07/01/2021 – Legittimazione attiva dell’Anac – Affidamento diretto delle attività di committenza ausiliarie a una centrale di committenza – Pagamento del corrispettivo per le attività di committenza ausiliare nella gara telematica

Processo amministrativo – Legittimazione attiva – Anac – Legittimazione ex art. 211, d.lgs. n. 50 del 2016 – Condizione.

Contratti della Pubblica amministrazione – Bando – Attività di committenza ausiliarie – Affidamento diretto a centrale di committenza – Ammissibilità – Limiti.

Contratti della Pubblica amministrazione – Bando – Attività di committenza ausiliarie – Affidamento diretto – Importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria – Ammissibilità.

Contratti della Pubblica amministrazione – Gara telematica – Piattaforma telematica gestita da ASMEL consortile – Imposizione a carico dell’aggiudicatario di oneri per servizi di committenza ausiliari – Illegittimità – Ragioni.

Tar Salerno, sez. I, 2 gennaio 2021, n. 1 – Pres. Pasanisi, Est. Esposito

Ai sensi dell’art. 211, comma 1 ter, d.lgs. n. 50 del 2016, sussistono i presupposti fondativi della legittimazione ex lege all’impugnazione degli atti di gara da parte dell’Anac che ha emesso un parere motivato segnalando all’Amministrazione le gravi violazioni riscontrate negli atti di gara e, a fronte del rifiuto della stessa Amministrazione di conformare la propria attività al citato parere, impugna gli atti ritenuti illegittimi (1).

 Ai sensi del combinato disposto degli artt. 3, comma 1, lettere i) ed m), e 39, d.lgs. n. 50 del 2016, interpretati alla luce del considerando n. 70 e dell’art. 37, par. 4, della direttiva 2014/24/UE, l’affidamento diretto delle attività di committenza ausiliarie a una centrale di committenza è possibile solo laddove la centrale di committenza già presti a favore della stazione appaltante un’attività di centralizzazione delle committenze e in relazione alla stessa; tali attività si configurano in tal caso come un ulteriore ausilio prestato in favore della stazione appaltante, volto a completare l’assistenza già fornita in relazione alle fasi prodromiche di progettazione della procedura e del contratto nonché di preparazione della documentazione di gara (2). 

Le attività di committenza ausiliare, qualora non siano svolte “da una centrale di committenza in collegamento con la fornitura di attività di centralizzazione delle committenze”, devono essere affidate con procedura competitiva, a meno che non si tratti di affidamenti di importo inferiore alle soglie di cui all’art. 35, d.lgs. n. 50 del 2016, nel qual caso deve ritenersi consentito l’affidamento diretto.

E’ illegittima la clausola del bando di gara per l’affidamento di lavori pubblici che ponga a carico dell’aggiudicatario il pagamento del corrispettivo per le attività di committenza ausiliare (consistenti nella messa a disposizione della piattaforma telematica per la gestione della procedura), trattandosi di un onere economico non previsto da alcuna disposizione del d.lgs. n. 50 del 2016 né da altra disposizione normativa, vietato dall’art. 41, comma 2 bis, dello stesso d.lgs. n. 50 del 2016 (che prevede il divieto “di porre a carico di concorrenti, nonché dell’aggiudicatario, eventuali costi connessi alla gestione delle piattaforme di cui all’art. 58”) e comunque in contrasto con il principio di concorrenza, nella misura in cui incide sulla libera elaborazione dell’offerta e introduce un costo incomprimibile (3).

  (1) Ha ricordato il Tar che i commi 1 bis e 1 ter dell’art. 211, d.lgs. n. 50 del 2016 legittimano l’Anac ad agire in giudizio “per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” ovvero “se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice”; la medesima Autorità, poi, “con proprio regolamento, può individuare i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercita i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter”.

