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Sommario: 1. L’evoluzione normativa a livello internazionale – 2. La normativa nazionale – 3. Gli strumenti per la gestione del verde urbano – 4. Conclusioni.

La gestione sostenibile dell’ambiente è diventata, soprattutto negli ultimi decenni, una delle priorità non solo per le politiche dei diversi governi ma anche per ogni singolo cittadino, che sempre più si sta rendendo conto dell’importanza di una corretta gestione ambientale. In quest’ambito, si inserisce il continuo processo di urbanizzazione delle città e il ruolo assunto dal verde urbano e la sua corretta gestione.

In quest’ottica la legge 30 dicembre 2020, n. 178 recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023 istituisce una fondazione denominata “Fondazione per il futuro delle città”, con il compito di promuovere il progresso della ricerca e dell’alta formazione basata su soluzioni prevalentemente vegetali, al fine di garantire lo sviluppo del sistema produttivo nazionale in relazione alla transizione verde dell’Italia. A questo fine la citata norma incrementa il fondo per lo sviluppo delle foreste urbane.

Poiché, tuttavia, la normativa sulla gestione ambientale del verde pubblico e sullo sviluppo sostenibile è diventata sempre più corposa con il passare degli anni con il presente lavoro si vuole tracciare a brevi linee l’evoluzione normativa che ha interessato la gestione del verde urbano.

1. L’evoluzione normativa a livello internazionale

I principali documenti sul concetto di sviluppo sostenibile meritevoli di studio a partire dagli anni ’70 sono state la Conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano del 16 giugno del 1972; la Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo del 14 giugno del 1992 e la Conferenza di Johannesburg.

Meritano ancora di essere ricordati l’Agenda 21, che rappresenta un efficace programma d’azione che identifica gli obiettivi dello sviluppo sostenibile e gli strumenti necessari a realizzarlo e l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile costituisce un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.

È del 2015 il documento “Trasformare il nostro mondo. L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”, promosso da tutti i paesi dell’ONU, che identifica 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030. Questa agenda politica ha il merito, da un lato di porsi l’obiettivo di individuare e affrontare le cause delle criticità esistenti a livello della gestione sostenibile e dall’altro di abbandonarne la visione settoriale da parte dei diversi interlocutori a favore di una visione generale riconoscendo le interazioni tra i diversi temi/obiettivi. Tra i diversi obiettivi posti da Agenda 2030, si ricorda l’Obiettivo 11 “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili che assume in questo contesto una importanza particolare in quanto ci fa comprendere l’attenzione sempre maggiore che l’Unione europea sta ponendo sulla gestione sostenibile delle città.

A livello comunitario, fin dal 1973, la Commissione ha emanato programmi di azione per l’ambiente (PAA) pluriennali che definiscono le proposte legislative e gli obiettivi futuri per la politica ambientale dell’Unione, l’ultimo Piano, il settimo, è stato pubblicato nel 2013 e si intitola “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta”.

L’ambiente, tuttavia, è entrato a pieno titolo tra le priorità dell’ordinamento comunitario a partire dall’Atto Unico Europeo del 1987 che, integrando il Trattato CEE, ha esteso le competenze delle allora Comunità europee alla protezione dell’ambiente e della salute umana ed al perseguimento degli obiettivi di uso razionale delle risorse naturali.

Ricordiamo ancora la Carta delle città europee per uno sviluppo durevole e sostenibile (o Carta di Aalborg) che rappresenta uno strumento volontario adottato da diverse amministrazioni per l’adozione di politiche sostenibili ed individua 10 temi generali per una politica della sostenibilità che si traducono in altrettanti obiettivi per le politiche locali. Tra questi, la diffusione del verde cittadino viene riconosciuta tra gli indici principali di civiltà e di vivibilità delle realtà urbane. Dopo un periodo di dieci anni dalla Carta di Aalborg la Commissione Europea (COM 2005/718) con la Strategia tematica per l’ambiente urbano, riconosce il ruolo cruciale giocato dalle città per una gestione urbana sostenibile, con riguardo al trasporto, all’edilizia, alla progettazione e alla diffusione di buone pratiche e a livello locale piani in materia.

2. La normativa nazionale

A livello nazionale, la fase di profondi cambiamenti riguardo le modalità di governo della crescita urbana è iniziata con la legge 765/1967 che modificò la legge urbanistica fondamentale (L. 1150 del 17 agosto 1042) e limitò di molto le possibilità di costruire al di fuori dei centri abitati in assenza di un PRG.

