03/08/2017 – i limiti agli OIV e il diritto di esercizio delle libere professioni

I LIMITI AGLI OIV E IL DIRITTO DI ESERCIZIO DELLE LIBERE PROFESSIONI

 

Con tutto il rispetto per l’attività del Dipartimento per la Funzione Pubblica, credo sia giunto il momento di fare il punto sulla produzione di norme e disposizioni in materia di valutazione delle performance. Tutto nasce con il decreto legislativo 150/2009, predisposto da consulenti esperti in economia aziendale (per loro stessa ammissione) con la pretesa di introdurre con lo strumento normativo (quindi rigido, per definizione), meccanismi operativi (che nel rispetto degli stessi principi di economia aziendale, hanno il carattere della flessibilità e adattabilità), quindi in contrasto con le teorie manageriali, di cui dovrebbero essere esperti.

L’esito di quella riforma, come è noto è stato caratterizzato dalla fuga precipitosa delle istituzioni, da quelle prescrizioni normative, sia centrali che periferiche, con rivendicazione di specialità o prerogative che inducevano alla disapplicazione. Con quella norma, in materia di valutazione, infatti, si è diffusa una reale confusione normativa: 1) si è prevista, in teoria, l’attribuzione di “premi di efficienza” e ” di eccellenza” che però, in pratica, sono stati subito seguiti da annunci dissuasivi tanto da sconsigliarne l’uso; 2) si è prevista la premialità attraverso le progressioni, che però sono state immediatamente bloccate per effetto dei limiti sull’incremento del fondo; 3) è stato introdotto un sistema di valutazione “per fasce” che non ha trovato applicazione, a eccezione dei più solerti, subito pentiti, perché inapplicabile quando non foriero di ingiustizie. Peraltro, giusto per notizia, tutti gli articoli del provvedimento sono orientati al contenimento della spesa, con esclusione dell’articolo 13 che, al comma 13 prevede che l’istituzione della CIVIT (la commissione per la valutazione, l’integrità e la trasparenza, autodefinitesi “indipendente” con la timida aggiunta della “I” in corsivo) comporti “oneri pari a due milioni di euro per l’anno 2009 e a 8 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010”.

E’ giusto, tuttavia, riconoscere che quel decreto legislativo ha avuto una grande portata innovativa, nel campo della valutazione, introducendo il “Piano delle performance” e la “relazione”, nonché gli Organismi indipendenti di valutazione che all’epoca dell’emanazione non avevano più vita facile. Ma anche questi istituti hanno vissuto e ancora vivono un’esistenza tormentata. I Piani delle performance sono stati concepiti con riferimento ai Ministeri (dove, peraltro, rimangono appannaggio di strutture centrali e lontane, senza alcuna interferenza sulla gestione) e non ai più numerosi enti locali, seminando il dubbio che, per questi ultimi, potrebbero non utilizzarsi. E il dubbio è stato aggravato equiparandoli al PEG (che invece segue il bilancio di previsione e ha natura budgetaria) e affiancando con il DUP, la cui funzione è tormentata, sempre per effetto di disposizioni prodotte da consulenti ispirati più dal desiderio di sperimentare che da quello di promuovere la funzionalità.

Anche gli OIV sono stati travolti dal “confusionismo ministeriale”, frutto di equilibri di posizione che mostrano “rigidità elastiche”. Cosicché, per evitare gli effetti di un orientamento (a mio modesto avviso inopportuno) si è consumata la diaspora: da una parte gli OIV, propriamente detti e dall’altra la riesumazione dei Nuclei di valutazione, nei quali è possibile la partecipazione del segretario comunale dell’ente.

Ma la questione si complica, sempre a causa della “fobia prescrittiva” degli uffici ministeriali che, dopo avere previsto uno specifico elenco di lauree per ricoprire l’incarico di componente degli OIV, (favorendo quelle analoghe ai consulenti che hanno prodotto la c.d. riforma e relegando in coda quella in giurisprudenza), in un primo momento hanno introdotto (senza alcuna logica) il principio della “esclusività”, secondo il quale ogni valutatore non avrebbe potuto esercitare questo incarico in più organismi di valutazione.