Con il “Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’articolo 211, commi1-bis e 1-ter, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e s.m.i.”, approvato il 13 giugno 2018, l’Autorità ha dato attuazione alla citata disposizione, prevedendo, in relazione all’art. 211, comma 1 bis: all’art. 3 la contestazione dei contratti di rilevante impatto, in particolare di quelli che riguardano, ancorché potenzialmente, un ampio numero di operatori; all’art. 4 l’impugnazione degli atti amministrativi di carattere generale, quali le determine a contrarre, i bandi e i capitolati speciali di appalto; in relazione all’art. 211, comma 1 ter; all’art. 6 la contestazione delle gravi violazioni delle norme in materia di contratti pubblici, tassativamente indicate al comma 2 del medesimo articolo, che include il caso del “bando o altro atto indittivo di procedure ad evidenza pubblica che contenga clausole o misure ingiustificatamente restrittive della partecipazione e, più in generale, della concorrenza”; all’art. 7 l’impugnazione degli atti amministrativi di carattere generale, quali le determine a contrarre, i bandi e i capitolati speciali di appalto.

Come affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 6787 del 2020 “In entrambe le ipotesi, la motivazione della decisione dell’Autorità di agire in giudizio deve rendere conto della sussistenza dei presupposti ricavabili dall’art. 211 del Codice dei contratti pubblici e, nei termini in cui siano conformi, dalle disposizioni regolamentari citate, dalle quali, peraltro, non si evincono ulteriori elementi cui sia condizionato l’esercizio del potere di azione attribuito all’ANAC”.

Nel caso di specie l’Autorità fa valere l’illegittimità della procedura e di singole clausole in relazione alla qualificazione della Asmel Consortile e al ruolo svolto dalla stessa nell’ambito della gara, alla luce delle disposizioni che disciplinano l’affidamento dei servizi di committenza ausiliari, prestati dall’Asmel in relazione alla procedura in questione sulla base di un corrispettivo che si assume illegittimamente posto a carico dell’aggiudicatario con una alterazione della concorrenza. L’Autorità fa valere quindi violazioni gravi delle regole della concorrenza nell’ambito del mercato dei servizi di committenza ausiliari e dello specifico mercato a cui attiene l’oggetto della procedura. Infatti l’individuazione dei soggetti ammessi a svolgere le attività di committenza ausiliarie attiene al più ampio assetto del mercato relativo a tali attività, nell’ambito del quale le modalità di affidamento sono determinate in considerazione anche della qualità rivestita dall’affidatario; allo stesso modo l’imposizione di specifici oneri a carico dei concorrenti e dell’aggiudicatario incide sulla partecipazione alla specifica procedura.

Ricorrono pertanto i presupposti previsti dall’art. 211, comma 1 ter, del d.lgs. n. 50/216 e dal relativo Regolamento, che legittimano l’Autorità alla contestazione degli atti della procedura.

In ogni caso occorre rilevare che l’art. 211 del già citato decreto conferisce all’ANAC un’ampia legittimazione ad agire contro le violazioni delle disposizioni in materia di contratti pubblici che, disciplinando procedure competitive volte all’affidamento di tali contratti e all’attribuzione dei benefici da questi derivanti, sono peraltro di per sé in grado di incidere in maniera diretta o indiretta e comunque rilevante su profili relativi alla partecipazione e alla concorrenza.

Tale legittimazione, attribuita direttamente dalla legge, è volta infatti ad assicurare tutela agli interessi particolari e differenziati, eppure pubblici, di cui l’Autorità è portatrice, legati alla corretta applicazione della disciplina in materia di contratti pubblici e, di conseguenza, alla piena ed effettiva realizzazione degli obiettivi posti dal legislatore con la citata disciplina, consentendo alla stessa di agire al fine di ristabilire la legalità violata (con una particolare configurazione, quindi dell’interesse ad agire) a prescindere dall’iniziativa di singoli concorrenti che lamentino una lesione diretta e immediata della loro sfera giuridica.