Il verde urbano aveva poi trovato un’apposita disciplina nel Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici D.M. n.1444 del 2 aprile 1968, pubblicato sulla G.U. n. 65 del 16 aprile 1968, n. 97   che stabiliva un preciso rapporto tra le costruzioni edilizie a carattere residenziale, e le aree destinate ai servizi di interesse generale, comprendendo in questi anche la presenza del verde arboreo che diveniva in tal modo uno degli elementi costitutivi di quegli spazi pubblici che, nella misura di 18 metri quadrati complessivi, dovevano essere assicurati ad ogni residente.

Nel 2001, con il nuovo assetto costituzionale stabilito dalla legge n.3/01 che modifica il Titolo Quinto della Costituzione, viene attribuito allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, anche se questo fatto non comporta l’impossibilità per le Regioni di intervenire, con una propria legislazione, nella disciplina della materia, dato il carattere trasversale della tutela dell’ambiente e, quindi, la sua idoneità ad abbracciare profili che possono rientrare, di volta in volta, anche in materie di competenza concorrente o esclusiva delle Regioni.

La Corte costituzionale, infatti, nella storica sentenza n. 407 del 2002 esclude il fatto che possa “identificarsi una “materia” in senso tecnico, qualificabile come “tutela dell’ambiente”, essendo invece (…) un «valore» costituzionalmente protetto” e sostiene che “l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione esprime una esigenza unitaria per ciò che concerne la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ponendo un limite agli interventi a livello regionale che possano pregiudicare gli equilibri ambientali” e legittimando lo Stato a “dettare standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale anche incidenti sulle competenze legislative regionali ex art. 117 della Costituzione”.

In seguito, ci sono state diverse norme finalizzate a disciplinare la materia ambientale e in particolare il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, denominato Codice dell’ambiente aggiornato nel corso degli anni e, da ultimo, dalla L. 27 dicembre 2019, n. 160 fino alla promulgazione della legge n. 10 del 14 gennaio 2013, “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”, che rappresenta la prima e unica legge in materia di verde urbano e mira ad attuare il Protocollo di Kyoto. Questa istituisce presso il Ministero dell’Ambiente il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, con il compito di redigere un piano nazionale sulle aree verdi urbane e di produrre un rapporto annuale sull’applicazione nei Comuni italiani delle disposizioni urbanistiche in materia di verde. Infatti, in Italia al contrario di quello che avviene negli USA, la maggior parte degli spazi verdi sono di proprietà dei comuni che provvedono direttamente alla gestione degli spazi verdi o in maniera autonoma oppure tramite l’assegnazione dei servizi di gestione a società esterne.

La Legge 10/2013 rappresenta un importante punto di riferimento per affrontare il problema del verde urbano. Il testo della legge contiene iniziative finalizzate a favorire lo sviluppo del verde urbano così da contribuire al risparmio e all’efficienza energetica, alla riduzione dell’effetto “isola di calore estiva”, all’assorbimento delle polveri sottili, alla riduzione dell’anidride carbonica presente nell’aria ed alla raccolta delle acque piovane. Fornisce una serie di “regole” che si traducono praticamente in altrettante potenzialità, criteri, occasioni di progettazione di elementi verdi.  La Legge 10/2013 affronta infatti molteplici aspetti che vanno – tra le altre cose – dall’istituzione della Giornata nazionale degli alberi (Art. 1), all’obbligo per il comune di residenza, di porre a dimora un albero per ogni neonato e adottato e di realizzare un bilancio arboreo a fine mandato (Art. 2); all’istituzione del Comitato per lo sviluppo del verde pubblico presso il Ministero dell’ambiente, intestandogli funzioni ad ampio raggio (Art. 3); alle disposizioni in ambito urbanistico e territoriale (Art. 4); alla sponsorizzazione di aree verdi (Art. 5); alla promozione di iniziative locali per lo sviluppo degli spazi verdi urbani nell’ottica del miglioramento ambientale e della sensibilizzazione della cittadinanza (Art. 6); alla tutela e salvaguardia degli alberi monumentali (Art. 7), veri “patriarchi verdi” di grande valore culturale oltre che ambientale ed estetico.

Tra le diverse novità è da sottolineare la previsione dell’art. 5 che stabilisce, attraverso la modifica dell’art. 43 della legge 449/1997, che le Pubbliche Amministrazioni possano stipulare contratti di sponsorizzazione e accordi di collaborazione con soggetti privati ed associazioni al fine di promuovere iniziative finalizzate a favorire l’assorbimento dell’anidride carbonica (CO2) dall’atmosfera tramite l’incremento e la valorizzazione del patrimonio arboreo delle aree urbane, nonché quelle dei comuni destinate alla creazione e alla manutenzione di una rete di aree naturali ricadenti nel loro territorio.

