12/06/2019 – La Corte costituzionale si pronuncia in materia di competenze amministrative delle Province

La Corte costituzionale si pronuncia in materia di competenze amministrative delle Province

di Paolo Carbone – Avvocato
La Corte Costituzionale torna ad occuparsi della questione delle Province e delle problematiche che sono derivate dalle riforme istituzionali avvenute negli ultimi anni.
Senza volontà di fornire una panoramica esaustiva, si ritiene comunque opportuno ripercorrere le principali tappe della travagliata storia di questi enti.
Istituzione storica derivante dalla Monarchia sabauda e subito introdotte all’Unità d’Italia, le Province hanno dato prova, insieme ai Comuni, di una buona gestione dei problemi delle comunità locali, in settori di grande rilevanza per i cittadini soprattutto al di fuori delle grandi realtà urbane, quali la gestione delle strade, dell’edilizia scolastica, del trasporto pubblico sovracomunale, dei rifiuti, ecc.
Eppure nel corso degli ultimi dieci anni sono state dapprima additate come fonte di spreco e di cattiva gestione e successivamente sacrificate sull’altare di una presunta semplificazione burocratico-amministrativa che, alla prova dei fatti, ha sortito l’effetto esattamente contrario, privando molte realtà territoriali di servizi e prestazioni di grande rilevanza.
Con L. 7 aprile 2014 n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e le fusioni di Comuni), il legislatore ha provveduto ad un complessivo riassetto della geografia istituzionale, riducendo le Province (passate da 107 a 97, in quanto 10 sono state trasformate in Città Metropolitane) ad “enti di area vasta” depotenziate e prive delle loro storiche competenze, che venivano dunque ridotte ad un numero di funzioni fondamentali (di cui all’art. 1, comma 85). Ciò in vista di una ridefinizione complessiva che era collegata all’approvazione della riforma costituzionale approvata nella XVII legislatura, successivamente bocciata dall’esito del referendum del 4 dicembre 2016. Proprio la mancata approvazione di tale riforma ha dunque aperto tutta una serie di problematiche giuridiche, organizzative e gestionali che hanno richiesto interventi della Corte Costituzionale.
Gli ultimi sviluppi legislativi della vicenda che è oggetto di frequentissimi interventi da parte dell’Unione delle Province Italiane, sono rappresentati dal D.L. n. 91 del 2018 (proroga termini) con cui si è istituito un tavolo tecnico-politico con il compito di definire le linee guida per una revisione organica della disciplina di province e città metropolitane. Il tavolo tecnico si è riunito la prima volta il 10 gennaio 2019.
Passiamo ora a trattare la vicenda che ha dato origine alla sentenza in commento.
La questione di legittimità costituzionale investe la L.R. Toscana 3 marzo 2015, n. 22, recante «Riordino delle funzioni provinciali e attuazione della L. 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province e sulle unioni e fusioni di comuni), nella parte in cui attribuisce alla Regione le funzioni, già esercitate dalle Province, in materia di rifiuti e bonifica dei siti inquinati.
Il giudizio durante il quale era stata sollevata la questione di legittimità costituzionale era stato intentato di fronte al TAR Toscana dalla Provincia di Grosseto che aveva impugnato un regolamento regionale contenente disposizioni per l’esercizio delle funzioni autorizzatorie regionali in materia ambientale, in attuazione delle menzionate leggi regionali – e la nota della Direzione Ambiente ed energia della Regione Toscana del 15 settembre 2017, avente ad oggetto «Funzioni trasferite alla Regione – Sanzioni amministrative». Di tali atti, l’ente ricorrente aveva chiesto l’annullamento per violazione di legge, deducendo, sotto diversi profili, l’illegittimità costituzionale delle disposizioni regionali che ne fungevano da presupposto.
A giudizio del TAR sarebbero costituzionalmente illegittime le norme regionali nella parte in cui attribuiscono alla Regione alcune competenze già esercitate dalle Province ai sensi del codice dell’ambiente (bonifica e monotiraggio siti, gestione, intermediazione, commercio rifiuti, ecc.).
Sussisterebbe, infatti, da un lato, una violazione dell’art. 117, comma 2, lett p) in quanto gli interventi legislativi regionali incidevano sulle funzioni fondamentali delle Province, la cui modifica è riservata alla potestà legislativa dello Stato, come previsto dalla L. n. 56 del 2014 e dall’altro, dell’art. 117, comma 2, lett. s), Cost., posto che le norme impugnate riguarderebbero la competenza legislativa dello Stato in materia di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, funzioni che, per effetto del codice dell’ambiente, sono riservate alle Province.
Opposta è la tesi sostenuta dalla Regione, secondo la quale la scelta di allocare presso di sé le funzioni già attribuite alle Province in materia di gestione dei rifiuti doveva essere valutata nel contesto della L. n. 56 del 2014, che aveva disciplinato il nuovo modello ordinamentale delle Province. Secondo la tesi della Regione, infatti, la legge statale aveva ristretto il numero delle “funzioni fondamentali” delle Province, includendovi anche le funzioni di tutela e valorizzazione dell’ambiente, ma limitatamente «agli aspetti di competenza». E di queste attribuzioni occorre dare un’interpretazione riduttiva, posto che lo spirito del legislatore era quello di dettare una disciplina transitoria in attesa della soppressione dell’ente Provincia che sarebbe dovuto avvenire in caso di approvazione della riforma costituzionale del 2016.