Come affermato infatti dalla già citata pronuncia del Consiglio di Stato, “La legittimazione a ricorrere attribuita per legge all’Anac si inserisce nel solco di altre fattispecie di fonte legislativa che in passato hanno riconosciuto alle autorità indipendenti il potere di agire in giudizio (si possono richiamare l’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990 per l’AGCM; e, più recentemente, l’art. 36, comma 2, lett. m) e n), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per l’Autorità di regolazione dei trasporti; per altre ipotesi si rinvia a Cons. Stato, Ad. plen., n. 4 del 2018, al punto 19.3.4.) e non può essere qualificata nemmeno come legittimazione straordinaria o eccezionale rispetto al criterio con cui si identifica la condizione dell’azione rappresentata dall’interesse ad agire o a ricorrere, ossia il collegamento dell’interesse a ricorrere con la titolarità (o l’affermazione della titolarità) di un interesse tutelato dall’ordinamento sul piano sostanziale. Collegamento soggettivo che, nel caso di specie, si instaura senz’altro tra l’Autorità e gli interessi e funzioni pubbliche che la legge affida alla sua cura; questi non hanno ad oggetto la mera tutela della concorrenza nel settore [concorrenza per il mercato], ma sono più in generale orientati – per scelta legislativa e configurazione generale di questa Autorità, come ricavabile dalle sue molte funzioni – a prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici (tanto che la norma primaria dice solo che la ragione dell’azione sta nella violazione de «le norme in materia di contratti pubblici»), anche indipendentemente da iniziative o interessi dei singoli operatori economici o dei partecipanti alle procedure di gara (il cui interesse è piuttosto individuale, non generale come quello curato dall’Anac, ed è diretto al bene della vita connesso all’aggiudicazione, sicché esso – soprattutto nella fase della indizione della gara – non sempre coincide con gli interessi curati dall’Anac, come sopra ricordato: cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 4 del 2018 cit., al punto 19.3.5.).

L’Anac, pertanto, è titolata a curare anche in giustizia, seppure nei termini generali e nelle forme proprie del processo amministrativo, gli interessi e le funzioni cui è preposta dalla legge e sintetizzate dai precetti di questa: perciò le è consentito (anche) di agire in giudizio seppur nei limiti segnati dall’art. 211 e dal suo regolamento (così anche la citata pronuncia della Adunanza Plenaria, n. 4 del 2018, che – pur qualificando il potere di agire ex art. 211 cit. come un caso di «legittimazione processuale straordinaria» – precisa che «la disposizione di cui all’art. 211 del d.Lgs n. 50/2016 [non] si muove nella logica di un mutamento in senso oggettivo dell’interesse […] a che i bandi vengano emendati immediatamente da eventuali disposizioni (in tesi) illegittime, seppure non escludenti: essa ha subiettivizzato in capo all’Autorità detto interesse, attribuendole il potere diretto di agire in giudizio nell’interesse della legge»)”.

Il parere reso dall’Autorità, poi, sollecita l’eliminazione delle violazioni riscontrate ma non costituisce strumento di autotutela né vincola la Stazione appaltante all’esercizio di poteri di autotutela; afferma infatti la già citata pronuncia del Consiglio di Stato che il parere di cui all’art. 211, comma 1 ter, d.lgs. n. 50 del 2016 “non è riconducibile all’ambito degli strumenti di autotutela, posto che non ha natura vincolante per l’amministrazione destinataria e nemmeno crea un obbligo di agire in autotutela e in conformità al suo contenuto (come, invece, prevedeva l’art. 211, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, per la «raccomandazione vincolante» dell’Anac, al cui mancato adeguamento seguiva l’applicazione di una sanzione pecuniaria: disposizione abrogata dall’art. 123, comma 1, lett. b), del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56).

Non si può assumere, quindi, che quel parere costituisca l’atto di avvio di un procedimento di riesame in autotutela da parte della stazione appaltante, con le conseguenze che – quanto a disciplina della fattispecie e, in specie, necessaria valutazione degli interessi coinvolti – deriverebbero da tale premessa (si osservi che il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato, n. 1119 del 26 aprile 2018, reso sullo schema di regolamento per l’esercizio dei poteri di cui all’art. 211 cit., qualifica il parere di cui al comma 1-ter come atto «privo di natura provvedimentale, trattandosi di un atto di sollecitazione all’eventuale autonomo esercizio del potere di autotutela da parte della stazione appaltante […]»: punto III.3.2.)”.