Di recente è stato emanato il decreto-legge 14 ottobre 2019, n. 111 convertito nella legge 12 dicembre 2019, n. 141 recante “Misure urgenti per il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria e proroga del termine di cui all’articolo 48, commi 11 e 13, del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge  15  dicembre  2016,  n. 229”, noto più comunemente come decreto Clima, che prevede una serie di interventi, finalizzati a ridurre quei comportamenti aventi effetti dannosi sull’ambiente e a migliorare la qualità della vita, soprattutto nelle aree metropolitane. Il decreto in questione per incentivare la difesa dell’ambiente e il miglioramento della qualità dell’aria prevede una serie di finanziamenti a favore dei Comuni da destinare a diverse opere. Rientrano tra queste la messa a punto di un piano di riforestazione e bonifiche: per piantumazione, reimpianto di alberi, creazione di foreste urbane, per le quali si potrà usufruire di un fondo di 30 milioni di euro da destinare alle aree urbane e periurbane dove le zone verdi scarseggiano. Ci sono diversi commi della legge di bilancio per il 2020 che prevedono finanziamenti ai Comuni per la riqualificazione urbana, cosa che dimostra un interesse crescente per i progetti di rigenerazione urbana.

La disciplina degli appalti verdi trova applicazione nella Direttiva Europea n. 2004/18 che è stata recepita in Italia solamente nel 2015 con la legge 221/15. Prima del 2015 gli appalti verdi in Italia erano considerati uno strumento facoltativo, con la legge 221/2015 invece sono divenuti come strumenti obbligatori per tutte la Pubblica Amministrazione. Tutta la disciplina è stata comunque inserita nel codice degli appalti pubblici (d.lgs. 50/2016), il quale è in continuo aggiornamento. Il principale obiettivo degli appalti verdi è quello di controllare e tenere sotto controllo il livello di inquinamento a livello nazionale. L’art. 34 del codice degli appalti pubblici prevede l’obbligo da parte della PA di inserire nella documentazione di gara e nel contratto di esecuzione i CAM (criteri ambientali minimi) definiti anno per anno dal Ministero dell’Ambiente.

Pochi mesi or sono, l’ANAC ha siglato con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare un Protocollo di intesa per assicurare la sostenibilità ambientale degli acquisti delle Pubbliche Amministrazioni. Esso riguarda, nello specifico, la definizione delle eventuali informazioni necessarie al monitoraggio sia nella fase di aggiudicazione che di esecuzione dei contratti pubblici, nonché la definizione di indicatori di criticità nella fase esecutiva dei contratti e di criteri di sostenibilità ambientale anche al fine dell’individuazione di casi specifici  da inserire  nei piani di vigilanza ANAC; la condivisione di atti di indirizzo, linee guida, clausole-tipo per bandi e capitolati e simili atti, che verranno ritenuti necessari ai fini di una ottimale attuazione delle norme in materia di sostenibilità ambientale degli acquisti pubblici; la collaborazione alla realizzazione di iniziative formative per i funzionari della P.A.

Ad oggi, l’ANAC non è stata in grado di offrire un servizio di controllo efficiente, tanto che molti appalti pubblici non rispettano tuttora i CAM.

Sul punto si è espressa anche la Giurisprudenza che ha sottolineato il grave pericolo derivante dal mancato rispetto dei criteri ambientali minimi da parte degli operatori economici, tanto da escludere dalla gara, e per forza di cose anche dall’aggiudicazione, l’appaltatore che con la propria offerta non rispetti i CAM (TAR Toscana, sentenza 14 maggio 2018 n. 645). Per questi motivi è stato emanato il D.M. n. 63 del 10 marzo 2020, che integra la legge di riferimento del 2015 ed introduce per gli operatori del settore l’obbligo di garantire il rispetto dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) per il servizio di progettazione di nuova area verde o riqualificazione dell’area già esistente, per il servizio di gestione e manutenzione del verde pubblico e per la fornitura di prodotti per la gestione del verde. Il decreto al fine di raggiungere gli obiettivi ambientali definiti nell’ambito del Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione fornisce alcune indicazioni per le stazioni appaltanti e stabilisce i Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio progettazione di nuova area verde o riqualificazione di un’area già esistente, per l’affidamento del servizio di gestione e manutenzione del verde pubblico e per la fornitura di prodotti per la gestione del verde pubblico (materiale-florovivaistico, prodotti fertilizzanti e impianti per l’irrigazione).

L’obiettivo finale della norma è quello di incrementare e valorizzare il patrimonio del verde pubblico, in considerazione dei benefici ad esso associati e mettendo in atto un approccio sistematico, integrato e innovativo proiettato sul lungo termine piuttosto che sulla gestione dell’immediato e delle emergenze.

