Tratto da: leautonomie.it
 
 

Premessa

Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici si è rivelato innovativo sotto molteplici profili, a cominciare dalla introduzione dei principi (e dei c.d. “super principi”) elencati al libro I, parte I, titolo I del Dlgs 36/2023.

Tra questi, all’art. 9 (principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale) il legislatore ha previsto la possibilità – (ma forse, in taluni casi, sarebbe più corretto parlare di un vero e proprio onere per l’Amministrazione) – di procedere alla rinegoziazione del contratto qualora sopravvengano…”circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto…” . In tal caso, infatti,  “la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il relativo rischio, ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali. Gli oneri per la rinegoziazione sono riconosciuti all’esecutore a valere sulle somme a disposizione indicate nel quadro economico dell’intervento, alle voci imprevisti e accantonamenti e, se necessario, anche utilizzando le economie da ribasso d’asta”.

A dare attuazione, forma e concretezza operativa al principio contenuto nell’art. 9, sono l’art. 60 (revisione dei prezzi) e l’art. 120 in tema di modifiche in corso d’esecuzione. Si tratta, a ben vedere, di una innovazione rispetto all’impostazione precedentemente riconosciuta dalla giurisprudenza, una inversione di pensiero, per così dire, – sul tema della revisione/ rinegoziazione contrattuale – certamente influenzata dagli avvenimenti che nella storia recentissima hanno sconvolto la società mondiale, a partire dalla catastrofe sociale della pandemia da Covid-19 fino alla crisi geopolitica nell’Europa centro-orientale e nel Medio-Oriente, tutt’ora in corso. 

Focus sull’art. 9 del Dlgs 36/2023 e rapporto con l’art. 60 e l’art. 120

Abbiamo accennato al fatto che tradizionalmente, nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, vi sia una certa “rigidità” finalizzata a preservare le condizioni ex ante note ai partecipanti – nel rispetto del principio della par condicio competitorum – e onde evitare alterazioni tali da compromettere tali equilibri, a differenza di quanto avviene, invero, nella contrattazione civilistica.

L’autonomia dei privati consente ai contraenti di determinare liberamente l’assetto dei propri interessi da riversare nell’accordo tra le parti; invece, nella contrattualistica pubblica tale rapporto viene a capovolgersi in quanto la Pubblica Amministrazione è garante del corretto espletamento di una procedura ad evidenza pubblica (regolata dal diritto amministrativo), nella quale vengono valutate e confrontate più offerte sulla base di regole predeterminate dalla stazione appaltante: regole di ammissione e partecipazione (bando/disciplinare), regole tecniche legate all’esecuzione del contratto (capitolato e offerta), secondo uno schema rigido che limita e riduce la possibilità delle parti di introdurre modificazioni che possano alterare, in qualche modo, la parità di trattamento alla base di tale procedimento (1). 

L’art. 9 del Dlgs 36/2023 prescrive quanto segue:

  1. Se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto, la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il relativo rischio, ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali. Gli oneri per la rinegoziazione sono riconosciuti all’esecutore a valere sulle somme a disposizione indicate nel quadro economico dell’intervento, alle voci imprevisti e accantonamenti e, se necessario, anche utilizzando le economie da ribasso d’asta.

Dalla lettura del primo comma si evince che la rinegoziazione si attivi a fronte di circostanze:

  1. straordinarie;
  2. imprevedibili;
  3. estranee alla normale alea e all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto

Siamo quindi in presenza di circostanze diverse ed ulteriori, ad esempio, rispetto a quelle che determinano la revisione dei prezzi, che possono comunque essere prevedibili a monte dalla S.A. e dai potenziali contraenti e che si attivano in maniera automatica e secondo parametri già definiti dalla norma (si attivano al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva, che determinano una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5 per cento dell’importo complessivo e operano nella misura dell’80 per cento della variazione stessa, in relazione alle prestazioni da eseguire). 

2. Nell’ambito delle risorse individuate al comma 1, la rinegoziazione si limita al ripristino dell’originario equilibrio del contratto oggetto dell’affidamento, quale risultante dal bando e dal provvedimento di aggiudicazione, senza alterarne la sostanza economica.

3. Se le circostanze sopravvenute di cui al comma 1 rendono la prestazione, in parte o temporaneamente, inutile o inutilizzabile per uno dei contraenti, questi ha diritto a una riduzione proporzionale del corrispettivo, secondo le regole dell’impossibilità parziale.

Si fa ricorso all’istituto dell’impossibilità parziale, di natura civilistica, previsto all’art. 1464 del cod. civ. che consente, appunto, una proporzionale riduzione del corrispettivo quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile.

4. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono l’inserimento nel contratto di clausole di rinegoziazione, dandone pubblicità nel bando o nell’avviso di indizione della gara, specie quando il contratto risulta particolarmente esposto per la sua durata, per il contesto economico di riferimento o per altre circostanze, al rischio delle interferenze da sopravvenienze.

