di Nicola Niglio
Non possono essere riconosciuti incentivi ai dipendenti che assistono il Comune nei giudizi del lavoro di primo grado, a differenza di quanto avviene in quelli tributari. Lo afferma la sezione regionale di controllo della Sicilia della Corte dei conti con la deliberazione n. 105/2025.
Un sindaco ha chiesto alla Corte dei conti se le somme liquidate dal giudice nel processo del lavoro di primo grado, nei limiti dell’ammontare.
In particolare, con nota del 5 febbraio 2025 il Sindaco del Comune di Alcamo (TP) ha richiesto a questa Sezione un parere, ai sensi dell’art. 7, comma 8, L. 5 giugno 2003, n. 131, sulla “interpretazione delle norme relative ai vincoli in materia di compensi ai funzionari correlati alle spese di giudizio nei processi diversi da quello tributario”.
Il richiedente ha preliminarmente prospettato, con riguardo al regime della difesa in giudizio delle PP.AA. tramite propri dipendenti, l’esistenza di un’analogia tra il rito del lavoro in primo grado (art. 417-bis cod. proc. civ.) e il processo tributario, limitatamente a quanto concerne la liquidazione delle spese a favore dell’Amministrazione vittoriosa, disciplinata – rispettivamente – dall’art. 152-bis, disp. att. cod. proc. civ. per i giudizi del lavoro e dall’art. 12, comma 1, lett. b, D.L. 8 agosto 1996, n. 437 per i giudizi tributari.
Indi, il Sindaco del Comune di Alcamo ha posto a questa Sezione i seguenti interrogativi:
“a) se le somme liquidate dal giudice nel processo del lavoro di primo grado, ai sensi dell’art. 152-bis delle disposizioni attuative del codice di procedura civile, nei limiti dell’ammontare effettivamente recuperato possono essere destinate a remunerare i dipendenti che ai sensi dell’art. 417-bis cpc hanno difeso l’ente locale in primo grado;
b) se nella categoria dei soggetti incentivabili rientrano solo i dipendenti del comparto funzioni locali o anche il personale dell’area dirigenziale delle funzioni locali, tra cui anche il segretario comunale;
c) se tali risorse debbono essere inserite nei fondi del salario accessorio, rispettivamente, del comparto e dell’area dirigenza, anche in modo solo figurativo; effettivamente recuperato, possono essere destinate a remunerare i dipendenti
d) se la quantificazione e le modalità di assegnazione delle risorse ai dipendenti deve essere oggetto di regolamentazione o se la materia è demandata ai contratti decentrati di comparto e di area”.
Nel giudizio del lavoro, l’art. 417-bis, comma 1, cod. proc. civ., aggiunto dall’art. 42, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e modificato dall’art. 19, D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, così dispone: “Nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’articolo 413, limitatamente al giudizio di primo grado le amministrazioni stesse possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti”.
Come chiarito dalla Corte dei conti – Sezione regionale di controllo per la Basilicata con deliberazione 3 febbraio 2022, n. 1/2022/PAR, in base a tale principio “non è possibile erogare in favore dei dipendenti pubblici qualsiasi indennità e/o compenso ulteriore rispetto al trattamento economico fondamentale ed accessorio stabilito dai contratti collettivi atteso che la spesa per il personale deve essere «evidente, certa e prevedibile nella evoluzione» (art. 8 Dlgs. n. 165/2001)”.
Inoltre, la Corte costituzionale ha ricondotto alla “materia dell’ordinamento civile, riservata in via esclusiva al legislatore statale (cfr. art. 117, comma 2, lett. l), Cost.), (…) la disciplina del trattamento economico e giuridico dei dipendenti pubblici”, ricomprendendo “tutte le disposizioni che incidono sulla regolazione del rapporto di lavoro (cfr., ex plurimis, Corte Cost., sent. nn. 14, 211, 269 del 2014; sent. n. 180/2015; sent. n. 257/2016; sent. nn. 72, 175 del 2017; sent. n. 257/2020) con conseguente illegittimità di una eventuale erogazione di indennità accessorie di qualsiasi tipo al di fuori di una specifica previsione di legge o della contrattazione di settore” (Sezione regionale di controllo per la Basilicata, del. n. 1/2022/PAR).
La prescrizione di cui all’art. 24, comma 3, D. Lgs. n. 165/2001 è stata recepita, a livello contrattuale, dall’art. 43 del C.C.N.L. 16 luglio 2024 relativo al personale dell’Area Funzioni Locali – Triennio 2019/2021, che ai commi 1 e 2 così dispone: “1. Il trattamento economico dei dirigenti, ai sensi dell’art. 24, comma 3, del D. Lgs. n. 165 del 2001, ha carattere di onnicomprensività in quanto remunera completamente ogni incarico conferito ai medesimi in ragione del loro ufficio o comunque collegato alla rappresentanza di interessi dell’Ente.
In aggiunta alla retribuzione di posizione e di risultato, ai dirigenti possono essere erogati direttamente, a titolo di retribuzione di risultato, solo i compensi previsti da specifiche disposizioni di legge, secondo i criteri di cui all’art. 35 comma 1, lett. e) (Contrattazione integrativa: materie), con le risorse di cui all’art. 57, comma 2 lett. b) del CCNL 17.12.2020”.
Tale disposizione della contrattazione collettiva (che sostituisce analoga prescrizione dell’art. 60 del C.C.N.L. del 17 dicembre 2020) ribadisce – ove ve ne fosse bisogno – che i trattamenti aggiuntivi possono essere erogati soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge.
Va ricordato che sulla questione si è pronunciata anche l’A.R.A.N., con riferimento all’art. 60 del C.C.N.L. del 17 dicembre 2020: nel parere AFL19 del 24 marzo 2021 è stato affermato che, “in coerenza con le previsioni del citato 24, comma 3, del 13 /2001, (…) il trattamento economico dei dirigenti ha carattere di onnicomprensività in quanto remunera completamente ogni incarico conferito agli stessi in ragione del loro ufficio o comunque collegato alla rappresentanza di interessi dell’Ente”; nel successivo parere AFL47 del 24 novembre 2021, è stato ribadito che, “alla luce della nuova disposizione contrattuale, a differenza del quadro regolativo previgente, possano essere corrisposti soltanto i compensi aggiuntivi derivanti da disposizioni di legge espressamente recepite dalle disposizioni della contrattazione collettiva nazionale”.
Va riportato, infine, come disposizione “di chiusura”, quanto prescritto dall’art. 40, comma 3-quinquies, D. Lgs. n. 165/2001, in base al quale “Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile”.