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Abstract [It]:

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale i consiglieri comunali possono accedere a  tutti gli atti utili all’espletamento delle loro funzioni, non incontrando neppure alcuna limitazione derivante dalla  eventuale natura riservata delle informaz ioni, in quanto essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente  determinati dalla legge. Il presente contributo approfondisce il quadro normativo e giurisprudenziale sul diritto di  accesso del consigliere comunale, focalizzando, in particolare, il segr eto d’ufficio al quale è vincolato.

Sommario: 1. Premessa. 2. L’ostensione come diritto “soggettivo pubblico funzionalizzato” del consigliere comunale. 3. Il diritto di accesso per l’espletamento del munus publicum del consigliere comunale tra art. 43 del t.u.e.l. e art. 326 c.p. 4. Conclusioni

 

1. Premessa

Per quel che rileva in questa sede è d’uopo — anzitutto — definire i confini del diritto di accesso riconosciuto ai consiglieri comunali dall’art. 43, comma 2 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u.e.l.1.

Una consolidata e uniforme giurisprudenza in materia configura la natura della posizione ricoperta dal consigliere quale prerogativa di controllo democratico sull’amministrazione di appartenenza che — salvo in motivazione negare l’accesso a quei documenti sottoposti a un regime speciale di segretezza — non incontra alcuna limitazione purché il diritto sia proteso strumentalmente all’esercizio della funzione pubblica affidata.

_ Preliminarmente si ritiene, dunque, opportuno delineare con l’aiuto degli approdi giurisprudenziali, — seppure in modo succinto, e nella sola prospettiva che qui interessa — i caratteri propri e la latitudine del diritto di accesso riconosciuto ai consiglieri comunali2.

L’art. 43 del t.u.e.l. prevede il diritto dei consiglieri comunali di ottenere dagli uffici tutte le notizie e informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del loro mandato. Pertanto, la ratio della norma riposa nel principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale, sicché tale diritto è direttamente funzionale non tanto all’interesse del consigliere comunale ma alla cura dell’interesse pubblico connessa al mandato conferito, controllando il comportamento degli organi decisionali del Comune.

Quanto ai presupposti, si è osservato come non sia necessaria una connessione tra la conoscenza dei dati richiesti con l’attività espletata nel mandato di consigliere. Il diritto di accesso dei consiglieri comunali non è soggetto ad alcun onere motivazionale giacché diversamente opinando sarebbe introdotta una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio del mandato del consigliere.

Gli unici limiti si rinvengono nel presupposto incontrovertibile che l’esercizio di tale diritto deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e che non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative che si traducono in un sindacato generale sull’attività amministrativa, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto medesimo3.

In base al menzionato art. 43 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, t.u.e.l., i consiglieri comunali, ivi inclusi ovviamente quelli di minoranza, vantano un diritto di accesso incondizionato a tutti gli atti che possano essere “utili” all’espletamento del loro mandato4 — purché non invada l’ambito riservato all’apparato amministrativo e non integri, però, un abuso del diritto — al fine altresì di permettere di valutare con piena cognizione la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del consiglio comunale e per promuovere, nell’ambito del consiglio medesimo, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.

Dal nomen juris “atti utili”, contemplato nel citato articolo 43 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u.e.l., non può conseguire alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, garantendo detto aggettivo, in realtà, l’estensione a qualsiasi atto ravvisato utile per l’esercizio del mandato5.

Simili conclusioni si appalesano vieppiù stringenti ove ad azionare l’istituto siano consiglieri di minoranza, ai quali i principi fondanti delle democrazie e la legge attribuiscono compiti di controllo dell’operato della maggioranza e, quindi, dell’esecutivo, qui inteso nella sua più larga accezione di apparato politico e amministrativo, se pur, si intende, da esplicarsi nel rispetto della legge, ovvero senza indebite incursioni in ambiti riservati all’apparato amministrativo dalla legge medesima e senza porre in essere atti o comportamenti qualificabili come abuso del diritto.

2. L’ostensione come diritto “soggettivo pubblico funzionalizzato” del consigliere comunale

Quello riconosciuto al consigliere si configura, pertanto, quale diritto — “soggettivo pubblico funzionalizzato” — espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività, dai confini più ampi rispetto sia al diritto di cui all’art. 10 del t.u.e.l., sia a quello disciplinato dall’art. 22 della l. n. 241/1990 (6).

Qualsiasi diniego determinerebbe una compressione illegittima della funzione consiliare, salvo ipotesi eccezionali e contingenti, da motivare adeguatamente, o la dimostrazione che si tratta di richieste d’accesso manifestamente inconferenti rispetto all’esercizio delle funzioni dell’ente locale o addirittura presentate per interesse personale.

La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi ha, a tal riguardo, ribadito che “l’accesso ai documenti deve essere concesso nei tempi più celeri e ragionevoli possibili in modo tale da consentire il concreto espletamento del mandato da parte del consigliere ex art. 43 t.u.e.l., fatti salvi i casi di abuso del diritto all’informazione, attuato con richieste non contenute entro i limiti della proporzionalità e della ragionevolezza e che determini un ingiustificato aggravio dell’ente”7.

