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Ordinanza del 08/08/2022 n. 24462 – Corte di Cassazione – Sezione/Collegio 5

 

Intitolazione:

ICI – Abitazione principale e comproprietà – Esenzione – Limiti.

 

Massima:

In tema di ICI, nel caso in cui sussistano diverse unità immobiliari destinate ad abitazione principale del nucleo familiare del soggetto che vi dimori, è legittima l’esenzione, nei limiti della quota posseduta, solo in relazione a detta unità, non potendo, invece, fondarsi l’estensione del beneficio anche in relazione alle altre unità immobiliari, difettando in relazione a queste il presupposto della residenza effettiva ed anagrafica da parte del soggetto che invochi l’esenzione. Nel caso di specie, ciascuna unità immobiliare era destinata ad abitazione principale del nucleo familiare del soggetto che vi dimorava, il che giustificava l’esenzione, nei limiti della quota posseduta, solo in relazione a detta unità, non potendo, invece, fondare l’estensione del beneficio anche in relazione alle altre unità immobiliari, poiché considerare tre fratelli tenuti al pagamento dell’imposta per la quota di proprietà posseduta negli immobili che costituiscono abitazione principale degli altri due fratelli corrisponde al titolo soggettivo dell’imposizione, qualificato dalla (com)proprietà del bene, x art. 3 d.lgs. 504/1992.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

 

Testo:

RILEVATO CHE:

1. con la sentenza impugnata la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, rigettava l’appello avanzato dal Comune di Viterbo contro la sentenza n. 857/4/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Viterbo, la quale aveva accolto il ricorso proposto da I., R. e B.S., così annullando i tre avvisi di accertamento ICI nn. (——) del (——), (——) del (——) e (——) del (——) ai medesimi notificati per l’anno d’imposta 2009;

1.1. il Giudice regionale, richiamando il D.Lgs. n. 504 del 1992, l’art. 8, comma 2, ravvisava che correttamente la Commissione Tributaria Provinciale avesse ritenuto che i tre beni immobili oggetto di tassazione – in comproprietà per successione ereditaria tra i contribuenti, ciascuno dei quali aveva adibito la propria residenza anagrafica in uno di essi – fossero esenti dall’imposta, in quanto costituenti abitazioni principali di ognuno degli originari ricorrenti, “trattandosi di abitazioni contigue, acquisite per successione ereditaria dai medesimi che possiedono reciprocamente una quota di comproprietà degli immobili che costituiscono abitazione principale degli altri germani”.

Il Giudice a quo aggiungeva che “appare, dunque, corretto ritenere che – sebbene la residenza anagrafica di ciascun fratello non possa riferirsi che ad una delle tre abitazioni – le vicende attinenti la divisione ereditaria non possono mutare la realtà sostanziale alla cui stregua va valutata la sussistenza dei presupposti per l’imposizione tributaria: ogni immobile costituisce abitazione principale di uno dei tre fratelli e dei suoi familiari e del tutto formalistica appare la volontà di considerare ciascuno tenuto al pagamento dell’ICI per la quota di proprietà attribuitagli negli immobili che costituiscono abitazione principale degli altri due fratelli”;

2. avverso tale sentenza il Comune di Viterbo proponeva ricorso per cassazione, notificato ai sensi dell’art. 149 c.p.c. in data 7/8 ottobre 2019, formulando tre motivi di impugnazione, depositando in data 26 aprile 2022 memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

3. i suindicati contribuenti restavano intimati.

CONSIDERATO CHE:

4. con il primo motivo di impugnazione il Comune ha lamentato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997art. 59 art. 5, comma 1, del regolamento comunale in tema di ICI approvato con Delib. consiglio 16 febbraio 1999, n. 57 nonchè del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8 e delle norme in materia di divisione ereditaria.

Tutto ciò, assumendo che il Comune di Viterbo, in linea con la previsione di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59 aveva stabilito, con il citato art. 5 del regolamento, che l’assimilazione all’abitazione principale degli immobili concessi in uso ai parenti operava soltanto a favore dei parenti in linea retta entro il secondo grado, per cui non poteva essere applicata ai contribuenti, siccome fratelli e quindi parenti in linea collaterale, con la conseguenza che ciascuno di essi non doveva effettuare il versamento dell’ICI per l’immobile abitato, ma era tenuto a pagare l’imposta relativa alle altre due abitazioni, secondo la propria percentuale di possesso (33% per ciascuno dei restanti due beni);

5. con la seconda doglianza il ricorrente ha rimproverato al Giudice regionale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di aver fornito una motivazione contraddittoria ed illogica, segnalando che l’aver riconosciuto che i germani B. “possiedono reciprocamente una quota di comproprietà degli immobili che costituiscono abitazione principale degli altri germani”, avrebbe dovuto indurre a considerare corretta l’imposizione del Comune, che aveva applicato l’esenzione dal pagamento dell’ICI a ciascun proprietario per l’immobile adibito ad abitazione principale e quindi a ciascuno dei tre fratelli per il 33%, negandola relativamente alla restante complessiva quota del 66% sugli altri due concessi in uso;

6. con la terza censura l’istante ha contestato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,. l’omessa pronuncia sul fatto, segnalato sia in primo che in secondo grado, dell’omessa presentazione, prevista dall’art. 5, comma 2, del regolamento comunale a pena di decadenza, di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio con la specifica indicazione dell’immobile ed il nome del beneficiario.

