Tratto da: leautonomie.it

Dai sito leautonomie.it un articolo di Luigi Oliveri 

La sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Sicilia 17.2.2023, n. 89 presenta molti aspetti di interesse ai fini del corretto inquadramento della fattispecie dell’attribuzione e revoca degli incarichi di Posizione Organizzativa, oggi Elevata Qualificazione.

Il primo aspetto di fondamentale interesse riguarda la questione della scadenza. La decisione della magistratura contabile è una tra le ormai molteplici utili a dimostrare l’illegittimità della pretesa, estremamente ricorrente nelle amministrazioni locali, di far coincidere, negli enti privi di dirigenza, la scadenza degli incarichi ai funzionari con la scadenza del mandato elettorale[1].

La scadenza delle PO/EQ in coincidenza col mandato elettorale è fonte di evidente disorganizzazione, perché è un chiaro vulnus al costante fluire dell’operato degli uffici, che deve essere insensibile all’avvicendarsi dei sindaci, con la sola eccezione degli incarichi per legge connessi al mandato: i dirigenti e funzionari a contratto ai sensi dell’articolo 110 del d.lgs 267/2000, il direttore generale e, sciaguratamente, il segretario comunale.

Con specifico riferimento alle posizioni organizzative, la sentenza della Sezione Sicilia richiama precedenti della giurisprudenza contabile (cfr. Corte conti, II Sez. App., sentenza n. 149/2020), allo scopo di evidenziare che “le disposizioni contrattuali che ancorano la revoca solamente alla presenza di determinati presupposti correlati ad una modifica della struttura organizzativa dell’ente ovvero ad una valutazione negativa del risultato raggiunto, e non anche al rinnovo della carica di vertice dell’amministrazione, garantiscono la continuità dell’azione amministrativa, principio sottolineato dal giudice delle leggi, ed impediscono l’ingresso di profili di arbitrarietà nell’adozione dei poteri di rimozione, causalmente giustificabili soltanto nell’ottica del buon andamento dell’azione amministrativa e non certo ricollegabili alla circostanza transeunte del mutamento dell’organo investito del potere di nomina (in termini, Cass. civ. sez. Sent. n. 149/2020 17 lav., 18.04.2017, n.9728)
La Consulta, a partire dal 2007, ha consolidato un orientamento chiarissimo: lo spoil system è tollerabile solo per gli incarichi dirigenziale di altissimo livello nello Stato, per le funzioni dirigenziali che si avvicinano, nella sostanza, a quelle politiche e nelle quali la personale adesione del dirigente all’orientamento politico può avere un peso nella scelta dell’organo di governo, connotata da caratteri fiduciari. Pertanto, per tutto il resto dei vertici dell’apparato non strettamente legati a Parlamento e Governo, è contrario a Costituzione ogni legame diretto tra organo politico e incarico gestionale operativo conferito.

Se così non fosse, allora, lo spoil system la farebbe da padrone. Invece, spiega la Sezione Sicilia, nel caso delle PO/EQ la revoca anticipata e l’apposizione di un termine agli incarichi sono certo possibili, ma non certo a prescindere dalle ipotesi previste espressamente nella contrattazione nazionale collettiva.

Sebbene termine coincidente col mandato (cosa illegittima) sia diversa dalla revoca anticipata, molte volte è reperibile nelle amministrazioni un tratto comune: entrambe sono utilizzate per creare un legame stretto tra incaricati e sindaco. Ma, spiega la Sezione Sicilia, che la revoca degli incarichi di posizioni organizzative (incarichi che, di norma, hanno durata non superiore a cinque anni) non può “essere disposta ad libitum dal capo dell amministrazione in base al carattere di mera fiduciarietà che ne connoterebbe il conferimento nei Comuni privi di dirigenza o a seguito del rinnovo delle cariche politiche”.

Dunque, contrariamente alle prassi diffusissime, non sono da considerare corretti né incarichi la cui durata sia riconnessa al mandato del sindaco, né ipotesi di revoca anticipata ulteriori e diverse da quelle previste dalla contrattazione collettiva, meno che mai se, per altro, intese a creare un rapporto di fiduciarietà, speculare allo spoil system, con il sindaco.

Per questo, revocare anticipatamente gli incarichi, senza addurre un’adeguata motivazione[2] e senza attivare le garanzie procedurali e di contraddittorio previste dalla contrattazione.