Di più, secondo la Commissione “il diritto di accesso agli atti del consigliere comunale non può subire compressioni per pretese esigenze di ordine burocratico dell’Ente, tali da ostacolare l’esercizio del suo mandato istituzionale; l’unico limite è rappresentato dal fatto che il consigliere comunale non può abusare del diritto all’informazione riconosciutagli dall’ordinamento, interferendo pesantemente sulla funzionalità e sull’efficienza dell’azione amministrativa dell’Ente civico (nel caso di specie sulle funzioni dell’organismo indipendente di valutazione), con richieste che travalichino i limiti della proporzionalità e della ragionevolezza”8.

Ancora, a parere di una parte della giurisprudenza la richiesta dovrebbe essere “precisa e puntuale, non potendosi richiedere indiscriminatamente di accedere a tutti i fascicoli adottati successivamente ad una determinata data ed a quelli ancora da adottare”9.

A conferma dell’ampiezza del diritto si rileva che il suo esercizio è esteso a tutti gli atti del Comune, anche non formati dalla pubblica amministrazione di appartenenza, e, in genere, a qualsiasi notizia o informazione utile ai fini dell’esercizio delle funzioni consiliari10.

Contestualmente non si può però interpretare quale pretesa indiscriminata e generalizzata a ottenere qualsiasi atto dell’amministrazione giacché la loro cognizione è pur sempre finalizzata all’espletamento del mandato che costituisce, nel contempo, il presupposto legittimante l’accesso e il fattore che ne delimita la portata11.

Seppure appaia inconfutato che il diritto dei consiglieri comunali risulti a oggi essenziale per verificare il corretto esercizio del potere da parte degli organi dell’ente, la sua previsione può scontrarsi con altri valori costituzionali, quali la segretezza e la riservatezza.

Laddove emersi, si è assistito sovente a una dilatazione del diritto de quo, pertanto, oggi, non sarebbe esperibile opporre profili di riservatezza se l’esercizio del diritto è connesso al mandato istituzionale, salvo i consequenziali obblighi di segretezza e divieto di divulgazione incombenti sul consigliere in conformità alla previsione per cui “essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”12.

Così, nell’ambito della disciplina sulla protezione dei dati personali, il consigliere è legittimato ad acquisire le notizie e i documenti concernenti dati personali, anche sensibili, poiché tale attività trova la sua base giuridica in una norma di legge, o in autorizzazioni del Garante per la protezione dei dati personali o negli atti regolamentari e organizzativi delle singole amministrazioni13. Il diritto di accesso dei consiglieri comunali, quindi, si atteggia quale latissimo diritto all’informazione al quale si contrappone l’obbligo degli uffici di fornire ai richiedenti tutte le notizie e informazioni in loro possesso, fermo il divieto di perseguire interessi personali o di tenere condotte emulative.

Diversamente, però, è stato ritenuto con riferimento all’accesso ai documenti coperti dal segreto. La giurisprudenza ha statuito fin da subito che l’innovazione legislativa introdotta con il t.u.e.l. non poteva travolgere le diverse ipotesi di segreto previste dall’ordinamento, anche in presenza di documenti formati o detenuti dall’amministrazione.

L’esistenza di ipotesi speciali di segreto è stata esplicitata dall’art. 24, comma 1, lett. a) della l. n. 241/1990 che esclude il diritto di accesso “nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge”, riferendosi a casi in cui l’esigenza di segretezza è volta alla protezione di “interessi di natura e consistenza diversa da quelli genericamente amministrativi”14.

Si è così affermato che il diritto non è esercitabile nei confronti di alcuni tipi di provvedimenti, quali gli atti legali redatti a fini consulenziali per l’amministrazione e relativi a processi pendenti, da ritenersi segreti e non sufficientemente protetti dal semplice obbligo di non divulgazione delle notizie ivi riportate. Se così non fosse, l’accesso del consigliere ai documenti coperti da segreto assumerebbe una portata oggettiva più ampia di quella riconosciuta ai cittadini e ai titolari di posizioni giuridiche differenziate, pure comprensive di situazioni protette a livello costituzionale. Le esigenze connesse all’espletamento del mandato non potrebbero, pertanto, autorizzare un privilegio incondizionato a scapito di altri soggetti interessati e a sacrificio degli interessi tutelati dalla normativa sul segreto.

In effetti, il riconoscimento da parte del predetto art. 43 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u.e.l., di una particolare forma costituita dall’accesso del consigliere comunale per l’esercizio del mandato di cui è attributario, non può condurre allo stravolgimento dei principi generali in materia di accesso ai documenti.

Una simile actio ad exibendum, inoltre, non può comportare che, attraverso uno strumento dettato dal legislatore per il corretto svolgimento dei rapporti cittadino/pubblica amministrazione, il primo, servendosi del baluardo del mandato politico, ponga in essere strategie ostruzionistiche o di paralisi dell’attività amministrativa con istanze che a causa della loro continuità e numerosità producano un aggravio notevole del lavoro negli uffici ai quali sono rivolte e determinino un sindacato generale sull’attività dell’amministrazione oramai vietato dall’art. 24, comma 3 della l. n. 241 del 1990.

