Tratto da: leautonomie.it

L’ordinanza della Cassazione Sezione Lavoro Sez. L 16/07/2024 n. 19613 è piuttosto interessante non tanto per la decisione in sè, per la quale in caso di mobilità intercompartimentale la Ria va persa, quanto perchè indirettamente mette in discussione l’assunto della stessa Cassazione sulla natura della mobilità come “cessione del contratto”.

Da decenni leggiamo nelle sentenze pronunciate sul tema che la mobilità volontaria dà vita ad una modifica solo soggettiva del rapporto di lavoro, che, dunque, prosegue senza soluzioni di continuità dalla PA di provenienza verso quella di destinazione, applicando lo schema appunto della cessione del contratto.

Chi scrive da altrettanto tempo evidenzia l’imprecisione di questa ricostruzione. La mobilità volontaria, nel lavoro pubblico, è un istituto particolare e non integralmente assimilabile alla cessione del contratto. L’articolo 30 del d.lgs 165/2001, infatti, configura la fattispecie con modalità del tutto proprie e peculiari, rispetto alle quali la cessione costituisce semplicemente un riferimento, ma non lo schema da applicare.

Se si trattasse di cessione del contratto il cedente sarebbe la PA di provenienza, il cessionario la PA di destinazione, il ceduto il dipendente. Solo in questo modo si verificherebbe la novazione esclusivamente soggettiva del contratto, con l’ulteriore condizione, però, che non muti nessuno dei contenuti oggettivi della prestazione svolta.

Ora, da sempre i Ccnl individuano tra i contenuti essenziali del contratto individuale di lavoro, la sede di lavoro.

Pertanto, perchè si possa parlare effettivamente di cessione del contratto, la PA di destinazione dovrebbe subentrare a quella di provenienza, acquisendo il dipendente come in una cessione di ramo d’azienda, sostituendosi all’amministrazione di provenienza in tutto e per tutto, continuando a condurre col lavoratore un rapporto contrattuale assolutamente identico a quello originario. Dunque, anche la sede di lavoro dovrebbe rimanere esattamente la stessa.

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