Inoltre, l’esercizio del potere di ritiro da parte della Stazione appaltante sembra prescindere, nel caso previsto dall’art. 211, comma 1 ter, da una specifica valutazione circa la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, configurandosi come un potere di autotutela sui generis strettamente collegato al potere dell’Autorità di settore di rilevare la violazione della disciplina ad esso relativa e di ricorrere avverso gli atti di gara.

In ogni caso l’impugnazione proposta dall’Autorità è rivolta nei confronti degli atti della procedura e non della decisione della Stazione appaltante di non procedere al ritiro degli stessi nell’esercizio del potere di autotutela, che funge semplicemente da presupposto ulteriore della legittimazione dell’Autorità alla impugnazione dei provvedimenti. Infatti qualora l’Amministrazione decidesse, attenendosi al parere formulato dall’Autorità, di eliminare i vizi da questa riscontrati, la citata Autorità non avrebbe ragione di impugnare gli atti della procedura.

(2) Ha chiarito il Tar che la conclusione cui è pervenuto trova riscontro nella direttiva 2014/24/UE che all’art. 37, paragrafo 4 prevede che “Le amministrazioni aggiudicatrici, senza applicare le procedure di cui alla presente direttiva, possono aggiudicare a una centrale di committenza un appalto pubblico di servizi per la fornitura di attività di centralizzazione delle committenze. Tali appalti pubblici di servizi possono altresì includere la fornitura di attività di committenza ausiliarie”.

Con maggiore impegno esplicativo il considerando n. 70 della medesima direttiva prevede che “Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero avere la facoltà di aggiudicare a una centrale di committenza un appalto pubblico di servizi per la fornitura di attività di centralizzazione delle committenze senza applicare le procedure di cui alla presente direttiva. Dovrebbe anche essere ammesso che tali appalti pubblici di servizi includano la fornitura di attività di committenza ausiliarie. Gli appalti pubblici di servizi per la fornitura di attività di committenza ausiliarie dovrebbero, qualora non siano eseguiti da una centrale di committenza in collegamento con la fornitura di attività di centralizzazione delle committenze all’amministrazione aggiudicatrice interessata, essere aggiudicati conformemente alla presente direttiva. È anche opportuno ricordare che la presente direttiva non dovrebbe applicarsi nei casi in cui le attività di centralizzazione delle committenze o le attività di committenza ausiliarie non sono effettuate attraverso un contratto a titolo oneroso che costituisce appalto ai sensi della presente direttiva”.

Le norme europee avallano quindi l’interpretazione sopra delineata delle disposizioni del d.lgs. n. 50 del 2016, attribuendo alle stazioni appaltanti la facoltà di affidare in maniera diretta, alle centrali di committenza, le attività di centralizzazione delle committenze e le attività di committenza ausiliarie, sottratte pertanto alle regole della competizione qualora affidate e prestate congiuntamente alle prime; le medesime attività di committenza ausiliare, qualora non siano svolte “da una centrale di committenza in collegamento con la fornitura di attività di centralizzazione delle committenze”, devono invece essere affidate conformemente alla medesima direttiva, quindi con procedura competitiva.

(3) Ha affermato il Tar che l’art. 41, comma 2 bis, d.lgs. n. 50 del 2016, vietando di porre a carico dei concorrenti e dell’aggiudicatario i costi di gestione delle piattaforme telematiche, non consente implicitamente di porre a carico degli stessi gli eventuali altri costi connessi alla procedura, sia che si interpreti la disposizione come riferita in generale a qualunque piattaforma telematica di gestione delle procedure di gara (Cons. Stato n. 3173 del 2020; id. n. 6787 del 2020), sia che si interpreti la stessa come riferita alle sole e specifiche piattaforme di cui all’art. 58 del medesimo d.lgs. n. 50 del 2016.