Soprattutto, la particolare disposizione del testo unico degli enti locali va coordinata con la modifica introdotta all’art. 22 della l. n. 241 del 1990 dalla l. n. 15 del 2005, di tal che, in egual misura, il consigliere comunale deve essere portatore di un interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale richiede l’accesso.

Sulla base di tali considerazioni generali, pertanto, sarebbe legittimo un plausibile diniego eventualmente opposto da un’amministrazione comunale alla richiesta rivolta da un consigliere comunale diretta all’estrazione di copie in assenza di motivazione in ordine all’esistenza dei presupposti del diritto di accesso, soprattutto in presenza di un’istanza che tende ad ottenere una documentazione pletorica.

Siffatta istanza appare, così, tendente a compiere un sindacato generalizzato dell’attività degli organi decidenti, deliberanti e amministrativi dell’ente che non all’esercizio del mandato politico finalizzato ad un organico progetto conoscitivo in relazione a singole problematiche che di volta in volta prefigura l’elettorato.

Pertanto, in buona sostanza, la vis espansiva dell’ostensione richiesta dal consigliere comunale — ritenendo la nozione di “notizie e informazioni” più lata della nozione di “documenti” ravvisabile nell’art. 22 della l. n. 241 del 1990 — investe ogni elemento conoscitivo in possesso dell’amministrazione, anche non riferibile alle competenze del consiglio comunale, purché sempre inerente al munus rivestito15.

Pur tuttavia vale il principio, affermato dai giudici di Palazzo Spada, a memoria del quale il rimedio dell’accesso può essere invocato esclusivamente al fine di ottenere il rilascio di copie di documenti già formati e materialmente esistenti presso gli archivi dell’Amministrazione che li possiede.

3. Il diritto di accesso per l’espletamento del munus publicum del consigliere comunale tra art. 43 t.u.e.l. e art. 326 c.p.

La richiesta di accesso agli atti da parte del consigliere presenta, contestualmente, degli ovvi risvolti penalistici. Infatti, l’art. 43 comma 2 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, t.u.e.l., stabilendo che i consiglieri sono tenuti al segreto per le notizie acquisite esercitando il diritto d’accesso, li espone all’applicazione dell’art. 326 c.p. in caso di violazione di tale segreto.

Il contenuto dell’obbligo la cui violazione è sanzionata dal summenzionato art. 326 c.p. non è, difatti, limitato soltanto alle informazioni sottratte alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma si estende altresì alle informazioni la cui diffusione sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, perché effettuata senza il rispetto delle modalità previste, ovvero nei confronti di soggetti non titolari del relativo diritto16. In base a tale indirizzo la rivelazione da parte del consigliere comunale delle informazioni acquisite esercitando il diritto d’accesso è punibile ai sensi dell’art. 326 c.p.

In definitiva sarebbe, prima facie, di tutta evidenza che, pertanto, l’accesso del consigliere comunale non può essere precluso qualora gli atti contengano dati personali, vigendo il divieto di divulgarne il contenuto, attesa la sua funzione che gli impone di rispettare il segreto nei casi previsti dalla legge e dal regolamento comunale.

L’esercizio del diritto di accesso assegnato dalla legge ai consiglieri comunali nell’ambito dell’attività di controllo eseguita nei confronti del governo locale, ineluttabilmente, reca con sé profili collegati alla riservatezza e alla protezione dei dati personali.

Il diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati non si configura come prerogativa assoluta, e, dunque, va interpretato in chiave sociale e combinato con gli altri diritti fondamentali in omaggio al principio di proporzionalità17.

Risulta, pertanto, indispensabile coniugare l’ostensione del consigliere comunale ai documenti ufficiali e l’impiego delle informazioni del settore con il diritto alla riservatezza18.

La vicendevolezza correttamente calibrata tra trasparenza amministrativa e riservatezza, determina l’attuazione di un controllo capillare sull’azione amministrativa, sull’utilizzo delle risorse e sull’idoneità della gestione della performance, che consente di far fronte in modo appropriato alle esigenze dei cittadini, meglio informati e portatori di interessi sempre nuovi, costituendo — in tal guisa — una delle priorità e delle sfide maggiori per un’amministrazione locale19. Tali esigenze non sono unicamente protese all’erogazione di servizi di qualità ma mirano, anzitutto, al pieno recupero della fiducia dei cittadini — notoriamente compromessa — con una rinnovata legittimazione sociale all’attività amministrativa.

Si profila, in tal guisa, un diritto soggettivo pubblico all’ostensione, quale corollario del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività, funzionalmente correlato alla salvaguardia di un interesse pubblico insito nel mandato conferito ai consiglieri dai cittadini elettori20 piuttosto che all’interesse personale di ciascun rappresentante.

Si è, quindi, dinanzi a un diritto politico funzionale alla tutela dell’interesse pubblico che costituisce la premessa legittimante l’ostensione e, nel contempo, il solo tratto di demarcazione. Talché, il legislatore non prescrive un onere motivazionale, che potrebbe innescare un controllo arbitrario dell’Ente pubblico, e contestualmente non attribuisce all’autonomia locale il potere di contestarlo21.

