05/07/2016 – Incarichi non autorizzati: dipendente salvato dal giudice del lavoro ma condannato dai giudici contabili

Incarichi non autorizzati: dipendente salvato dal giudice del lavoro ma condannato dai giudici contabili

V. Giannotti (La Gazzetta degli Enti Locali 4/7/2016)

Il caso riguarda un dipendente pubblico che aveva svolto incarichi esterni in mancanza della preventiva autorizzazione della propria amministrazione e, a seguito della scoperta delle citate attività extraistituzionali, l’amministrazione di appartenenza aveva intimato alla dipendente la restituzione di tutte le somme percepite in difetto della citata preventiva autorizzazione. A seguito dell’opposizione da parte della dipendente, alla restituzione delle citate somme richieste, il Giudice del lavoro con sentenza, passata in giudicato, ha disposto la revoca del provvedimento opposto, dichiarando che la dipendente nulla doveva restituire all’amministrazione pubblica, considerato che l’autorizzazione deve essere richiesta all’Amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti, pubblici o privati, che intendono conferire l’incarico, diretti destinatari del descritto obbligo, rimanendo ferma la possibilità per il lavoratore interessato di richiedere in prima persona la prevista autorizzazione, configurandosi tuttavia la medesima scelta come una semplice facoltà, con il corollario che il dipendente ben può restare completamente inerte. Nonostante la sentenza del giudice ordinario, ormai divenuta definitiva, in quanto non opposta dall’Amministrazione, sulla stessa questione è intervenuto il giudice contabile ed in particolare la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Piemonte, con la sentenza n. 226 depositata in data 28 giugno 2016.

Sulla competenza esclusiva del giudice contabile

Il Collegio contabile precisa come in materia di incarichi svolti e non autorizzati, la competenza sia del giudice contabile, in quanto trattasi di azione risarcitoria discendente dall’applicazione della normativa di cui all’art.1, comma 60, della legge 662/1996 e art. 53, comma 7, del d.lgs n. 165 del 2001. Sulla questione della competenza, in specifico regolamento preventivo di giurisdizione, si è espressa la Corte di Cassazione a Sezione Unite, con l’ordinanza n.22688 del 02/11/2011. I Giudici di Palazzo Cavour avevano in tale occasione modo di stabilire precisi principi di correttezza da parte del dipendente pubblico in quanto la normativa è:

  • Indirizzata a fornire specifiche prescrizioni chiaramente strumentali al corretto esercizio delle mansioni, in quanto preordinate a garantirne il proficuo svolgimento attraverso il previo controllo dell’Amministrazione sulla possibilità, per il dipendente, d’impegnarsi in un’ulteriore attività senza pregiudizio dei compiti d’istituto;
  • la loro violazione può essere pertanto addotta come fonte di responsabilità amministrativa capace di radicare la giurisdizione della Corte dei conti;
  • una conclusione del genere non suscita alcun dubbio di legittimità costituzionale, perché contribuisce ad assicurare il buon andamento degli uffici, non distoglie i dipendenti dal suo giudice naturale (che per quanto riguarda la responsabilità amministrativa è, per l’appunto, la Corte dei conti) e non li sottopone ad alcuna irragionevole disparità di trattamento rispetto ai lavoratori privati che, in quanto estranei all’amministrazione, non si trovano nella medesima posizione di quelli pubblici.

Precisa il Collegio contabile come, a seguito della citata autorevole pronuncia della Suprema Corte, il legislatore sia intervenuto introducendo, con la legge 190/2012, il comma 7-bis all’art.53 del d.lgs. 165 del 2001, secondo cui “L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”. In altri termini, ciò che prima veniva effettuato in via interpretativa, oggi è stabilito in via diretta dalla legge, senza che ciò abbia mutato la competenza che è e resta radicata nel giudice contabile. D’altra parte, continua il Collegio contabile, le disposizioni legislative introducono una chiara distinzione tra incarichi oggetto di conferimento effettuato direttamente dall’amministrazione e l’autorizzazione che viene riferita, in generale, all’esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche che svolgano attività d’impresa o commerciale.

Le indicazioni della giiurisprudenza contabile

Evidenzia il Collegio contabile, come la stessa giurisprudenza contabile ha avuto modo di precisare che il generale regime autorizzatorio, a cui sottostanno anche le categorie di pubblici dipendenti non privatizzati (magistrati, militari, polizia, diplomatici, prefetti etc.), ha una evidente e condivisibile ratio sia civilistica-lavoristica che pubblicistica: consentire al datore di valutare la compatibilità di tale attività extralavorativa con il corretto e puntuale espletamento, in modo terzo ed imparziale, della prestazione contrattualmente dovuta dal lavoratore alla P.A., in ossequio anche al principio costituzionale di tendenziale esclusività (98 cost.) e di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa (art.97 cost.). (cfr. Corte dei conti, Sez. Lombardia, sent. n. 233/2014). 

Ancora, il generale potere autorizzatorio mantenuto dal legislatore in capo all’Amministrazione di appartenenza è pienamente coerente con il carattere di esclusività che connota il rapporto di lavoro reso a favore delle pubbliche amministrazioni; attraverso la preventiva verifica di compatibilità, rispetto agli obblighi d’ufficio, di attività lavorative esterne aggiuntive rispetto a quelle di ordinaria competenza del dipendente pubblico, si garantisce che le stesse, per quanto previste da norme di legge,  non possano distogliere il dipendente stesso da un proficuo svolgimento delle proprie mansioni istituzionali, con compromissione del livello qualitativo e quantitativo della prestazione istituzionalmente dovuta in virtù del rapporto di impiego pubblico. (Corte dei conti, Sez. Piemonte n. 78/2015).

La sanzione prevista dall’ordinamento

La sanzione per i dipendente pubblico, che abbia agito in violazione delle disposizioni legislative, prestando la propria attività senza la dovuta preventiva autorizzazione, corrisponde al riversamento, presso la propria amministrazione, di un importo corrispondente al compenso illegittimamente incamerato. Il fatto che il Giudice del lavoro abbia emesso sentenza di non restituzione delle somme percepite dalla dipendente, la stessa non potrà mai fare stato nei confronti del giudice contabile. Il primo avendo natura restitutoria, il secondo, innanzi al giudice contabile, natura risarcitoria a fronte del danno erariale cagionato dalla convenuta, per non avere l’interessata riversato i compensi comunque incassati. Le citate disposizioni legislative (art. 53, co.7, d.lgs. 165 del 2001) prevedono, infatti, che “il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti“.

Conclusioni

Il Collegio contabile conclude, pertanto, con l’individuazione della colpa grave della dipendente per aver svolto le proprie attività contra legem, a cui segue la restituzione di tutti gli importi dalla stessa introitati in difetto della preventiva autorizzazione, concedendo alla stessa l’applicazione del potere riduttivo (pari al 60% delle somme percepite) a fronte dell’autorizzabilità in astratto delle prestazioni rese (trattandosi di prestazioni rese nei confronti di altra amministrazione pubblica, venendo meno un possibile conflitto di interessi) ed in assenza di altri precedenti della convenuta.

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