È possibile infatti valorizzare il riferimento all’art. 58, d.lgs. n. 50 del 2016e riferire l’art. 41, comma 2 bis non genericamente agli oneri connessi “agli strumenti e ai dispositivi di trasmissione di ricezione elettronica delle offerte e di ricezione elettronica delle domande di partecipazione” di cui all’articolo 52, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016, ma specificamente agli oneri relativi alle “piattaforme di cui all’art. 58” ovvero alle piattaforme telematiche di negoziazione, species dei primi come evidenziato dall’art. 79, comma 5 bis, d.lgs. n. 50 del 2016 che disciplina le ipotesi di malfunzionamento in caso di “presentazione delle offerte attraverso mezzi di comunicazione elettronici messi a disposizione dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 52, ivi incluse le piattaforme telematiche di negoziazione”. L’art. 58 d.lgs. n. 50 del 2016 fa infatti riferimento alle piattaforme telematiche di negoziazione che consentono la gestione automatizzata dell’intera procedura di gara. Il primo comma del citato art. 58 si riferisce alle “procedure di gara interamente gestite con sistemi telematici nel rispetto delle disposizioni di cui al presente codice”; il secondo comma ribadisce che “le stazioni appaltanti possono stabilire che l’aggiudicazione di una procedura interamente gestita con sistemi telematici avvenga con la presentazione di un’unica offerta ovvero attraverso un’asta elettronica alle condizioni secondo le modalità di cui all’articolo 56”; il quarto comma prevede che “il sistema telematico crea ed attribuisce in via automatica a ciascun operatore economico che partecipa alla procedura un codice identificativo personale”; il settimo comma chiarisce che “conclusa la procedura di cui al comma 6 il sistema telematico produce in automatico la graduatoria”.

La ratio del divieto risiede nell’obiettivo di sterilizzare i costi relativi all’utilizzo di tali strumenti in capo ai concorrenti e all’aggiudicatario che ne risultano gli unici utilizzatori; accedendo a tali piattaforme i concorrenti possono presentare l’offerta e ottenerne la valutazione unitamente all’individuazione dell’aggiudicatario, senza alcun intervento della stazione appaltante. Questo utilizzo esclusivo potrebbe suggerire alla stessa stazione appaltante di addossare i costi relativi alla piattaforma ai concorrenti e all’aggiudicatario, quali unici utilizzatori e unici beneficiari del servizio reso dalla stessa, disincentivando così la partecipazione e l’utilizzo dello specifico strumento utile comunque all’efficientamento e alla rapidità della procedura; tale effetto risulta invece neutralizzato dal divieto posto dall’art. 41, comma 2 bis, citato.

Così ricostruita la finalità di fondo di tale disposizione, è possibile estenderne l’applicazione, come fa normalmente la giurisprudenza, anche alle altre piattaforme telematiche che, utilizzate tanto dalla stazione appaltante per la gestione digitale della procedura tanto dai concorrenti per la presentazione digitale delle offerte, generano un costo che allo stesso modo non può essere posto a carico dei concorrenti né dell’aggiudicatario in quanto in grado parimenti di incidere sulla partecipazione e sull’utilizzo delle medesime piattaforme, centrali per l’obiettivo della digitalizzazione delle procedura posto dal legislatore europeo e da quello nazionale.

La citata disposizione non consente dunque di imporre ai concorrenti e all’aggiudicatario i costi relativi alla gestione delle piattaforme telematiche ma non è possibile ricavare a contrario la facoltà della stazione appaltante di porre a carico del concorrente o dell’aggiudicatario il costo degli altri servizi di committenza ausiliari; alla luce della delineata ratio è invece possibile trarre il divieto di addossare ai concorrenti o all’aggiudicatario il costo dei servizi di committenza ausiliari in quanto servizi fruiti esclusivamente dalla stazione appaltante e acquisiti a vantaggio della stessa sulla base di una sua specifica scelta.

È quest’ultima infatti che, quale beneficiaria del servizio volto a supportare la preparazione della procedura di gara rientrante nei suoi poteri e nelle sue responsabilità, deve sopportare l’onere del pagamento del corrispettivo di tali servizi.

La facoltà della stazione appaltante di porre a carico dei concorrenti il costo dei citati servizi di committenza ausiliari non risulta peraltro prevista da alcuna disposizione di legge e si pone in contrasto con il citato art. 41, comma 2 bis.