Ciò nondimeno, il legislatore consente al consigliere di prendere visione di atti, documenti, e ottenere informazioni senza fissare dei paletti in ordine a notizie, oggetti e materie riservate, in forza della previsione dell’obbligo del segreto.

Un simile itinerario ermeneutico induce, pertanto, a ritenere che il diritto di accesso si traduca nel più ampio diritto a prendere visione di tutto quanto contenuto all’interno del protocollo generale, purché concernente atti ed informazioni utili per l’espletamento del suo munus publicum, in virtù dell’esistenza dell’obbligo del segreto che consente di incrementare significativamente l’ambito oggettivo del diritto di accesso22.

I giudici di Palazzo Spada, al riguardo, hanno affermato «che secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, da cui non vi è motivo di discostarsi (Cons. stato, sez. V, 17 settembre 2010, n. 6963; 9 ottobre 2007, n. 5264), i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento delle loro funzioni, ciò anche al fine di permettere di valutare — con piena cognizione — la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale»23.

Il medesimo Consiglio di Stato ha, altresì, precisato «che il diritto del consigliere comunale ad ottenere dall’ente tutte le informazioni utili all’espletamento delle funzioni non incontra neppure alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato al segreto d’ufficio»24.

Riguardo a fattispecie analoga, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha affermato che «con riguardo alla posizione specifica dei consiglieri comunali, occorre chiarire la portata della espressione normativa “essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge” (articolo 43, comma 2 del T.u. 18 agosto 2000 n. 267). La norma, per la sua collocazione sistematica e per il suo significato letterale, intende ribadire la regola secondo cui, lecitamente acquisite e le informazioni e le notizie utili all’espletamento del mandato, il consigliere, di regola, è autorizzato a divulgarle. Un divieto di comunicazione a terzi deve derivare da apposita disposizione normativa. In tale prospettiva si spiega, coerentemente, il rapporto tra la disciplina sulla protezione dei dati personali e la pretesa all’accesso del consigliere comunale. Questi è legittimato ad acquisire le notizie e i documenti concernenti dati personali, anche sensibili, poiché, di norma, tale attività costituisce “trattamento” autorizzato da specifica disposizione legislativa (legge 675 del 1996; decreto legislativo 135 del 1999), secondo le regole integrative fissate dalle determinazioni ed autorizzazioni generali del Garante e dagli atti organizzativi delle singole amministrazioni. Ma il consigliere comunale non può comunicare a terzi i dati personali (in particolare quelli sensibili) se non ricorrono le condizioni indicate dalla normativa in materia di tutela della riservatezza. Questi principi sono alla base della decisione n. 940 del 2000 della Sezione, la quale ammette l’accesso del consigliere comunale anche nei casi in cui esso incide sulla riservatezza dei terzi, senza affrontare la diversa questione dell’accesso ai documenti coperti dal segreto, per la tutela di diversi interessi»25.

4. Conclusioni

Alla luce di una giurisprudenza consolidata le notizie acquisite dai consiglieri comunali nell’esercizio del proprio diritto di accesso sono divulgabili, ove ciò non sia espressamente vietato da disposizioni legislative specifiche26. In tal guisa, la commistione tra il diritto di accesso, nella rinnovata veste digitale, e il diritto alla riservatezza appare di plateale evidenza. Il diritto all’informazione e il diritto alla privacy costituiscono, infatti, due interessi di rango primario che, in quanto tali, devono ritenersi entrambi meritevoli di costante ed adeguata tutela da parte dell’ordinamento giuridico27.

Sostanzialmente, viene a delinearsi, in ragione della generale operatività del principio di trasparenza, un insieme di precetti che impongono l’adozione di misure di sicurezza indispensabili ad evitare un abuso del diritto di accesso ovvero un uso non conforme a quello consentito dalla legge per finalità istituzionali connesse all’esercizio del mandato di consigliere.

I consiglieri comunali hanno, dunque, il diritto di accedere a tutti i documenti, atti e provvedimenti, non già per la sola circostanza di rivestire la carica di consigliere comunale28, ma piuttosto in quanto l’istanza risulti utile all’espletamento del loro mandato in conformità all’art. 43 t.u.e.l.29.

Pertanto, l’esercizio del diritto di accesso da parte dei consiglieri potrà essere considerato come lecito trattamento autorizzato di dati e di informazioni funzionali al perseguimento di finalità istituzionali, a condizione che l’accesso medesimo risulti essenziale, compatibile ed effettivamente utile per lo svolgimento del mandato. Invero, è la previsione dell’obbligo del riserbo ad intervenire per ricondurre quella contezza, tanto amplia e tanto delicata, nella categoria della riservatezza.

Ciò nondimeno, tale intervento precettivo non pare persuadere ai fini dell’esigenza di protezione dei dati personali. Infatti, nell’ambito dell’ente comunale, per quanto concerne il consigliere comunale coinvolto nel trattamento dei dati personali detenuti dal Comune, il legislatore dovrebbe imporre un’autentica protezione dei dati personali, intesa come controllo effettivo e non più come mera non intromissione, non vigendo la condanna per rivelazione del segreto d’ufficio per colui che divulga notizie concernenti la pubblica amministrazione.

