12/04/2016 – L’intesa per i nuovi comparti e le prospettive del rinnovo dei contratti

L’intesa per i nuovi comparti e le prospettive del rinnovo dei contratti

di Arturo Bianco

Con la definizione della ipotesi di contratto nazionale per i nuovi comparti sono quasi completati gli adempimenti preliminari necessari per l’avvio delle trattative per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro per il triennio 2016/2018. Ma in termini sostanziali mancano molti tasselli fondamentali, per cui non si può realisticamente fissare una data presuntiva per l’entrata in vigore dei nuovi contratti. Ricordiamo che la scadenza degli ultimi è avvenuta il 31 dicembre 2009, per cui da oltre 6 anni i dipendenti pubblici sono privi del contratto nazionale.

Sul terreno degli adempimenti formali manca solamente il DPCM previsto dalla legge si stabilità con cui sono fissati i tetti massimi degli oneri per i rinnovi contrattuali nelle amministrazioni pubbliche diverse da quelle statali, a partire dai comuni e dalle regioni.

In termini sostanziali occorre attendere l’aumento delle risorse messe a disposizione e la emanazione dei decreti attuativi della legge n. 124/2015, cd riforma Madia, in materia di dirigenza e di riforma del lavoro pubblico.

L’IPOTESI DEI NUOVI COMPARTI

Lo scorso 4 aprile è stata firmata tra l’Aran e le organizzazioni sindacali la “Ipotesi di contratto collettivo nazionale quadro per la definizione dei comparti e delle aree di contrattazione collettiva nazionale (2016-2018)”. E’ necessario raggiungere questo accordo a seguito della riduzione a 4 dei comparti di contrattazione del personale e della aree della dirigenza previste dal D.Lgs. n. 150/2009, cd legge Brunetta, che rinvia alla contrattazione collettiva la definizione degli stessi. La intesa, per potere diventare definitiva, deve essere approvata dai comitati di settore, autorizzata da parte del Governo ed essere verificata da parte della Corte dei Conti. 

Con una dichiarazione congiunta allegata alla intesa è detto che “le parti concordano sulla necessità di un confronto ed una riflessione congiunta sui modelli di relazione sindacali nel lavoro pubblico al fine di delineare percorsi evolutivi ed innovativi di revisione degli stessi”.

I NUOVI COMPARTI 

I quattro comparti sono i seguenti per il personale: Comparto delle Funzioni centrali; Comparto delle Funzioni locali; Comparto dell’Istruzione e della ricerca; Comparto della Sanità. La stessa ripartizione, come aree, è disposta anche per la dirigenza pubblica.

Nel comparto delle funzioni locali entrano i dipendenti delle seguenti amministrazioni: Regioni a statuto ordinario e Enti pubblici non economici dalle stesse dipendenti; Province, Città metropolitane, Enti di area vasta, Liberi consorzi comunali di cui alla legge 4 agosto 2015, n. 15 della regione Sicilia; Comuni; Comunità montane; ex Istituti autonomi per le case popolari comunque denominati; Consorzi e associazioni, incluse le Unioni di Comuni; Aziende pubbliche di servizi alla persona (ex IPAB), che svolgono prevalentemente funzioni assistenziali; Università agrarie ed associazioni agrarie dipendenti dagli enti locali; Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura; Autorità di bacino, ai sensi della legge 21 ottobre 1994, n. 584.

Per la dirigenza è prevista che nelle funzioni locali sono compresi anche i segretari comunali e provinciali ed i dirigenti amministrativi, tecnici e professionali delle amministrazioni del comparto Sanità.

Come si vede non cambia sostanzialmente nulla per il personale dei comparti funzioni locali e sanità.

Per rendere meno traumatico il passaggio ai 4 comparti viene espressamente previsto che il contratto nazionale “è costituito da una parte comune, riferita agli istituti applicabili ai lavoratori di tutte le amministrazioni afferenti al comparto o all’area e da eventuali parti speciali o sezioni, dirette a normare  taluni peculiari aspetti del rapporto di lavoro che non siano pienamente o immediatamente uniformabili o che necessitino di una distinta disciplina. Le stesse possono anche disciplinare specifiche professionalità che continuino a richiedere, anche nel nuovo contesto, una peculiare  regolamentazione”.

A fini di rappresentatività delle organizzazioni sindacali, queste per i comparti “Funzioni centrali” e “Istruzione e Ricerca” possono entro 30 giorni “dar vita, mediante fusione, affiliazione o in altra forma, ad una nuova aggregazione associativa cui imputare le deleghe delle quali risultino titolari, purché il nuovo soggetto succeda effettivamente nella titolarità delle deleghe che ad esso vengono imputate”. La ratifica da parte degli organismi statutari di tali organizzazioni può intervenire anche entro il 31 dicembre 2017. Non vi sono conseguenze sulle RSU attualmente in carica.

LE PROSPETTIVE

Le risorse messe a disposizione dalla legge di stabilità, cioè 300 milioni di euro, sono giudicate come largamente insufficienti da parte delle organizzazioni sindacali. Esse sembrano consentire un aumento lordo, comprensivo di Irap ed oneri riflessi, di circa 5 euro mensili. Per la quantificazione precisa di tali aumenti negli enti locali e nelle regioni è attesa la emanazione di uno specifico DPCM. Si ricorda che gli oneri aggiuntivi peri rinnovi contrattuali sono a carico delle singole amministrazioni e che, di conseguenza, esse devono prevedere nei bilanci preventivi il finanziamento, con un aumento degli oneri per il personale. Ricordiamo che tali costi maggiori vanno in deroga al tetto di spesa su cui effettuare il confronto per dimostrare il non superamento degli oneri quantificati come valore medio nel triennio 2011/2013, per come previsto dal comma 557 quater della legge n. 296/2006. Aggiungiamo che il legislatore non prevede una decorrenza precedente allo scorso 1 gennaio 2016 per l’entrata in vigore dei nuovi aumenti.

Sulla base delle previsioni della legge n. 124/2015, cd riforma Madia, è prevista la emanazione di uno o più decreti legislativi attuativi in materia di lavoro pubblico entro 18 mesi dalla approvazione della stessa, cioè entro la metà del mese di febbraio del 2017. I principi guida di tale delega sono fissati dall’articolo 17, lettera h) e tra essi sono previsti i seguenti: “concentrazione delle sedi di contrattazione integrativa, revisione del relativo sistema dei controlli e potenziamento degli strumenti di monitoraggio sulla stessa ..; definizione delle materie escluse dalla contrattazione integrativa anche al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito e la parità di trattamento tra categorie omogenee, nonchè di accelerare le procedure negoziali”.

Dal che sembra doversi trarre una valutazione di non opportunità del rinnovo dei contratti nazionali in assenza della adozione di questo provvedimento. Ricordiamo che il termine fissato dal legislatore è di 18 mesi dalla entrata in vigore della legge (cioè la metà del mese di febbraio del 2017), ma che il Governo è impegnato alla sua adozione entro l’estate

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