Inoltre, considerato che né l’art. 41, comma 2 bis, d.lgs. n. 50 del 2016 né altra norma dell’ordinamento consente alla stazione appaltante di imporre all’aggiudicatario il costo dei servizi di committenza ausiliari prestati a favore della prima, è possibile rilevare il contrasto tra la clausola della documentazione di gara che impone ai concorrenti di assumere tale obbligazione e di produrre la relativa dichiarazione unilaterale d’obbligo e l’art. 83, comma 8, ultimo periodo, d.lgs. n. 50 del 2016, quale prescrizione prevista a pena di esclusione ma non contemplata da alcuna disposizione né del citato decreto né di altra legge.

Il bando e il disciplinare che impongono l’assunzione della citata obbligazione e la produzione della relativa dichiarazione le definiscono come “elemento essenziale dell’offerta”, considerando la medesima dichiarazione parte dell’offerta economica o comunque alla stessa collegata e facendo così discendere dalla mancata produzione della dichiarazione e dalla mancata assunzione dell’obbligo un effetto di irricevibilità dell’offerta ai sensi dell’art. 59, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016.

Tale disposizione individua in realtà ipotesi di irregolarità dell’offerta collegate al mancato rispetto della documentazione di gara, alla ritardata presentazione e al carattere anormalmente basso della stessa, ipotesi che comunque conducono all’esclusione del concorrente dalla procedura.

È evidente allora che con le previsioni denunciate la stazione appaltante abbia introdotto una causa di esclusione che, come sopra evidenziato, non è prevista da alcuna disposizione né del d.lgs. n. 50 del 2016 né di altra norma primaria, colpita di conseguenza da illegittimità.

La clausola inoltre risulta comunque lesiva del principio di libera concorrenza di cui all’art. 30 del citato decreto in quanto in grado di alterare il funzionamento del meccanismo concorrenziale animato dalle imprese partecipanti alla procedura di gara.

Infatti la dichiarazione unilaterale d’obbligo che i concorrenti debbono produrre all’atto della partecipazione li impegna, secondo la determina a contrarre, a corrispondere all’Asmel Consortile la somma di euro 29.056,10, oltre IVA, in caso di aggiudicazione.

La valutazione dell’incidenza della clausola sulla competizione tra i concorrenti prescinde da quella relativa alla diretta e immediata lesività della sfera giuridica degli stessi, destinata a concretizzarsi solo con l’aggiudicazione e la richiesta del pagamento della citata somma nei confronti dell’aggiudicatario; infatti non è in discussione l’interesse all’impugnazione del bando da parte di uno dei concorrenti che lamenta l’imposizione di un onere di partecipazione non previsto, ma la violazione della disciplina in materia di contratti pubblici e la lesione del principio di libera concorrenza a seguito di un ricorso proposto dall’Autorità di settore che, attivando la legittimazione straordinariamente attribuita dal legislatore, fa valere l’interesse generale al corretto svolgimento delle procedure di gara.

Con riferimento alla lesione del principio di concorrenza, occorre considerare che la citata clausola e la dichiarazione che i concorrenti sono obbligati a produrre inducono gli stessi a incorporare nell’offerta presentata il corrispettivo dei servizi di committenza ausiliari posti a carico dell’aggiudicatario, in ragione della semplice partecipazione e in vista della possibile ed eventuale aggiudicazione, al fine di disporre in tal caso delle somme necessarie ad adempiere all’obbligazione assunta senza intaccare gli utili previsti.

Tale comportamento, naturalmente indotto dall’impostazione della procedura, riduce la possibilità degli stessi concorrenti di formulare la propria proposta in maniera pienamente libera, incidendo sulla capacità di elaborare una proposta tecnica ed economica che sia concretamente espressione di scelte imprenditoriali vincolate unicamente dalle esigenze tecniche della stazione appaltante, dalla base d’asta formulata e dalle convenienze dello stesso concorrente.

L’offerta formulata, di conseguenza, viene a configurarsi come espressione non libera e non piena della capacità imprenditoriale del concorrente (ovvero della capacità di individuare le soluzioni tecniche che maggiormente corrispondono alle esigenze della stazione appaltante, riducendone i costi e contenendo gli utili), dal momento che tale capacità – e di conseguenza l’offerta che ne è l’espressione – incontrano il vincolo derivante dal futuro onere posto a carico dell’aggiudicatario.