Sono tutelati, difatti, esclusivamente i casi normativamente previsti e, dunque, restringendo il novero delle ipotesi in cui il diritto di ostensione può essere circoscritto, la sola legge può disporre la copertura degli atti.

Un simile reato, invero, non può essere contemplato solo allorquando i documenti che sono stati divulgati rivestano la qualifica specifica di atti segreti per espressa voluntas legis.

Il codice penale, infatti, non tutela il segreto in via principale, bensì lo ritiene funzionale ad altri beni/interessi e, quindi, da salvaguardare strumentalmente nell’ambito della tutela di tali beni. Le norme che puniscono gli abusi del segreto rinvengono una collocazione codicistica dipendente non solo dall’oggetto del segreto ma altresì da chi ne è titolare e, quindi, dalla soggettivazione che detiene il bene-interesse correlato30. Ne scaturirebbe, pertanto, l’assoluzione di un consigliere comunale, colpevole di aver diffuso alcune informazioni acquisite nell’esercizio del proprio diritto all’ostensione, laddove la fattispecie non integri uno dei casi in cui la legge impone il segreto d’ufficio.

La denuncia per rivelazione di segreti d’ufficio è esperibile qualora i documenti divulgati dal consigliere comunale rivestano la qualifica di atti segreti, giacché la nozione di segreto d’ufficio, presuppone l’esistenza di atti tipici, che per espressa disposizione legislativa, siano coperti dal requisito della segretezza31. Il reato ex articolo 326 c.p. sussiste, dunque, solamente nell’ipotesi in cui vi sia una espressa tutela penale con relativo obbligo di segretezza: si deve, pertanto, trattare di un atto tipico32.

Pertanto, il reato non si perfeziona perché manca l’elemento oggettivo. Or dunque, atteso come il reato di violazione del segreto d’ufficio ricorre allorché il pubblico ufficiale sia ad esso obbligato da legge, regolamenti, o dalla natura della notizia se questa possa recare danno alla p.a., la diffusione delle informazioni entrate in possesso del consigliere comunale in virtù del suo incarico risulta sempre preclusa, essendovi una espressa previsione normativa proprio all’art. 43 del t.u.e.l. adottato con un decreto delegato, atto avente forza di legge33.

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1 Nel nostro ordinamento il diritto di accesso da parte dei consiglieri è stato  introdotto per la prima volta dall’art. 23  della l. n. 816 del 1985 per poi essere trasfuso nell’art. 43 del t.u.e.l. In dottrina si ricorda, F.  MANGANARO ,  L’accesso  agli atti e alle informazioni degli enti locali , in M.A.  SANDULLI (a cura di),  Codice dell ’azione amministrativa , II ed., Milano, 2017,  p. 1066; F.  FEDRIANI , Brevi premesse sul diritto d’accesso del Consigliere comunale e provinciale e sul rapporto con il segreto d’ufficio ,  in  L’amministrazione italiana , n. 11/2011, p. 190; M.A.  SANDULLI ,  Parte cipazione e autonomie locali , in  Dir. amm. , 2002, 10,  p. 554; G.  PASTORI ,  I diritti di informazione di cui alla l. n. 816 del 1985 e la loro attuazione , in  Scritti in onore di M.S. Giannini ,  Milano, III, 1988, p. 581.

2 L’istituto in questione non rappresenta una novità del testo unico del 2000, ma rinviene il proprio antecedente sistematico nella previsione di cui all’art. 24 della l. n. 816/1985, a mente del quale: “i consiglieri comunali, i consiglieri provinciali e i componenti delle assemblee delle unità sanitarie locali e delle comunità montane, per l’effettivo esercizio delle loro funzioni hanno diritto di prendere visione dei provvedimenti adottati dall’ente e degli atti preparatori in essi richiamati nonché di avere tutte le informazioni necessarie all’esercizio del mandato”. Tuttavia, nella prima formulazione della norma l’ampiezza dei poteri e delle facoltà ostensive connesse allo status di consigliere comunale o provinciale risultava in qualche misura più limitato rispetto a quanto consentito dal Testo unico del 2000 e, prima ancora, dall’art. 31, co. 5 della l. n. 241/1990, che aveva modificato in parte i contorni dell’istituto. Cfr. M. CIOMMOLA, Il diritto di accesso dopo la legge n. 15 del 2005: natura, soggetti legittimati ed ambito applicativo, in http://amministrazioneincammino.luiss.it/app/uploads/2010/04/15502_diritto-di-accesso-ciammola.pdf.

3 Ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 13 agosto 2020, n. 5032.; Id., sez. V, 5 settembre 2014, n. 4525; Id., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 846 e Id., sez. V, 29 agosto 2011, n. 4829; T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 3 agosto 2017, n. 564; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 28 febbraio 2011, n. 221; T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 15 febbraio 2010, n. 934; T.A.R. Toscana, Firenze, sez. II, 6 aprile 2007, n. 622.

