Il ricorso alla mobilità volontaria prima della indizione di un concorso pubblico non costituisce un obbligo per tutte le amministrazioni ancora per tutto l’anno 2024. Le amministrazioni devono darsi delle specifiche regole per la effettuazione di tali procedure. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha affermato in modo ormai consolidato che i dipendenti che utilizzano questo istituto non devono vedere peggiorato il proprio trattamento economico che ha un carattere fisso e continuativo.
Sono queste le principali indicazioni di cui le singole amministrazioni devono tenere conto nel ricorso alla mobilità volontaria, che costituisce in termini sostanziali una nuova assunzione, quindi soggetta agli specifici vincoli ed in termini formali è da considerare come una modifica del rapporto di lavoro.
LE PROCEDURE
Sicuramente la scelta di dare corso alla mobilità volontaria in entrata deve essere inserita nella programmazione del fabbisogno di personale, in cui vanno comprese tutte le forme di assunzione.
A seguito delle modifiche dettate dall’articolo 33 del d.l. n. 34/2019, la mobilità volontaria tra gli enti cui si applicano le nuove regole per la determinazione delle capacità assunzionali (quindi comuni, province, città metropolitane e regioni) in luogo del turnover e sulla base della cd sostenibilità finanziaria) ha cessato di essere neutra sia in entrata che in uscita. Per fare un esempio: i risparmi derivanti da una mobilità in uscita possono essere utilizzati per finanziare assunzioni tramite concorsi e/o scorrimenti di graduatorie e/o utilizzazione di albi di idonei.
Ancora per l’anno 2024 la disposizione che impone il ricorso a tale istituto prima della indizione di un concorso pubblico è sospesa, per cui siamo in presenza di una semplice possibilità. Ricordiamo che, sul carattere vincolante della indizione di questa procedura prima dello scorrimento di una graduatoria, abbiamo indicazioni non consolidate.
Il bando di mobilità volontaria deve necessariamente essere pubblicato sia sul sito internet dell’ente, per almeno 30 giorni, sia sul portale INPA. E’ necessario che le amministrazioni inseriscano le bando i criteri in base ai quali scegliere tra le domande presentate: occorre tenere conto che siamo in presenza di dipendenti pubblici, quindi non sembrano esservi spazi per dichiarare non idonei dei candidati. Si suggerisce agli enti di inserire la clausola che impone la fruizione delle ferie maturate o, almeno di larga parte, nell’ente di provenienza.
Il legislatore ha fortemente rafforzato i casi in cui non è necessario il nulla osta o parere positivo parte dell’amministrazione di provenienza: tale limitazione si applica in misura molto più ridotta agli enti locali.
Occorre ricordare che tutte le PA possono differire il trasferimento in mobilità per esigenze di servizio e che gli enti locali possono farlo fino a 30 giorni dopo la sostituzione: per evitare spiacevoli sorprese è opportuno che l’eventuale ricorrere di tali possibilità sia accertato attraverso specifiche clausole presenti nel bando. Si deve ricordare che le amministrazioni possono trattenere i dipendenti neo assunti.
LE INDICAZIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE SUL TRATTAMENTO ECONOMICO
I dipendenti trasferiti in mobilità volontaria ad un ente pubblico di altro comparto continuano a conservare il trattamento economico fisso in godimento ove lo stesso sia più favorevole. Lo ha stabilito la sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 5736/2024.
La prima indicazione è la seguente: “nell’ ipotesi di passaggio di personale o di procedura volontaria di mobilità nel pubblico impiego privatizzato non viene in considerazione l’art. 3 della legge n. 537 del 1993 ed ha affermato il seguente principio di diritto: la regola per cui il passaggio da un datore di lavoro all’altro comporta l’ inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, con applicazione del trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro (art. 2112 cod. civ.), è confermata, per i dipendenti pubblici, dall’art. 30 del D.Lgs. n.165 del 2001, che riconduce il passaggio diretto di personale da Amministrazioni diverse alla fattispecie della cessione del contratto (art. 1406 cod. civ.), stabilendo la regola generale dell’applicazione del trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi nel comparto dell’Amministrazione cessionaria, non giustificandosi diversità di trattamento (salvi gli assegni ad personam attribuiti al fine di rispettare il divieto di reformatio in peius del trattamento economico acquisito) tra dipendenti dello stesso ente, a seconda della provenienza. Tale regola – da applicare anche nel caso di passaggio dalle dipendenze di una Agenzia fiscale alle dipendenze di una Amministrazione inserita nel sistema burocratico dello Stato – comporta che i suddetti assegni ad personam siano destinati ad essere riassorbiti negli incrementi del trattamento economico complessivo spettante ai dipendenti dell’Amministrazione cessionaria“.
La seconda indicazione è che “l’art. 3 co. 1 della direttiva 2001/23/CE), secondo cui “I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.”; il comma 3 così stabilisce a sua volta: dopo il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo. Tale direttiva è applicabile non solo ai trasferimenti di aziende, ma anche ai trasferimenti di personale (con o senza le relative competenze) fra amministrazioni pubbliche”.
Inoltre, “la direttiva 77/187 lascia un margine di manovra, che consente al cessionario e alle altre parti contraenti di stabilire l’ integrazione retributiva dei lavoratori trasferiti in modo tale che questa risulti debitamente adattata alle circostanze del trasferimento in questione, ciò nondimeno le modalità scelte devono essere conformi allo scopo di detta direttiva. Come la Corte ha ripetutamente dichiarato, quest’obiettivo consiste, essenzialmente, nell’ impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento.. il trasferimento non può determinare per il lavoratore trasferito un peggioramento retributivo ossia condizioni di lavoro meno favorevoli di quelle godute in precedenza, secondo una valutazione comparativa da compiersi all’atto del trasferimento, in relazione al trattamento retributivo globale, compresi gli istituti e le voci erogati con continuità, ancorché non legati all’anzianità di servizio”.
L’ultima indicazione è al seguente: si deve ritenere che “il trasferimento non possa mai determinare per il lavoratore trasferito un peggioramento economico, e condizioni di lavoro meno favorevoli di quelle godute in precedenza, secondo una valutazione comparativa che va effettuata all’atto del trasferimento, in relazione al trattamento retributivo globale, compresi gli istituti e le voci erogate con continuità, ancorché legate all’anzianità di servizio. In tema di passaggio di personale da un’amministrazione all’altra, si è inoltre chiarito che l’assegno personale riassorbibile va quantificato tenendo conto del trattamento economico complessivo, purché fisso e continuativo, e non già delle singole voci che compongono la retribuzione, sicché l’indennità di amministrazione, avente carattere di generalità e natura fissa e ricorrente, va inclusa nel trattamento retributivo dell’ente di destinazione, ai fini del calcolo del predetto assegno”.