Ebbene, la Corte Costituzionale ritiene fondate nel merito le censure di costituzionalità.
La Corte parte dall’analisi dell’art. 117, comma 2, lett s), Cost. in ragione del quale lo Stato ha la competenza legislativa esclusiva nella materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”. Sostiene infatti la Consulta come tale materia interferisce anche con altri settori e competenze, sulle quali rientra anche la Regione, ma la disciplina fissata dallo Stato riveste carattere di trasversalità rispetto alle attribuzioni regionali.
Ciò riguarda in modo particolare, le disposizioni di natura organizzativa con le quali lo Stato alloca le funzioni amministrative in materia di tutela dell’ambiente. Anche le disposizioni di natura organizzativa, pertanto, quantunque prive di carattere sostanziale, integrano quei “livelli di tutela uniforme” che non ammettono deroga da parte del legislatore regionale.
Pertanto, esse fungono da limite alla normativa delle Regioni, le quali devono mantenere la propria legislazione nell’ambito dei vincoli posti dal legislatore statale, e non possono derogare al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, in modo tale da determinarne un affievolimento o una minore efficacia.
Il codice dell’ambiente (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), adottato, sulla base del riparto di competenze di cui all’art. 117, comma 2, lett. s), Cost., con legge statale, contiene diverse disposizioni di natura organizzativa, suddividendo le competenze tra i diversi enti locali. In particolare, ai sensi degli artt. 196 e 197 cod. ambiente, si individuano, tra le altre, alle Province le funzioni in materia di “il controllo periodico su tutte le attività di gestione, di intermediazione e di commercio dei rifiuti» (art. 197, comma 1, lett. b), nonché “il controllo e la verifica degli interventi di bonifica ed il monitoraggio ad essi conseguente» (art. 197, comma 1, lett. a)”.
Su tale impianto normativo in cui le Province avevano, dunque, un ruolo primario e una funzione sancita dal TU n. 267 del 2000 è intervenuta la L. n. 56 del 2014 che ha ridefinito completamente l’Ente provinciale in attesa della loro soppressione che avrebbe dovuto avvenire con la riforma costituzionale del 2016.
Secondo la tesi prospettata dall’Organo remittente, la mancata approvazione della riforma avrebbe determinato in sé e per sé una decadenza della stessa L. n. 56 del 2014. Tale argomentazione viene ritenuta infondata dalla Corte Costituzionale, la quale, al contrario, ha ritenuto “che non vi sono elementi per negare la perdurante vigenza, nell’ordinamento degli enti locali, dell’assetto delle funzioni delle Province tracciato dalla L. n. 56 del 2014“.
In questo senso, dunque, vengono richiamati alcuni precedenti (sentenze n. 50 del 2015 e 143 del 2016) nei quali è stato precisato che la L. n. 56 del 2014 “conserva piena efficacia quanto al dettagliato meccanismo di determinazione delle intere funzioni» delle Province, che continuano ad esistere quali enti territoriali «con funzioni di area vasta», ed «ha solo determinato l’avvio della nuova articolazione di enti locali, al quale potranno seguire più incisivi interventi di rango costituzionale”.
Pertanto, chiarita la vigenza della L. n. 56 del 2014, resta da considerare l’argomentazione sostenuta dalla Regione secondo la quale l’art. 1, comma 89 della suddetta legge introdurrebbe un meccanismo di delegificazione per cui sulla scorta di DPCM adottati previo parere della Conferenza Stato – Regioni, si adottano dei criteri generali per l’assegnazione a Comuni/Regioni di funzioni già spettanti alle Province. Si determina, così una sorta di delega agli atti regionali delle funzioni provinciali diverse da quelle fondamentali.
La prospettazione evidenziata dalla difesa regionale non trova, tuttavia, accoglimento nella sentenza della Corte, secondo la quale se “con riferimento ad altre competenze amministrative in materia ambientale, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, conseguente all’accordo in Conferenza unificata, ha lasciato spazio all’attività legislativa ed amministrativa regionale, altrettanto non può dirsi per le funzioni contemplate dalle norme impugnate, che il cod. ambiente riserva espressamente alle amministrazioni provinciali”.
Infatti, le norme contenute nel codice dell’ambiente, per espressa previsione legislativa, possono essere “derogate, modificate o abrogate solo per dichiarazione espressa da successive leggi della Repubblica”, con la conseguenza che né interventi legislativi regionali, né decreti amministrativi in recepimento di intese intervenute in sede di Conferenza Unificata possono derogare alla suddetta riserva di legge.
Di qui la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, con la conseguenza che le disposizioni della Regione Toscana che assegnano alla Regione funzioni amministrative già attribuite alle Province dal codice dell’ambiente, si pongono in contrasto con le disposizioni di cui all’art. 117, lett. s), Cost..

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