4 Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza 2 gennaio 2019, n. 12 statuisce che il diritto di accesso dei consiglieri comunali, disciplinato dall’articolo 43, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, se da una parte, viene ritenuto una espressione delle prerogative di controllo democratico e non incontra alcuna limitazione in relazione  all’eventuale natura riservata degli atti o delle informazioni, stante anche il vincolo del segreto d’ufficio, dall’altra parte, non può che essere strumentale all’esercizio della funzione pena la sua limitazione. L’oggetto dell’appello risultava un diniego dell’amministrazione civica riferito ad un’istanza di accesso tesa ad acquisire, per l’esercizio del mandato, la richiesta inoltrata a un Comune dalla Procura regionale della Corte dei Conti, nonché alla successiva risposta di riscontro, incidendo le questioni su profili di natura finanziaria e sulla corretta tenuta del bilancio dell’Ente. Il Consiglio di Stato respinge le doglianze proposte e ribadisce che l’esercizio del diritto come previsto dal regolamento comunale vigente all’epoca dei fatti (e, in generale, dall’art. 43 del T.U.E.L.) non è riconosciuto al consigliere comunale in ragione della carica istituzionale, ma è pur sempre strumentale all’esercizio delle sue funzioni nell’assemblea consiliare. L’esigenza che la richiesta sia collegata a questioni di competenza dell’assemblea costituisce allo stesso tempo il presupposto e il limite del diritto in questione, configurandosi come funzionale allo svolgimento dei compiti del consigliere.

5 Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 agosto 2020, n. 5032.; Id., sez. V, 5 settembre 2014, n. 4525; Id., sez. V, 17 settembre 2010, n. 6963. Le principali pronunce emesse, in particolare, dall’Adunanza Plenaria in tema di accesso, dopo la riforma di cui alla Legge n. 241/1990, sono le seguenti: 7 febbraio 1997, n. 5; 22 aprile 1999, n. 4, n. 5 e n. 6; 24 giugno 1999, n. 16; 2 luglio 2001, n. 5; 5 settembre 2005, n. 5; 18 aprile 2006, n. 6 e 20 aprile 2006, n. 7; 13 settembre 2007, n. 11; 24 aprile 2012, n. 7; 28 giugno 2016, n. 14, n. 15 e n. 16.

6 I Giudici di Palazzo Spada hanno di recente ribadito come “l’accesso agli atti esercitato dal consigliere comunale ai sensi dell’art. 43 d.lgs. n. 267 del 2000 ha natura e caratteri diversi rispetto alle altre forme di accesso, esprimendosi in un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento delle sue funzioni, ciò anche al fine di permettere di valutare — con piena cognizione — la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio e per promuovere tutte le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale” (Cons. Stato, sez. V, 13  agosto 2020, n. 5032); v., inoltre, Cons. Stato, sez. V, 5 settembre 2014, n. 4525; Id., sez. V, 2 settembre 2005, n. 4471 e Id., sez. V, 8 settembre 1994, n. 976.

7 V. Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, parere 2.1 del 17 gennaio 2012.

8 V. Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, parere n. 2.5 del 17 gennaio 2012.

9 Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 26 maggio 2004, n. 1762.

10 Cfr. Cassazione Civile, sez. III, sent. 3 agosto 1995, n. 8480; si veda, in dottrina, P. VIRGA, L’amministrazione locale, Milano, 2003 e R. M. CARBONARA, Il diritto di accesso “incombe” anche sulle società partecipate, in Il nuovo diritto amministrativo, n. 6/2014, 21 e ss., il quale assevera come l’accesso sia stato riconosciuto anche per la documentazione detenuta dalle società partecipate nei limiti in cui queste siano qualificate come sostanzialmente pubbliche amministrazioni.  

11 L’unico limite all’accesso del consigliere comunale è configurabile, in termini generali, “nell’ipotesi in cui lo stesso si traduca in strategie ostruzionistiche o di paralisi dell’attività amministrativa con istanze che, a causa della loro continuità e numerosità, determinino un aggravio notevole del lavoro degli uffici ai quali sono rivolte e determinino un sindacato generale sull’attività dell’amministrazione” (Consiglio di Stato, sez. V, 2 marzo 2018, n. 1298; Id., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 846).

12 V. Consiglio di Stato, sez. V, 4 maggio 2004, n. 2716.

13 V. Consiglio di Stato, sez. V, 22 febbraio 2000, n. 940.

14 V. Consiglio di Stato, sez. V, 2 aprile 2001, n. 1893.  

15 Cfr. il decreto del Presidente del Consiglio 26 gennaio 1996, n. 200 (“Regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti dell’Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso”) che sottrae all’accesso i pareri resi in  relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza, gli atti defensionali e la relativa corrispondenza. Tale norma detterebbe una regola di portata generale, codificando il principio secondo cui sono sottratti all’accesso gli scritti defensionali “in considerazione delle esigenze di salvaguardia della strategia processuale della parte, che non è tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto meno, al proprio contraddittore, attuale o potenziale, gli argomenti in base ai quali intende confutare le pretese avversarie”.

