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  1. Gli elementi di riferimento.

Il Consiglio di Stato, sez. II, con la sentenza n. 579 del 19 gennaio 2021 ha ricostruito il quadro degli elementi generali di riferimento e dei profili specifici che qualificano la natura degli atti unilaterali d’obbligo in ambito urbanistico-edilizio.

I giudici amministrativi assumono a presupposto che ’art. 11 della l. n. 241 del 1990 ha di fatto portato a sistema tutte le astratte possibilità di accordo cui la pubblica amministrazione può addivenire con i privati, in passato già previste in singole norme spesso oggetto di lettureriduttive, preoccupate di valorizzare la preponderanza del profilo pubblicistico, in qualche modo percepito come messo in pericolo o depotenziato dal suo attingere a strumenti e ambiti privatistici.

Con tale norma si è dunque definitivamente positivizzata la capacità negoziale delle amministrazioni pubbliche, individuando nel procedimento il “luogo” tipico nel quale potestà e autonomia negoziale possono trovare un giusto momento di sintesi, sì da asservire la seconda, in quanto modalità ritenuta più conveniente in relazione al singolo caso di specie, al perseguimento dell’interesse pubblico che connota la prima.

Il Consiglio di Stato evidenzia come, a fronte di un iniziale disinteresse per l’istituto, siano state successivamente ricondotte sotto l’egida dell’art. 11 numerose fattispecie consensuali tipicamente in uso proprio nella materia urbanistica, dove l’immanente esigenza di ricondurre l’esercizio dello ius aedificandi ad una più vasta cornice di buon governo del territorio, rende talvolta conveniente per l’Amministrazione “scendere a patti”, richiedendo sforzi aggiuntivi al privato in termini di dare ovvero di facere, onde orientarne la maggiore libertà di movimento verso i propri obiettivi di programmazione, nel contempo ottimizzando le aspirazioni dello stesso a ricavare i maggiori vantaggi possibili dalla proprietà.

Oggi pertanto tutta la vasta pletora di convenzioni urbanistiche comunque denominate vengono di regola ricondotte all’alveo di tale disciplina, caratterizzata dall’aggiungere al paradigma pubblico generale i canoni del dirittocivile «ove non diversamente previsto» e «in quanto compatibili» (art. 11, comma 2, della l.n. 241/1990).

  1. La qualificazione degli atti unilaterali d’obnbligo in ambito urgbanistico-edilizio.

La sentenza chiarisce tuttavia come gli atti d’obbligo, proprio in quanto “unilaterali” presentino peculiarità tali da aver meritato nel tempo un autonomo spazio nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale. Essi, cioè, pur appartenendo al più ampio genus degli atti negoziali e dispositivi coi quali il privato assume obbligazioni, si caratterizzano per essere teleologicamente orientati al rilascio del titolo edilizio nel quale sono destinati a confluire.

E’ stato pertanto affermato che essi non rivestono un’autonoma efficacia negoziale, ma incidono tramite la stessa sul provvedimento cui sono intimamente collegati, tanto da divenirne un “elemento accidentale”, mutuando la terminologia di cui alla nota sistematica civilistica che distingue tra essentialia accidentalia negotii (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. IV, 26novembre 2013, n. 5628; Cass., Sez. Un., 11 luglio 1994, n. 6527; id. 20 aprile 2007, n. 9360).

La legislazione urbanistica ha da sempre previsto tali momenti pattizi.

L’atto unilaterale, in particolare, veniva menzionato quale alternativa alla convenzione quale tipico strumento di “edilizia convenzionata”, intendendosi per tale, nella ristretta accezione originaria riveniente dalla rubrica della norma (art. 7 della l. 28 gennaio 1977, n. 10), quella finalizzata alla realizzazione di complessi residenziali per i quali l’Amministrazione intende farsi carico in via pattizia di calmierare i futuri prezzi di cessione o canoni di locazione delle unità immobiliari, sì da conciliare le esigenze di sviluppo urbanistico con quelle di politica sociale, avuto riguardo in particolare al soddisfacimento di quel bisogno primario dei cittadini che è la casa di abitazione (art. 8 della richiamata l. n. 10/1977).