Inoltre, l’istante ha lamentato l’omessa pronuncia anche sul rilievo secondo il quale l’art. 5, comma 1, del regolamento esclude la concessione in uso al parente in linea collaterale dal beneficio dell’assimilazione all’abitazione principale.

OSSERVA:

1. Il Giudice regionale ha dato atto che gli intimati avevano dedotto nel giudizio di primo grado “di essere divenuti proprietari dei tre immobili per successione ereditaria, di avere ciascuno la residenza anagrafica in uno dei tre immobili e di concedersi gratuitamente l’un l’altro l’uso della rimanente quota di proprietà”, così contestando la pretesa “in quanto gli immobili erano rispettivamente destinati ad abitazione di ciascuno di essi” (così nella sentenza impugnata).

Risulta, quindi, pacifico, in punto di fatto, che gli intimati, comproprietari iure hereditaris in parti eguali (33%) delle tre unità immobiliari soggette a tassazione, avevano posto la loro residenza anagrafica ciascuno in uno dei citati beni.

Si discute, invece, se i contribuenti, già ritenuti dal Comune esentati dal pagamento del tributo in relazione alla quota di proprietà del bene (33%) adibito ad abitazione principale, possano godere del beneficio introdotto dalla L. n. 93 del 2008, art. 1 anche in relazione agli altri due immobili (in comproprietà) concessi in uso gratuito agli altri contitolari.

2. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione, risultano fondati ed il loro accoglimento assorbe l’esame dell’altra censura.

2.1. Questa Corte, con ribadito orientamento, ha precisato che in tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini della spettanza, per le abitazioni principali, dell’esenzione introdotta dalla L. n. 93 del 2008, art. 1 occorre che “in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente (Cass. n. 4166/2020; cfr. Cass. n. 18096/2019; 13335/2016), tenuto conto della “natura di stretta interpretazione delle norme agevolative (tra le molte, in tema di ICI, cfr. Cass. sez. 5, 11 ottobre 2017, n. 23833; Cass. sez. 6-5, ord. 3 febbraio 2017, n. 3011), condiviso anche dalla Corte costituzionale (cfr. Corte Cost. 20 novembre 2017, n. 242)” (così Cass. n. 21873/2020 e, nel medesimo senso, Cass. n. 24538/2020; Cass. 15439/2019, Cass. 12050/2018).

Già questo primo rilievo consente di ritenere contraria a tali principi la valutazione della Commissione Regionale, la quale, pur dando atto che “la residenza anagrafica di ciascun fratello non possa che riferirsi ad una delle tre abitazioni”, ha nondimeno riconosciuto il beneficio sulla scorta della citata, ininfluente, ai fini che occupano, “realtà sostanziale” (l’essere ogni immobile destinato ad abitazione principale di uno dei tre fratelli e dei suoi familiari), reputando, poi, formalistico “considerare ciascuno tenuto al pagamento dell’ICI per la quota di proprietà attribuitagli negli immobili che costituiscono abitazione principale degli altri due fratelli”, laddove, in realtà, dette circostanze (la quota di comproprietà dei due beni adibiti ad abitazione principale dei germani), risultavano integrare proprio il presupposto impositivo della pretesa in oggetto.

La predetta realtà sostanziale, infatti, dà conto che ciascuna della menzionate unità immobiliari era destinata ad abitazione principale del nucleo familiare del soggetto che vi dimorava, il che giustifica l’esenzione, nei limiti della quota posseduta, solo in relazione a detta unità, non potendo, invece, fondare l’estensione del beneficio anche in relazione alle altre unità immobiliari, difettando in relazione a queste il presupposto della residenza effettiva ed anagrafica da parte del soggetto che invoca l’esenzione.

Nè ha giuridico senso discorrere di rilievo formale, poichè considerare i tre germani tenuti al pagamento dell’imposta per la quota di proprietà posseduta negli “immobili che costituiscono abitazione principale degli altri due fratelli” corrisponde al titolo soggettivo dell’imposizione, qualificato dalla (com)proprietà del bene, a mente del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3.

2.2. Sotto altro profilo, non può poi non riconoscersi che l’esenzione risulta esclusa dall’art. 5 del regolamento comunale prodotto del ricorrente, secondo cui “Le abitazioni concesse in uso gratuito a parenti in linea retta fino al 2 grado e che nelle stesse hanno stabilito la propria residenza sono equiparate alle abitazioni principali”, con ciò quindi precludendo l’applicazione del beneficio in questione ai collaterali (fratelli).

8. Alla stregua delle valutazioni che precedono il primo ed il secondo motivo di impugnazione vanno accolti, con valore assorbente rispetto all’esame del restante motivo di ricorso.

Non essendovi altri accertamenti da compiere, la causa può essere decisa, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, nel merito, rigettando il ricorso proposto da I., R. e B.S. contro i suindicati avvisi di accertamento.

9. Il progressivo affermarsi dell’orientamento della Corte di Cassazione sopra citato in epoca successiva alla notifica del primo ricorso, giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite dei gradi di merito.

Le spese del presente grado di giudizio seguono invece la regola della soccombenza e si liquidano a favore del Comune nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte:

a. accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso proposto da I., R. e B.S. contro i suindicati avvisi di accertamento;

b. compensa integralmente tra le parti le spese dei due gradi di giudizio di merito e condanna I., R. e B.S., in solido tra di loro, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida a favore del Comune di Viterbo nella somma di 900,00 Euro per competenze, 200,00 Euro per spese vive, 135,00 Euro per il rimborso forfettario delle spese generale, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2022

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