Occorre, inoltre, rimarcare una distinzione tra: 1) ipotesi in cui il ricorso alla consulenza legale esterna si inserisce nell’ambito di un’apposita istruttoria procedimentale, poi richiamato nella motivazione dell’atto finale. Ne deriva che la consulenza è soggetta all’accesso perché oggettivamente correlata ad un procedimento amministrativo; 2) ipotesi in cui, dopo l’avvio di un procedimento contenzioso, l’amministrazione si rivolge ad un professionista, al fine di definire la propria strategia difensiva. Il parere non è destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico-giuridici utili per tutelare i propri interessi. Ne deriva che le consulenze legali restano caratterizzate da riservatezza; 3) ipotesi nelle quali la richiesta della consulenza legale interviene in una fase intermedia, successiva alla definizione del rapporto amministrativo all’esito del procedimento, ma precedente l’instaurazione di un giudizio o l’avvio dell’eventuale procedimento precontenzioso. La consulenza legale persegue lo scopo di consentire all’amministrazione di articolare le proprie strategie difensive. Ne deriverebbe pertanto l’esigenza di garantire il segreto. V. Consiglio Stato sez. IV, 30 novembre 2010, n. 8359.

16 V. Cass. Pen., sez. VI, sent. del 26 febbraio 2009, n. 11001, in CED Cassazione, 2009; Cass. Pen., sez. VI, sent. del 23 aprile 2007, n. 30148, in CED Cassazione, 2007; Cass. Pen., sez. VI, sent. del 4 marzo 1998, n. 7483, in CED Cassazione, 1998.  

17 Considerando 4 del RU 679/2016.

18 Considerando 154 del RU 679/2016.

19 Cfr. E. BARBA, Privacy e trasparenza: due diritti speculari, in http://www.salvisjuribus.it/privacy-e-trasparenza-amministrativa-due-diritti-speculari/; G. ARENA, Trasparenza amministrativa, in Enc. giur., vol. XXXI, Roma, 1995; G. ABBAMONTE, La funzione amministrativa tra riservatezza e trasparenza. Introduzione al tema, in AA.VV., L’amministrazione pubblica tra riservatezza e trasparenza, Atti del XXXV Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna, 21-23 settembre 1989, Milano, 1991, p. 7 ss.; R. MARRAMA, La pubblica amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell’organizzazione e nel procedimento amministrativo, ivi, p. 53 ss.; R. VILLATA, La trasparenza dell’azione amministrativa, in AA.VV., La disciplina generale del procedimento amministrativo. Contributi alle iniziative legislative in corso, Atti del XXXII Conv. st. sc. amm., Varenna, 18-20 settembre 1986, Milano, 1989, p. 151 ss.; R. CHIEPPA, La trasparenza come regola della pubblica amministrazione, in Dir. econ., 1994, p. 623 ss.

20 Cfr. T.A.R. Toscana, sez. I 11 novembre 2009, n. 1607; Consiglio di Stato, sez. V, 9 dicembre 2004 n. 7900.

21 Cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, giugno 2013, n. 1234.  

22 Ma anche per effetto dell’operatività dei principi di pertinenza e non eccedenza in materia di protezione dei dati personali. Cfr. M. LUCCA, Considerazioni metodologiche sul diritto di accesso del consigliere comunale http://www.segretarientilocali.it/nuovo/A2014/Doc/Lucca_DirittoAccesso.pdf; v., altresì, Relazione del Garante della Privacy del 2004 p. 19-20 in https://www.garanteprivacy.it/documents/10160/10704/1093820.pdf/3d910c3a-a834- 49bf-b682-d016ce568dfa?version=1.0.

23 Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 5 settembre 2014, n. 4525.

24 Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sentenze 29 agosto 2011, n. 4829 e 4 maggio 2004, n. 2716.  

25 Cfr. T.A.R. Veneto, sez. I, sentenza 20 ottobre 2010, n. 5526, che richiama peraltro la decisione del Consiglio di Stato, sez. V, 2 aprile 2001, n. 1893.

26 Restando ferma la tutela dei terzi, qualora trattasi di atti già soggetti a pubblicazione nell’albo pretorio, occorre tenere conto anche del continuo rafforzamento normativo del principio della massima trasparenza delle attività della pubblica amministrazione.

27 Pertanto, nelle ipotesi di contrasto tra diritto di accesso agli atti amministrativi e diritto alla riservatezza, quest’ultimo potrà essere salvaguardato mediante modalità, alternative alla limitazione o al diniego dell’accesso, che utilizzino, ad esempio, la schermatura dei nomi dei soggetti menzionati nei documenti, che si dichiarino fermamente intenzionati a mantenere l’anonimato, o che, invece, si avvalgano dell’assenso delle persone di volta in volta indicate nei documenti in questione. Inoltre, la riservatezza dei dati viene garantita attraverso la predisposizione di misure tecniche ed organizzative idonee allo scopo.

In tal modo, il regolamento europeo n. 679/2016 fa il proprio ingresso negli Enti locali, attraverso la creazione di un modello organizzativo privacy che non si occupa troppo della natura e della particolare articolazione dei soggetti o delle varie realtà organizzative. Pertanto, tali soggetti dovranno confrontarsi con la disciplina legislativa che singolarmente li riguarda al fine di definire l’allocazione delle attività e delle competenze.