Nel caso trattato, il comune è risultato soccombente innanzi al giudice del lavoro, per ingenti somme, proprio a causa della revoca anticipata illegittima di un incarico di posizione organizzativa. Detta soccombenza ha determinato l’attivazione della Procura erariale, che ha innescato il procedimento per danno erariale connesso all’indebito risarcimento del danno, scatenato dall’imprudente e illegittimo comportamento del sindaco, autore della revoca anticipata priva dei requisiti minimi di legittimità, senza alcuna motivazione (non speciosa) e senza rispetto della garanzia del contraddittorio sul mancato raggiungimento degli obiettivi

Secondo la sentenza, “l’illiceità della condotta è insita nell’adozione da parte del Sindaco dell’atto di revoca della posizione organizzativa in precedenza conferito alla dipendente, atto da reputarsi certamente illegittimo, stante la sua contrarietà quale atto datoriale ai principi di lealtà e correttezza e alle disposizioni pattizie in materia cui avrebbe dovuto conformarsi, e dunque contrario, per tale motivo, ai doveri d ufficio incombenti sul titolare della carica di Sindaco e datore di lavoro”.

La magistratura contabile pare ben consapevole che molte volte gli enti locali gestiscono in modo illecito gli incarichi di PO/EQ perché ancora non hanno maturato definitivamente la consapevolezza di agire in un ambito non autoritativo/pubblicistico, ma privatistico e negoziale.

Infatti, la sentenza precisa che la revoca anticipata “non deve essere inteso come potere autoritativo, tale da degradare ad interesse legittimo la posizione soggettiva del pubblico dipendente o di porlo in condizione di mera soggezione al potere datoriale, tanto più quando dalla scelta si passi alla revoca”.

La fonte di disciplina degli incarichi di PO/EQ è il contratto collettivo nazionale di lavoro; pertanto non si dà vita ad attività “provvedimentale”, ma “paritetica”, di diritto privato, con l’esercizio dei poteri del privato datore di lavoro.

Dunque, revocare anticipatamente un incarico, in assenza di mutamenti organizzativi o senza aver contestato mancato raggiungimento di obiettivi nel rispetto del procedimento contraddittorio richiesto, implica inadempimento grave ed evidente al Ccnl, che espone in maniera inevitabile l’autore della revoca al danno erariale, laddove il dipendente ottenga – come altamente probabile – in sede di giudizio del lavoro ragione della lesione ai propri diritti soggettivi (e non interessi legittimi).

Aggiunge la sentenza: “la P.A. è tenuta al rispetto dei criteri di massima indicati dalle fonti contrattuali ed all’osservanza delle clausole generali di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dell’art. 97 Cost., oltre che alle disposizioni contrattuali e legislative, su cui si fonda l’esercizio del potere (Cass. 2141 del 2017, n. 18248 del 2011, n. 25083 del 2018)”.

La sentenza commentata è anche paradigmatica di un rapporto molto complicato tra politica ed apparato, il quale non risulta all’evidenza capace di orientare alla correttezza gestionale.


[1] Il medesimo errore, tuttavia, non è infrequente negli enti con dirigenza ove la tendenza a limitare la durata degli incarichi a quella del sindaco è tanto presente, quanto infondata.

[2] La motivazione di che trattasi non afferisce alla legge 241/1990: trattandosi di gestione del rapporto di lavoro, non si rientra nella normativa pubblicistica di disciplina del procedimento amministrativo, nell’ambito della quale la PA agisce con poteri autoritativi. Si tratta, al contrario, di esercizio di poteri privatistici negoziali e datoriali, sicchè la motivazione occorre per esplicitare al lavoratore e al giudice il rispetto dei confini dei poteri datoriali, anche alla luce dei canoni di correttezza e buona fede. Afferma la sentenza in commento: “nel prevedere la revoca con atto scritto e motivato, nonché la procedimentalizzazione delle contestazioni circa i risultati negativi, è evidentemente quella di porre il dipendente in condizione di comprendere le ragioni per le quali la posizione organizzativa è stata revocata e di valutare se il potere discrezionale del datore sia stato esercitato in una delle fattispecie previste dalle parti collettive; la motivazione, quindi, si modella diversamente a seconda delle diverse ipotesi che giustificano la revoca e, quindi, se per la violazione delle direttive occorre l’indicazione degli ordini violati, per i risultati negativi la menzione dei dati dai quali il giudizio è stato tratto, per la modifica organizzativa il richiamo ai provvedimenti che quella riorganizzazione hanno attuato, per la sanzione disciplinare è sufficiente la menzione del provvedimento con il quale la stessa è stata irrogata”.

Torna in alto