Questi principi, per buona parte disapplicati, anche per la loro illogicità manifesta, hanno causato danni infiniti, aprendo la funzione valutativa a persone inesperte, in quanto le uniche a non avere altri incarichi, anche in enti che, per dimensioni o complessità, avrebbero richiesto persone dotate di professionalità ed esperienza.

E’ evidente che i “sapientoni” che generano queste disposizioni non mettono in conto che l’esercizio della funzione valutativa non deve essere intesa come un piacevole passatempo, magari utile a integrare lo stipendio. Ma, al contrario come un’attività di elevato valore strategico da affidare a professionisti esperti che, possibilmente abbiano acquisito una specializzazione sul tema, proprio grazie all’appartenenza a diversi organismi. E per questa ragione possano assicurare il corretto esercizio della funzione attribuita.

Semmai, sarebbe stato opportuno, proprio in ragione della richiesta “terzietà” della funzione, che (non me ne vogliano gli amici dipendenti pubblici) tali incarichi fossero preclusi ai dipendenti pubblici, soprattutto a quelli che, in ragione della posizione rivestita (magistrati, ispettori del MEF, dipendenti delle Prefetture, dipendenti della Corte dei Conti, ecc.) inevitabilmente prefigurano una posizione “non terza” o persino inducono alla speranza (qualche volta confermata) che nel caso di nomina di uno di questi, si ottenga “una qualche protezione”.

Ma così non è stato. I nostri “produttori di disposizioni”, dopo avere abrogato con un DPR (105/2016) le norme di un Decreto legislativo (150/2009), mi auguro solo per ignoranza della gerarchia delle fonti, argomento non usuale nelle facoltà di economia o ingegneria, essendo avvezzi ai numeri volendo limitare l’abuso di incarichi negli OIV (fenomeno reale e da contenere!), invece di operare limitazioni per quelle categorie di funzionari pubblici o per professionisti ingordi, con un decreto, emanato il 2 dicembre 2016, (senza che vi sia alcuna norma che ne preveda l’emanazione, né la competenza del Dipartimento) hanno stabilito il limite massimo di 3 OIV per i liberi professionisti e 1 per i dipendenti pubblici.

Evidentemente questa previsione rafforza il principio per i quale gli OIV sono intesi come attività da svolgere nel tempo libero e non in modo serio e sistematico, ma soprattutto evidenzia alcuni gravi errori:

  1. il limiti di numero di OIV pone sullo stesso piano la partecipazione a organismi ministeriali con quella relativa a enti minori e ciò non sembra logico.
  2. il limite non trova alcuna giustificazione, né con riferimento all’attività da svolgere, né con riferimento alle professionalità richieste e anche questo non appare logico né motivato.
  3. il limite può giustificarsi con riferimento a dipendenti pubblici, per assicurare che non siano distolti nella loro attività istituzionale, ma non trova alcuna giustificazione nei confronti di professionisti sia perché in contrasto con il principio costituzionale del libero esercizio delle professioni (è come se si imponesse agli avvocati di avere un numero limitato di cause da trattare), sia in ragione, come si è detto, dell’esperienza che possano vantare. E viene da chiedersi: in base a quale norma di legge il Dipartimento della Funziona pubblica può spingersi fino a disciplinare le attività delle libere professioni, persino limitandone l’esercizio?

E’ comunque opportuno che l’argomento venga trattato, anche per evitare che l’OIV sia il rifugio di amici degli amici o il luogo degli appetiti di collezionisti di incarichi. Ma è necessario riconosce che, negli anni alcuni professionisti, giustamente e in modo corretto, possono avere ritenuto di eleggere l’attività di “valutatore” come propria attività specifica, da esercitare con metodicità e professionalità, fornendo un utile supporto alle pubbliche amministrazioni. E non si comprendono le ragioni che possano limitarne l’esercizio.

In ogni caso, ben vengano i limiti, anche per i liberi professionisti, proprio per evitare una esagerata accumulazione di incarichi. Ma tali limiti sarebbero più funzionali e logici se finalizzati a verificare l’esercizio effettivo dell’attività di valutazione o se connessi al cumulo dei compensi percepiti, che non dovrebbero superare la famosa soglia che opera per tutti i dipendenti pubblici.

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