Nell’ambito degli Enti locali, l’unitarietà della persona giuridica, non contraddice la logica funzionale, che resta la stessa, ed anche ai fini privacy sarà necessario tener conto della propria articolazione interna, distinguendo gli organi di governo o gestione da quelli amministrativi. In tal modo, si giunge a considerare il Comune, ovvero il Sindaco in base al principio di immedesimazione organica, quale titolare del trattamento a cui consegnare un bagaglio di obblighi e di responsabilità. Cfr. G. M. RICCIO, G. SCORZA, E. BELISARIO (a cura di), GDPR e normativa privacy, Wolters Kluwer, 2018, 322 ss.

In senso opposto, si legge che «L’intreccio tra ruolo e attività del titolare del trattamento e ordinamento de gli Enti locali porta quindi inevitabilmente a non individuare il titolare nel sindaco, ma ad un modello di “titolare diffuso”, esattamente come avviene per le altre funzioni dell’ente. Occorre cioè che il lungo elenco delle “mansioni” del titolare venga allocato all’organo che secondo l’ordinamento ha il titolo per farlo». Cfr. A. TIRABASSI, L’attuazione del GDPR. Un modello organizzativo per gli Enti locali, in Azienditalia, n. 7/2018, 991 ss.  

28 Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 12 gennaio 2019, n. 12.

29 Cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 4 giugno 2013, n. 1234; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 16 novembre 2011, n. 1840.

30 Troviamo così, fra i delitti contro la personalità dello Stato, gli abusi dei segreti concernenti la sicurezza dello Stato (artt. 256-263 c.p.); fra i delitti contro la pubblica amministrazione gli abusi dei segreti d’ufficio (artt. 325 e 326); fra i delitti contro l’amministrazione della giustizia, la rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale (art. 379 bis c.p. aggiunto dall’art. 21, l. n. 397/2000); infine, gli artt. 616-623 bis, collocati fra i delitti contro la inviolabilità dei segreti,  a loro volta inseriti nei delitti contro la persona: due di essi (gli artt. 622 e 623 c.p.) sono speculari agli artt. 325 e 326 c.p., perché puniscono, a querela della persona offesa, i fatti previsti in tali articoli quando sono commessi su segreti privati.

31 Al riguardo, peraltro, la giurisprudenza ha chiarito che il diritto di accesso del consigliere comunale non può essere compresso neppure per esigenze di tutela di riservatezza dei terzi con riferimento ai dati sensibili, eventualmente contenuti nei documenti oggetto di accesso, in quanto il consigliere stesso è tenuto al segreto, come specificato dallo stesso art. 43 del testo unico sugli enti locali, sopra citato. Al consigliere è fatto divieto di divulgare tali dati: nell’ipotesi di eventuale violazione di tale obbligo di riservatezza si configura una responsabilità personale dello stesso. In applicazione del medesimo principio — e della disciplina dettata dallo Stato e dal regolamento del consiglio regionale del Veneto — il Consiglio di Stato (riformando la precedente sentenza del Tar Venezia) ha ritenuto legittima la richiesta di accesso avanzata da un consigliere della Regione Veneto riguardante i nominativi dei consiglieri regionali che hanno esercitato l’opzione per l’assegno di fine mandato: il fatto che la richiesta riguardi dati personali non può essere addotto – a differenza di quanto accade in caso di accesso esercitato a tutela di posizioni soggettive individuali – per opporre l’attività di verifica e controllo da parte dei componenti delle assemblee elettive (Consiglio di Stato, sez. V, 2 marzo 2018, n. 1298; nel medesimo senso v. Consiglio di Stato, sez. V, 4 maggio 2004, n. 2716, riguardante la richiesta di dati sulle retribuzioni dei dipendenti ed alcuni appalti).

La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi ha giudicato legittima la richiesta da parte di un consigliere comunale di rilascio delle credenziali di accesso diretto all’intero sistema informatico comunale, ivi compreso quello della contabilità: l’accesso diretto tramite utilizzo di apposita password al sistema informatico dell’Ente è stato considerato strumento – certamente consentito al consigliere comunale – in grado anche di favorire la tempestiva acquisizione delle informazioni richieste, senza aggravare l’ordinaria attività amministrativa; la Commissione specifica che il consigliere non può vantare alcun “diritto” all’accesso al sistema informatico dalla propria abitazione mentre tale attività deve essere ordinariamente svolta presso gli uffici dell’Amministrazione (parere del 7 aprile 2016).

32 Costituisce il delitto previsto dall’articolo 326 comma 1 c.p. la comunicazione, da parte del membro della commissione esaminatrice di un pubblico concorso, di notizie volte a informare anticipatamente taluno dei concorrenti con esclusione di altri, sull’oggetto, totale o parziale, certo o probabile, della prova d’esame ovvero delle proposte di prova che il singolo commissario avrebbe formulato, integrando tale condotta violazione del dovere di mantenere il segreto di ufficio e del dovere di imparzialità.

33 Cfr. F. MANTOVANI, Principi di diritto penale, Padova, 2019, passim.  

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