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La permanenza in servizio per 5 anni nella prima sede di destinazione non è obbligatoria per l’ente.

Il parere della Funzione Pubblica DFP-0016950-P-22/02/2022 fornisce una lettura in chiave funzionale e non formalistica dell’articolo 3, comma 7-ter, del d.l. 80/2021, convertito in legge 113/2021, ai sensi del quale “Per gli enti locali, in caso di prima assegnazione, la permanenza minima del personale è di cinque anni. In ogni caso, la cessione del personale può essere differita, a discrezione dell’amministrazione cedente, fino all’effettiva assunzione del personale assunto a copertura dei posti vacanti e comunque per un periodo non superiore a trenta giorni successivi a tale assunzione, ove sia ritenuto necessario il previo svolgimento di un periodo di affiancamento”.

Il precetto contenuto nella norma non brilla certo per chiarezza. Infatti, essa contiene già in sé una smentita all’assunto iniziale. Se, da un lato, la previsione afferma la permanenza minima di 5 anni del dipendente, dall’altro consente subito dopo la possibilità comunque di consentire l’eventuale mobilità in uscita del dipendente differendola ai 30 giorni successivi all’assunzione di un dipendente che sostituisca quello destinato al trasferimento. Questa seconda possibilità è inserita nella medesima norma che fissa l’obbligo di permanenza, dando la forte impressione che anche il dipendente neo assunto possa essere trasferito perfino prima dei 5 anni, applicando l’accortezza della seconda parte del citato comma.

Il parere della Funzione Pubblica va in questa direzione. Palazzo Vidoni ritiene che anche un dipendente assunto da poco e quindi con un’anzianità di servizio, ma meglio dire una permanenza in servizio, inferiore ai 5 anni possa ottenere la di mobilità volontaria e quindi essere assunto da un’ diversa amministrazione diversa da quella di appartenenza, a condizione che questa esprima il consenso al trasferimento.

L’obbligo di permanenza non vale solo per gli enti locali, ma è disposto per tutti i dipendenti pubblici dall’articolo 35, comma 5-bis, del d.lgs 165/2001: in effetti, la previsione dell’articolo 3, comma 7-ter, del d.l. 80/2021 ha avuto lo scopo di estendere espressamente all’ordinamento locale la misura, per garantire agli enti una certa stabilità della dotazione organica.

Le norme citate, spiega Palazzo Vidoni “se lette in un’ottica di sistema, stabiliscono l’obbligo di permanenza nella sede di prima destinazione per il personale neoassunto, affinchè la sua allocazione sia effettivamente rispondente alle esigenze organizzative e funzionali che hanno determinato la rilevazione del fabbisogno professionale da parte dell’amministrazione e la conseguente attivazione delle procedure di reclutamento, con il correlato impegno di risorse finanziarie per soddisfarlo”.

Tuttavia, secondo il parere l’obbligo di permanenza non coincide con un vincolo e, simmetricamente, un divieto assoluto al trasferimento. La Funzione Pubblica specifica che detto obbligo possa essere considerato inoperante “qualora l’amministrazione rilevi – in un’ottica di ottimizzazione delle risorse e sulla base di ponderate valutazioni – che una diversa allocazione e distribuzione del personale sia maggiormente rispondente alle proprie esigenze organizzative”.

Dunque, restano margini ai datori pubblici per valutare l’opportunità di consentire il trasferimento verso altre PA di propri dipendenti, nonostante questi non siano rimasti in servizio per almeno 5 anni. Infatti, precisa il parere, “l’ambito di applicazione della norma di cui in oggetto non può in alcun modo riflettersi nell’imposizione di vincoli paralizzanti per l’amministrazione”.

Nella sostanza, allora, la permanenza in servizio per almeno 5 anni va letta non come divieto alla PA datore di lavoro di assentire il trasferimento richiesto dal dipendente prima di tale lasso di tempo, bensì come predeterminazione di una motivazione, disposta già dal legislatore, volta a denegare la richiesta di assenso alla mobilità.

D’altra parte, l’articolo 30, comma 1, del d.lgs 165/2001 continua a considerare necessario l’assenso alla mobilità per il personale assunto da meno di 3 anni. A ben vedere, tale assenso è da esprimere anche per il caso di permanenza nella sede di destinazione (fattispecie non del tutto coincidente con l’anzianità di servizio) per meno di 5 anni.

Spetta quindi a ciascuna amministrazione esprimere le motivazioni a suffragio dell’eventuale rilascio dell’assenso al trasferimento: quel che è certo, è che un dipendente con meno di 5 anni di permanenza in servizio non può vantare un diritto alla mobilità.

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