È pur vero che, come affermato ma non dimostrato dalla Stazione appaltante, la stessa può aver tenuto conto di tale costo nella formulazione della base d’asta, aumentandola proporzionalmente e offrendo omogeneamente a tutti i concorrenti “un margine di manovra” per la formulazione di un’offerta che, senza intaccare gli utili, tenga conto dell’ulteriore onere di gara ma è anche vero che tale costo non è separato (ad esempio al pari degli oneri della sicurezza, non soggetti a ribasso) dalla base d’asta e sottratto alla competizione dei concorrenti.

Ciò favorisce comportamenti opportunistici in quanto è ben possibile che:

– alcuni concorrenti, considerando che il citato onere economico non è un onere attuale ma futuro e posto a carico del solo aggiudicatario e ritenendo poco probabile l’aggiudicazione, non tengano conto del citato costo al fine di formulare un’offerta competitiva e aumentare le ridotte chance di aggiudicazione, facendo leva altresì sulla formulazione della documentazione di gara che non preclude chiaramente la stipula in caso di mancato pagamento nonché sulla possibile nullità della clausola. Ciò consentirebbe agli stessi di prevalere sui concorrenti che, basandosi sul tenore letterale della dichiarazione unilaterale d’obbligo e facendo affidamento sulle clausole di gara così come formulate, hanno invece tenuto conto del citato costo e formulato un’offerta meno competitiva;

– i concorrenti non includano il citato costo nell’offerta, con conseguente riduzione o azzeramento degli utili in fase di esecuzione qualora tale omissione non venga rilevata in sede di verifica di anomalia, considerato che tale costo, specifico della presente procedura, non viene segnalato nell’ambito della sezione del disciplinare relativa a tale verifica.

In sintesi, i concorrenti, non sopportando immediatamente l’onere in questione (a cui pur si sono obbligati in caso di aggiudicazione), potrebbero formulare offerte esplorative che non includono il citato costo e che risultano pertanto particolarmente competitive ma in realtà elusive della previsione di gara.

È infine possibile evidenziare un ulteriore profilo di lesione del principio di concorrenza in relazione all’inclusione, nell’ambito della base d’asta, di un costo (quello relativo ai servizi committenza ausiliari) che risulta incomprimibile a differenza degli altri costi di cui la stazione appaltante tiene conto ai fini della determinazione della base d’asta stessa, costi questi ultimi che sono invece modulabili o comunque gestibili (come lo stesso costo del lavoro) in relazione alla capacità dell’impresa di contenere i costi dei fattori produttivi o di organizzare in modo efficiente l’attività, con la conseguenza che una parte della base d’asta è totalmente sottratta alla competizione dei concorrenti.

Tali profili risultano ancora più rilevanti con riferimento al contratto oggetto della presente procedura. Il contratto di concessione infatti si caratterizza per il rischio operativo gravante sul concessionario nella gestione dell’opera o del servizio ovvero per la fluttuazione della domanda e/o dell’offerta che rendono incerto il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti. In tale contesto l’equilibrio che caratterizza il contratto ben può essere alterato dalla sopportazione immediata e certa di un costo che non è comunque qualificabile come investimento (in quanto non diretto a generare future entrate) e che può essere recuperato solo mediante ricavi di gestione di per sé futuri e incerti; ciò tende a scoraggiare la partecipazione, soprattutto laddove, come spesso accade, gli utili attesi siano particolarmente contenuti.

In ogni caso il meccanismo previsto nella presente procedura determina il trasferimento a carico di concorrenti del costo dei servizi di committenza ausiliari fruiti dalla Stazione appaltante che risulta unica richiedente e unica beneficiaria di tali servizi, senza che alcun vantaggio né diretto né indiretto ne derivi agli stessi concorrenti o all’aggiudicatario; il costo dei citati servizi ricade quindi su quest’ultimo senza che ne sia certa la traslazione sulla Stazione appaltante.

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