5. In applicazione del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale si applicano le disposizioni di cui agli articoli 60 e 120.

Il comma 5 rimanda, come già anticipato in premessa, agli articoli 60 e 120 del Dlgs 36/2023 quali applicativi del più generale principio di conservazione del contratto rispettivamente dedicati alla clausola di revisione dei prezzi e alle modifiche in corso d’esecuzione. 

Ci si domanda, pertanto, se tra l’art. 9 e gli art. 60 e 120 del Codice dei contratti vi sia un rapporto di genus a species e se il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale mantenga, comunque – in modo particolare nel settore degli affidamenti diretti – una portata applicativa autonoma ed ulteriore rispetto alle fattispecie enumerate dagli istituti sopra citati.  

La rinegoziazione e gli affidamenti diretti

E’ stato detto che le modifiche contrattuali sono ammesse secondo parametri già conoscibili dai partecipanti alle procedure di gara o comunque entro i limiti prescritti dalla normativa (art. 60 e art. 120) che enumerano casi e modalità per darne attuazione.

Anche l’art. 9 prevede che le stazioni appaltanti favoriscano l’inserimento, a monte, di tali clausole negli atti di gara. Da ciò si può dedurre che qualora la rinegoziazione sia ancorata a disposizioni già previste e note alla platea dei potenziali affidatari non sia configurabile alcuna violazione dei principi posti a presidio del procedimento amministrativo (par condicio) in quanto tutti i concorrenti erano, fin dall’inizio, consapevoli di tali clausole (così accade, ad esempio, con la clausola di proroga contrattuale o di revisione dei prezzi).

Semmai, dubbi interpretativi sorgono nel caso in cui gli atti di gara non menzionino alcuna clausola di rinegoziazione, pur disciplinando l’art. 120 co 8 anche tale ipotesi: “Il contratto è sempre modificabile ai sensi dell’articolo 9 e nel rispetto delle clausole di rinegoziazione contenute nel contratto. Nel caso in cui queste non siano previste, la richiesta di rinegoziazione va avanzata senza ritardo e non giustifica, di per sé, la sospensione dell’esecuzione del contratto. Il RUP provvede a formulare la proposta di un nuovo accordo entro un termine non superiore a tre mesi. Nel caso in cui non si pervenga al nuovo accordo entro un termine ragionevole, la parte svantaggiata può agire in giudizio per ottenere l’adeguamento del contratto all’equilibrio originario, salva la responsabilità per la violazione dell’obbligo di rinegoziazione”.

Al momento con la presente disamina intendiamo indagare le sole conseguenze correlate ai procedimenti di affidamento diretto, invitando ad una riflessione aperta, senza porci alcun interrogativo sulla portata pratica -seppur interessante e foriera di dubbi – per quanto concerne le procedure competitive.

Se in una procedura ad evidenza pubblica (e con tale ci si riferisce genericamente alle procedure comparative/competitive sia sotto che sopra soglia) le norme sulle modifiche in corso d’opera circoscrivono chiari limiti alla rinegoziazione contrattuale (l’art. 120 prevede un ristretto elenco di casi con relativi limiti qualitativi e quantitativi, in particolare non sono mai ammesse modifiche c.d. “sostanziali”); gli affidamenti diretti, invece, sembrano godere di più ampi margini di manovra, fermo restando l’obbligo di rispettare il principio di rotazione tra i due affidamenti consecutivi e le soglie sancite dall’art. 50.

Ci si interroga, allora, in che termini le disposizioni relative alle modifiche contrattuali (a cominciare dal quadro generale delineato dal principio di rinegoziazione) possano trovare applicazione nei confronti di un affidamento diretto, considerato che in tale procedimento, i principi di parità di trattamento e concorrenza appaiono ristretti se non addirittura assenti, o meglio vengono garantiti ma con declinazioni pratiche differenti.

In tal caso, la rinegoziazione che sia prevista a monte (non sono nemmeno presenti atti di gara in senso proprio, ma semmai “atti della Trattativa”) o che non lo sia affatto – potrebbe operare indistintamente? Le disposizioni ex art. 120 del Dlgs 36/2023 devono essere rispettate in modo rigido e puntuale anche in caso di affidamento diretto, oppure l’art. 9 consentirebbe, in tale circostanza, un ulteriore e non ben definito margine di discrezionalità operando in attuazione del principio del risultato?

Senza alcuna pretesa di veridicitá dogmatica, secondo tale interpretazione sarebbe  sempre  possibile apportare modifiche anche oltre i limiti del 120, a patto di restare nei margini di modifiche non sostanziali e fermo restando il rispetto delle soglie che la norma prevede per l’affidamento diretto, se tali modifiche si rendono necessarie durante l’esecuzione del contratto e prima del relativo termine e, quindi, sempre che non si dia luogo ad un  aggiramento del principio di rotazione. 

Note:

  1.  “Il principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale negli appalti, Pubblici”, V. Cerulli Irelli
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