11/02/2021 – Tar Veneto. Annullamento e revoca non sono la stessa cosa

L’esatta qualificazione di un provvedimento amministrativo va effettuata tenendo conto del suo effettivo contenuto e della sua causa, anche a prescindere dal nomen iuris formalmente attribuito dall’Amministrazione, con la conseguenza che l’apparenza derivante da una terminologia eventualmente imprecisa od impropria, utilizzata nella formulazione testuale dell’atto stesso, non è vincolante, né può prevalere sulla sostanza e neppure determina di per sé un vizio di legittimità dell’atto, purché ovviamente sussistano i presupposti formali e sostanziali corrispondenti al potere effettivamente esercitato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 2 dicembre 2019, n. 8214; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 23 luglio 2020, n. 1361; T.A.R. Sardegna, sez. II, 4 maggio 2020, n. 260).

Questo è il principio di diritto formulato dal TAR Veneto con la sentenza n. 52/2021.

Tuttavia – ed è questo il passaggio interessante della pronuncia – nel provvedimento amministrativo sottoposto al suo esame, sono presenti valutazioni che afferiscono sia a profili di opportunità e convenienza in uno a profili che involgono questioni di legittimità, fra loro avvinti in modo inestricabile.

Una sorta di “ibridazione” dei poteri esercitati dall’Amministrazione resistente nel giudizio di che trattasi, rinvenibile nel richiamo sia al merito del provvedimento che all’iter istruttorio adottato dall’Amministrazione (legittimità).

Pertanto, il provvedimento gravato non è chiaro se si fondi su un potere di annullamento ex art. 21 – nonies della l. 241/1990 o su un potere di revoca ex art. 25 – quinquies della l. 241/1990.

Orbene, nella fattispecie all’esame dei Giudici veneti “non emergono sufficienti e univoci indici per individuare in via interpretativa quale sia il potere che l’Amministrazione, a prescindere dal nomen iuris utilizzato (“revoca”), ha inteso esercitare in concreto (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 13 dicembre 2019, n. 5939), risultando richiamate nel corpo del provvedimento gravato una pluralità di elementi riconducibili a differenti fattispecie astratte, caratterizzate da presupposti e limiti sostanziali diversificati, posti anche a garanzia delle posizioni incise”.

In verità, in tale ultimo precedente giurisprudenziale del TAR Campania (5939/2019) – richiamato dalla sentenza in commento – rilevano solo profili di legittimità e non di opportunità.

Infatti, il ricorrente censurava una ordinanza di rimozione rifiuti adottata dal Sindaco secondo i poteri di cui all’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 (adottabile in caso di accertato abbandono o deposito incontrollato di rifiuti) e degli articoli 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000 ovvero del più generale potere, attribuito al Sindaco in veste di Ufficiale di Governo, di emanare ordinanze contingibili e urgenti a tutela dell’igiene e della salute pubblica, previsto in relazione alla necessità di fronteggiare situazioni di straordinaria urgenza attraverso adozione di misure atipiche, non predeterminabili e non rinviabili.

Tale circostanza, ad avviso del TAR partenopeo, renderebbe oltremodo gravoso l’esercizio del diritto di difesa per il destinatario dell’ordine, che non è posto in condizioni di percepire le ragioni giuridiche e l’iter logico seguito dall’amministrazione per giungere alla decisione adottata.

Nel caso in esame, infatti, “da un lato, non emergono circostanze tali da consentire di individuare la volontà del ricorso allo strumento extra ordinem – posto che la rimozione dei rifiuti è stata imposta entro un lasso temporale relativamente ampio (trenta giorni), in assenza della rappresentazione dell’assoluta urgenza di provvedere ad horas per evitare un grave ed imminente pericolo per l’igiene e salute pubblica, in mancanza di istruttoria compiuta dalle competenti amministrazioni (ASL ovvero ARPAC), e senza peraltro dar conto della impossibilità di ricorrere ad altri strumenti ordinari previsti dall’ordinamento”.

Dall’altro, nemmeno valorizzando il richiamo fatto all’art. 192 può giungersi alla conclusione che l’ordinanza gravata sia riconducibile all’ordinario potere d’intervento attribuito al Sindaco dall’art. 192 del Codice dell’Ambiente.

Difatti, l’art. 192 Codice Ambiente prescrive che l’obbligo di rimozione grava in via principale sull’inquinatore e, in solido, sul proprietario del terreno e sui titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, qualora a costoro sia imputabile una condotta dolosa o colposa, da accertarsi previo contraddittorio, secondo il principio espresso dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del “chi inquina paga” (cfr. in termini T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 24 marzo 2017 n. 287).

Ne discende la difficoltà di ricondurre la fattispecie concreta al su richiamato paradigma normativo, atteso che

  1. a) al ricorrente non viene riconosciuta nessuna delle qualità rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 192 del D.Lgs. 152/2006, non essendo in alcun modo chiarito il titolo in forza del quale lo stesso sarebbe tenuto alla rimozione dei rifiuti, non risultando proprietario dell’area interessata dall’abbandono e/o dal deposito incontrollati, né, titolare di diritti reali ovvero personali di godimento;
  2. b) il Sindaco in definitiva sembra aver inteso far ricorso a prerogative riconosciutegli in astratto dalla legge ma per fronteggiare situazioni aventi presupposti che non è stato dimostrato sussistessero nel caso concreto, al fine piuttosto di imporre, in assenza di contratto sottoscritto dalle parti, l’esecuzione d’imperio di ulteriori prestazioni comunque latamente afferenti al servizio di igiene urbana.

Alla luce dei richiamati indirizzi pretori esaminati, i provvedimenti amministrativi, soprattutto quelli indirizzati ai cittadini, devono sempre essere chiari e mai perplessi nel loro contenuto sia in termini di corretta indicazione delle norme sui quali essi si fondano, sia in termini di logicità ed opportunità della loro adozione.

Questo secondo il recente canone inserito – ed evidentemente è apparso necessario – dal D.L. 76/2020 (art. 12) nel corpo dell’art. 1 della L. n. 241/1990, quello relativo ai principi dell’attività amministrativa, ovvero che “i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”.

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