in carica fino a quando gode della fiducia delle Camere. Fiducia nel programma di Governo “che ha già avuto una investitura elettorale” (Manzella). Bastano queste poche parole di uno dei massimi studiosi del Parlamento per rendere evidente che siamo fuori dalle regole costituzionali. Infatti il provvedimento oggetto della mozione di fiducia non faceva parte del programma del governo sul quale a suo tempo si sono espresse le Camere e il Governo non ha avuto sul punto una investitura elettorale.

Si comprende, dunque, la vivace polemica delle opposizioni ed i “mal di pancia” di parti significative della maggioranza in quanto l’anomalia, gravissima, di un voto di fiducia su un provvedimento che non è di iniziativa del governo, altera il ruolo dello strumento usato, attraverso il quale i governi ricompattano la loro maggioranza attraverso un voto su un provvedimento qualificante del programma che ha lo scopo di verificare che permanga il consenso che ne giustifica l’esistenza.

Con il ricorso improprio alla mozione di fiducia il Presidente del Consiglio ha voluto forzare la mano dei parlamentari della sua maggioranza, nonostante questa sia numerosissima e quindi capace di affrontare il voto anche senza bisogno della pressione del voto di fiducia. Che, in realtà, dà dimostrazione della “sfiducia” del Premier Segretario del Partito Democratico nella sua maggioranza, un segnale di debolezza considerato anche che Renzi aveva promesso di liberare i suoi parlamentari dal vincolo di partito trattandosi, nella specie, del voto su un provvedimento eticamente rilevante e significativo.

L’uso della forza, come insegna la storia, non solamente parlamentare, quando non necessaria è quasi sempre dimostrazione di debolezza. Chi ha la forza dei numeri, come in questo caso, non dovrebbe ricorrere ad uno strumento che ha come unico effetto quello di strozzare il dibattito parlamentare, evitando qualunque confronto di idee. Una scelta pensata per un esecutivo che teme di non godere più del consenso necessario per continuare a governare. Accade invece che da alcuni anni si sia abusato del ricorso al voto di fiducia, abuso al quale ha fatto ampio ricorso l’attuale Presidente del consiglio. In questo modo si delinea una trasformazione della Repubblica parlamentare incentrandosi di fatto ogni iniziativa legislativa rilevante nel governo anche quando la proposta nasce da un parlamentare. È una grave lesione del principio (art. 70 Cost.) secondo il quale la “funzione legislativa” è esercitata dalle Camere, tanto più grave quando viene esercitata in presenza di una maggioranza rilevante come in questo momento alla Camera a favore del governo Renzi. Al voto di fiducia si sono affidati anche governi precedenti, ma in casi più contenuti e sempre per provvedimenti d’iniziativa governativa. Anche il governo Berlusconi era stato criticato per il ricorso alla mozione di fiducia, avendo quel governo la più ampia maggioranza parlamentare della storia repubblicana. Ma quella maggioranza, di nominati e scelti senza attenzione all’esperienza ed al merito, era a tratti inaffidabile. Ed è quello che accade oggi. Per cui il premier mostra i muscoli. E se si considera che questo comportamento è posto in essere da chi si è fatto promotore della riforma costituzionale che di fatto concentra direttamente o indirettamente nel governo, anche quale effetto dell’Italicum, un porcellum elettorale riveduto e corretto, ampi poteri di legislazione e di gestione c’è da temere per la democrazia parlamentare che può piacere o no ma è senza dubbio la sola che assicura una adeguata rappresentanza al popolo.

Al riguardo sono state particolarmente puntuali alcune considerazioni di Monsignor Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti e Vasto, il quale, in una intervista alCorriere della Sera di oggi, a proposito del voto di fiducia sulla legge sulle unioni civili, ha affermato esplicitamente che “la democrazia è tale se su tutte le questioni – ma specialmente su quelle che hanno uno spessore etico e ricadute sociali e culturali – c’è la possibilità di portare e discutere tutti gli argomenti, pro e contro, e valutarli in un dibattito libero e aperto”. E alla osservazione di Gian Guido Vecchi, che lo ha intervistato, secondo il quale “se ne discuteva da anni”, il prelato risponde “vero, ma è proprio nel momento in cui si arriva al voto che tutti hanno il sacrosanto diritto di esprimersi. Mi pare scorretto, tanto più in questo caso: sui temi etici le posizioni sono trasversali rispetto agli schieramenti. Se si vuole ricompattare con un sì o con un no, si fa un danno a tutti”.

E trasversali erano le opinioni dei parlamentari sulla riforma costituzionale, essendo in discussione ipotesi diverse, tratte dalla dottrina costituzionalista e dall’esperienza di altri paesi. Esempi sempre da tenere presenti sia pure considerate le diversità storiche e antropologiche dei vari popoli. Non si è voluto discutere e chi si è opposto non ha avuto risposte ma spesso solamente insulti, dall’epiteto di “professoroni” affibbiate da Maria Elena Boschi ai vari Zagrebelsky, Rodotà, Gallo e Azzariti, alla qualificazione di “archeologi” dallo stesso Renzi attribuita loro in quanto presunti fedeli del Codice di Hammurabi. Certo lui non lo ha letto. Ma è già un fatto positivo che ne abbia sentito parlare.

12 maggio 2016

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto