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Il Consiglio di Stato entra nel merito dei presupposti necessari per ottenere la sanatoria edilizia ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).

Diversamente dalle tre leggi speciali sul condono, l’attuale normativa edilizia (il d.P.R. n. 380 del 2001) consente l’ottenimento della sanatoria edilizia ma solo a determinate condizioni. Quali sono i requisiti richiederla?

Per rispondere a questa domanda potrebbe essere sufficiente la lettura della Parte I, Titolo IV del testo unico edilizia ma, come spesso accade, a fornire maggiori chiarimenti ci pensano sempre i tribunali. È quello che accade con la sentenza n. 286 resa dal Consiglio di Stato il 17 gennaio 2022 che tocca il delicatissimo tema dell’accertamento di conformità, istituto grazie al quale il privato cittadino si autodenuncia alla pubblica amministrazione chiedendo ammenda per le sue colpe edilizie.

Una sentenza che ci consente ancora una volta di entrare nel dettaglio della differenza tra abuso formale e sostanziale.

Nel caso di specie, una Onlus presenta una domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del TUE per aver trasformato un’unica sala polivalente, realizzando senza titolo edilizio due mini alloggi dotati di servizi igienici, soggiorno con zona cottura e camera da letto e di un archivio, oltre che un nuovo ingresso al locale portineria, mediante trasformazione di una finestra in portafinestra.

Istanza rigettata dalla pubblica amministrazione e che ha generato un primo ricorso al TAR, che lo ha rigettato, e un secondo al Consiglio di Stato. Secondo il ricorrente, sia il provvedimento di diniego che la sentenza di primo grado sarebbero erronee nella parte che ha qualificato questi interventi come ristrutturazione edilizia. Secondo il ricorrente, però, gli interventi non avrebbero realizzato un mutamento di destinazione d’uso né avrebbero aumentato volumi e superfici ovvero il carico urbanistico. La formazione di due mini-alloggi non avrebbe comportato alcun aumento della capacità ricettive, atteso che in concreto il “saldo” del numero di anziani fruitori della struttura sarebbe rimasto invariato. Si afferma, inoltre, con riguardo alla porta-finestra che non vi sarebbe stata alcuna modifica del prospetto, in quanto i lavori contestati avrebbero comportato il mero ripristino della porta preesistente.

Diverso il parere del Consiglio di Stato che ha ricordato i contenuti ed il significato dell’art. 36 del TUE che per interventi realizzati in violazione delle norme che prevedono il permesso di costruire o la Scia, consente al responsabile dell’abuso, o all’attuale proprietario di richiedere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. La cosiddetta doppia conformità dell’opera (su cui tanto si discute).

Secondo il Consiglio di Stato e secondo una giurisprudenza consolidata sull’argomento, per l’ottenimento della sanatoria edilizia sono necessari due presupposti:

  • il primo è che venga in rilievo un vizio formale e non anche sostanziale;
  • il secondo è che si rispetti la regola della cd. doppia conformità.

Due presupposti per i quali la sanatoria è consentita solo in caso di interventi realizzati senza titolo ma che avrebbero e potrebbero ancora essere realizzati ai sensi delle normative vigenti al momento della realizzazione degli stessi e al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria.

A questo punto si passa alla qualificazione dei due interventi. L’art. 3 del Testo Unico Edilizia prevede:

  • lettera b, che devono qualificarsi interventi di manutenzione straordinaria «le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico»;
  • lettera c, che devono considerarsi interventi di restauro e di risanamento conservativo, gli interventi edilizi «rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi”, aggiungendosi che “tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio».

Il successivo art. 10, comma 1, lettera c) del TUE individua tra gli interventi per i quali è richiesto il permesso di costruire anche quelli di «ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso».

Nella caso oggetto della sentenza, la creazione dei due mini alloggi si configura come ristrutturazione edilizia con incidenza sul carico urbanistico in quanto comporta l’incremento della capacità ricettiva della struttura assistenziale di due unità abitative. E non vale il rilievo che in concreto non vi sarebbe stato alcun aumento di capacità atteso che occorre avere riguardo all’astratta possibilità di un aumento della suddetta capacità.

Stesso discorso vale per l’intervento di trasformazione della finestra in porta-finestra che, modificando il prospetto dell’edificio, rientra negli interventi di ristrutturazione edilizia.

La qualificazione giuridica degli interventi effettuati comporta che gli stessi si pongono in contrasto con la destinazione urbanistica dell’area, con conseguente insussistenza dei presupposti per potere procedere all’accertamento di conformità.

Il Consiglio di Stato risponde anche al rilievo del ricorrente per il quale:

  • la sanzione applicata sarebbe irragionevole e non proporzionata;
  • avrebbe dovuto essere applicata la sanzione pecuniaria, anche in quanto sarebbe stato lo stesso Comune a richiamare il secondo comma dell’art. 33 del d.lgs. n. 380 del 2001 (fiscalizzazione dell’abuso);
  • il termine di trenta giorni sarebbe eccessivamente breve considerato che l’esecuzione dell’ordine implica il preventivo sgombero dei locali e il loto mancato utilizzo.

Il Consiglio di Stato ha confermato una giurisprudenza consolidata sull’argomento per la quale l’art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001 prevede che la sanzione specifica in presenza di interventi edilizi effettuati senza permesso di costruire è la demolizione. Nel caso in esame, una volta ritenuto che non sussistono i presupposti per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria essendo gli interventi effettuati senza permesso di costruire, la conseguenza prescritta è l’ordine di ripristino della situazione di fatto precedente che non ammette “graduazioni”. Il termine assegnato dal Comune, considerata la natura delle opere da rimuovere, è ragionevole. Il riferimento nel provvedimento impugnato all’art. 33, comma 2, sarebbe stato solo un mero errore materiale.

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