Nel tempotuttavia e con lo sviluppo nella prassi di momenti pattizi, sinallagmatici o meno, il relativo contenuto ha finito per estendersi ad altre tipologie di obblighi, comunque funzionali alla valorizzazione in chiave pubblicistica dell’intervento assentito.

Gli approdi della giurisprudenza amministrativa e di quella di legittimità con specifico riferimento agli atti unilaterali non sempre sono stati omogenei. In passato, infatti, i giudici della Cassazione hanno talvolta preferito scinderne la classificazione in due tipologie in ragione del tipo di obbligo assunto dal privato: sarebbe infatti riconducibile allo schema (anche) pubblicistico di cui all’art. 31,comma 5, della l. 17 agosto 1942, n. 1150, come sostituito dall’art. 10 della l. 6agosto 1967, n. 765 (ora art. 12, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) il solo impegno dei privati a procedere direttamente alle opere di urbanizzazione primaria, laddove quello di cessione di un’area, non tipizzato normativamente,formerebbe necessariamente oggetto di un normale contratto di diritto privato(cfr. Cass., sez. II, 6 febbraio 2013, n. 2385; sez. I, 21 ottobre 2012, n. 21885).

L’impostazione, tuttavia, sconta l’idea di attribuire comunque autonomia negoziale all’atto con cui il privato si obbliga a cedere aree al Comune, laddove

nell’ambito di riferimento essa è esclusivamente funzionale al titolo edilizio cuiaccede, pena l’illegittimità per carenza di “causa” (sul punto, v. Cons. Stato, A.P.,20 luglio 2012, n. 28).

I più recenti arresti convergono piuttosto sulla accentuazione della funzione di individuazione convenzionale del contenuto di un provvedimento che l’amministrazione andrà ad emettere a conclusione del procedimento preordinato all’esercizio della funzione urbanistico-edilizia, appunto. Si è perciò affermato che la convenzione, stipulata tra un Comune e un privato costruttore, con la quale questi, al fine di conseguire il rilascio di un titolo edilizio, si obblighi ad un facere o a determinati adempimenti nei confronti dell’ente pubblico (quale, ad esempio, la destinazione di un’area ad uno specifico uso, cedendola), non costituisce un contratto di diritto privato, ma neppure ha specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano poteri autoritativi della pubblica amministrazione.

I giudici amministrativi rilevano come ciò sia stato affermato in particolare con riferimento alla tutela del diritto dei terzi che aspirino al rispetto degli obblighi assunti, con la conseguenza che, non potendosi qualificare l’atto d’obbligo come contratto a loro favore, ai sensi dell’art. 1411 c.c., i privati acquirenti dell’immobile edificato non hanno alcuna possibilità di rivendicare alcunché sulla base di esso, né, quindi, di agire per il suo adempimento, salva l’ipotesi che detto obbligo sia stato trasfuso in una disciplina negoziale al momento del trasferimento delle singole unità immobiliari (Cass.civ.,sez. II, 10 febbraio 2020, n. 3058; id., 23 febbraio 2012, n. 2742).

A valle, dunque, si pone il provvedimento amministrativo; a monte, l’accordo, via via paragonato alla accettazione della proposta pubblica, in quanto finalizzato a perseguire programmati e manifestati obiettivi urbanistici del Comune; ovvero al contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, secondo il modulo semplificato dell’art. 1333 c.c.; ovvero infine ad un mero atto negoziale, funzionale alla definizione consensuale del contenuto del provvedimento finale, che si iscrive nel procedimento di rilascio del titolo abilitativo edilizio ed è dallo stesso recepito (cfr. Cons. Stato, n. 5628/2013, cit. sub § 10, ove si finisce per optare per tale ultima ricostruzione). Quale che sia l’opzione ermeneutica preferibile, di certo l’atto d’obbligo, seppure riconducibile al modulo negoziale, non si esaurisce nello stesso, in quanto “accessivo” rispetto al titolo edilizio che lo ingloba.

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