L’approccio strategico sopra descritto può essere garantito purché le stazioni appaltanti, ed in particolare le amministrazioni comunali, abbiano predisposto gli strumenti previsti dalla normativa per la gestione del verde pubblico come il censimento del verde, il piano del verde, il regolamento del verde pubblico e privato e il bilancio arboreo.

3. Gli strumenti per la gestione del verde urbano

A livello nazionale è indispensabile e non più rimandabile che vengano messi in atto da parte delle Amministrazioni comunali, per il governo dei sistemi verdi urbani e peri-urbani, tutti gli strumenti di pianificazione urbanistico-territoriale che le stesse hanno a disposizione e che sono riconducibili essenzialmente a questi tre strumenti di settore:

– il Censimento del verde: rilievo puntuale del singolo albero area per area. fornisce quindi dati quantitativi e qualitativi delle aree verdi e degli alberi presenti sul territorio comunale;

– il Regolamento del verde: strumento operativo per la progettazione, manutenzione, tutela e fruizione del verde pubblico (e a volte anche privato). Si tratta di uno strumento da collegare direttamente agli altri documenti integrativi del P.R.G. (Piano Regolatore Generale) al fine di ottenere un’organica gestione del verde cittadino. Il Regolamento ha carattere prevalentemente prescrittivo e generalmente detta norme sulla progettazione, l’attuazione, la manutenzione del verde pubblico e privato, descrivendo le modalità di realizzazione delle nuove realizzazioni pubbliche e private, le specie e le tipologie dispositive suggerite per le diverse funzioni ornamentali (strade, parchi, giardini pubblici, ecc.) e per i diversi soggetti fruitori.

– il Piano del verde contiene una visione strategica sul futuro verde della città, rappresenta anch’esso uno strumento di pianificazione integrativo del PRG e dev’essere istituito con apposita delibera comunale. In esso vengono programmati gli interventi per lo sviluppo qualitativo e quantitativo del verde e per sua gestione e manutenzione. In base alle caratteristiche del territorio locale il Comune decide oltre alla quantità anche le tipologie di piante da introdurre nelle diverse aree.

Alcuni Comuni hanno sottoscritto la Carta del Verde Urbano che rappresenta un documento avente natura più divulgativa ed informativa e meno prescrittiva rispetto agli strumenti precedenti che viene comunque adottato con Delibera comunale e utile a sensibilizzare i diversi soggetti ad una gestione sostenibile del verde urbano. Si tratta di strumenti non alternativi ma complementari e di supporto l’uno all’altro, che l’Amministrazione comunale può adottare, in base alle indicazioni della Legge n. 10/2013, “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”.

4. Conclusioni

Lo sviluppo sostenibile auspicato dai diversi Governi a livello globale richiede per la sua attuazione strategie a livello locale capaci di incidere sui singoli territori, in applicazione del principio di sussidiarietà.

Il futuro sarà contrassegnato da una crescente concentrazione di popolazione e attività economiche nelle aree urbane. Questa concentrazione riguarderà sia le città dei Paesi tecnologicamente avanzati che le città dei Paesi in via di sviluppo presenti nel sud del mondo, sulle quali per anni sono state effettuate, tra l’altro, politiche poco sostenibili e di mero sfruttamento delle risorse naturali che hanno reso queste città molto più vulnerabili dal punto di vista ambientale

In quest’ottica devono essere valorizzate le diverse funzioni svolte dal verde urbano a partire da quella ecologico-ambientale, in quanto equilibra e mitiga gli effetti di degrado, di inquinamento e di impatto ambientale prodotto dalle attività e dalle costruzioni dell’uomo, regolando il microclima e arricchendo le biodiversità, fino a quella salutistica ed educativa perché agisce positivamente sul benessere psico-fisico delle persone. Da non sottovalutare infine il fatto che il verde svolge anche una funzione estetica ed architettonica in quanto arricchisce l’aspetto delle città come un vero e proprio arredo urbano e può contribuire a creare delle città migliori dal punto di vista estetico contribuendo così ad attirare turisti e a stimolare l’economia delle città medesime.

Il modello di sviluppo da seguire nell’ambito della sostenibilità urbana deve avere quindi un approccio di tipo olistico e soddisfare i principi fondamentali della sostenibilità. Detti strumenti consentono un approccio integrato alla gestione del territorio con effetti positivi sia dal punto di vista economico, nel contenimento di alcuni dei danni ambientali sia perché presuppongono l’intervento dell’uomo nella gestione di aree naturali e seminaturali presenti sul territorio. L’Europa sta investendo molto nella politica delle infrastrutture verdi e anche a livello nazionale si stanno sviluppando in alcune città esempi virtuosi di infrastrutture verdi.

 


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